sabato 16 gennaio 2021

La Stanza di Stefano Lodovichi, tra contaminazione di generi e rappresentazione dei drammi familiari

È uscito il 4 gennaio 2021 La stanza il nuovo film scritto e diretto da Stefano Lodovichi. Il cast ridotto all’osso, quasi in rigida ottemperanza al DPCM vigente, è una delle caratteristiche salienti di questa pellicola italiana, in grado di lasciare ampio spazio alla rappresentazione dei drammi familiari in una chiave thriller ricca di contaminazioni.

Recensione di Mattia Sangiuliano

La mattina in cui Stella decide di togliersi la vita uno sconosciuto bussa alla sua porta con l’intenzione di farsi ospitare. Veniamo a sapere che la casa di Stella, e di suo marito Sandro, è in realtà una sorta di bed & brekfast ma che, ormai da mesi, non offre più i suoi servizi. Dopo diverse insistenze lo sconosciuto, che si presenta con il nome di Giulio, convince la donna a farsi accogliere in casa sua per una notte.

L’arrivo di Giulio, un uomo che sembra conoscere vizi e virtù di Stella e di Sandro, romperà definitivamente un equilibrio precario, incrinato ormai da tempo. I protagonisti della vicenda sono solamente tre: Stella, Sandro e Giulio, interpretati rispettivamente da Camilla Filippi, Edoardo Pesce e Guido Caprino. Ogni personaggio è portatore di caratteristiche ben precise, funzionali all’interno della storia e, soprattutto, custode di segreti che verranno svelati in un crescendo sempre più drammatico.



La stanza è un thriller a tutti gli effetti, capace di prendere lo spettatore sin dalle prime battute, complici l’ambientazione gotica in cui è ambientata la storia – quasi da casa stregata – ed una fotografia caratterizzata da colori freddi e tenui, estremamente malinconici, su cui si stagliano le figure dei tre attori alle prese con segreti inconfessabili ed ataviche paure.

Un thriller psicologico ricco di mistero e momenti di riflessione

La componente thriller del racconto è prettamente psicologica, attraversata da una vena di mistero; l’analisi e la messa in scena dei segreti che affliggono l’animo umano la fanno da padrone. La storia è pervasa da un senso di impotenza sempre più grande che alla fine esplode con una detonazione folgorante nel momento del disvelamento degli interrogativi che assillano lo spettatore.

È una storia cupa, a tratti nera, scura come può essere l’animo umano di fronte al più pericoloso ed insidioso tra i nemici: il passato. Grande e pervasiva tematica che attraversa lo sceneggiato è quella del passato che abbiamo scelto di seppellire o di non affrontare. Un trascorso che minaccia di travolgere il presente in cui viviamo e di inquinare ogni possibile futuro di redenzione.


Stefano Lodovichi mette in scena tre vicende umane in cui il confine tra boia e carnefice è sottile e labile, quanto la voluta di fumo di una sigaretta lasciata morire in un posacenere. Tre vite che si intersecano apparentemente per caso minacciano di seminare dolore e disperazione. Quando il mistero lascia il posto alla sofferenza, l’angoscia fluisce copiosa dallo schermo riuscendo per un momento a far vacillare la visione del mondo che fa abitualmente dividere il consorzio umano tra buoni e cattivi.

La verità è che il destino ed il caso hanno ben poca responsabilità. La mano che guida l’ascia del carnefice – o del boia, se preferite – è la sete di una giustizia fredda e calcolatrice, spietata quanto apparentemente misericordiosa. La sete di giustizia si trasforma nel famelico demone della vendetta mentre lo spettatore vede definitivamente crollare il paradigma dell’uomo giusto che si dovrebbe battere contro il male.

Solamente l’epilogo porta una ventata di speranza ricordandoci che, quando ogni cosa sta per crollare ed il mondo – con il suo carico di crudeltà – minaccia di travolgerci, invece di fermarci a dare la colpa agli altri o a noi stessi, dobbiamo trovare il coraggio di avvicinarci al prossimo, consci del fatto che le nostre azioni hanno un peso specifico sulle vite delle persone che ci circondano.

Buona combinazione di generi: thriller, orrore e fantastico

La trama è decisamente ben congeniata, al punto da dire che la scrittura italiana non ha assolutamente alcun difetto rispetto alle altre, blasonate, produzioni estere. La storia gode inoltre della buona combinazione di generi; da un cuore thriller, ricco di suspense, oscilliamo senza troppi tentennamenti tra l’orrore ed il fantastico. La contaminazione risulta ben riuscita e tutt’altro che stucchevole, capace di donare diversi momenti di tensione ma anche qualche riflessione.

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