È uscito il 4 gennaio 2021 La stanza il nuovo film scritto e diretto da Stefano Lodovichi. Il cast ridotto all’osso, quasi in rigida ottemperanza al DPCM vigente, è una delle caratteristiche salienti di questa pellicola italiana, in grado di lasciare ampio spazio alla rappresentazione dei drammi familiari in una chiave thriller ricca di contaminazioni.
Recensione di Mattia Sangiuliano
L’arrivo di Giulio, un uomo che
sembra conoscere vizi e virtù di Stella e di Sandro, romperà definitivamente un
equilibrio precario, incrinato ormai da tempo. I protagonisti della vicenda
sono solamente tre: Stella, Sandro e Giulio, interpretati rispettivamente da
Camilla Filippi, Edoardo Pesce e Guido Caprino. Ogni personaggio è portatore di
caratteristiche ben precise, funzionali all’interno della storia e, soprattutto,
custode di segreti che verranno svelati in un crescendo sempre più drammatico.
La stanza è un thriller a tutti
gli effetti, capace di prendere lo spettatore sin dalle prime battute, complici
l’ambientazione gotica in cui è ambientata la storia – quasi da casa stregata –
ed una fotografia caratterizzata da colori freddi e tenui, estremamente malinconici,
su cui si stagliano le figure dei tre attori alle prese con segreti
inconfessabili ed ataviche paure.
Un thriller psicologico ricco di mistero e momenti di riflessione
La componente thriller del
racconto è prettamente psicologica, attraversata da una vena di mistero;
l’analisi e la messa in scena dei segreti che affliggono l’animo umano la fanno
da padrone. La storia è pervasa da un senso di impotenza sempre più grande che
alla fine esplode con una detonazione folgorante nel momento del disvelamento degli
interrogativi che assillano lo spettatore.
È una storia cupa, a tratti nera,
scura come può essere l’animo umano di fronte al più pericoloso ed insidioso
tra i nemici: il passato. Grande e pervasiva tematica che attraversa lo
sceneggiato è quella del passato che abbiamo scelto di seppellire o di non
affrontare. Un trascorso che minaccia di travolgere il presente in cui viviamo
e di inquinare ogni possibile futuro di redenzione.
La verità è che il destino ed il
caso hanno ben poca responsabilità. La mano che guida l’ascia del carnefice – o
del boia, se preferite – è la sete di una giustizia fredda e calcolatrice,
spietata quanto apparentemente misericordiosa. La sete di giustizia si
trasforma nel famelico demone della vendetta mentre lo spettatore vede
definitivamente crollare il paradigma dell’uomo giusto che si dovrebbe battere
contro il male.
Solamente l’epilogo porta una
ventata di speranza ricordandoci che, quando ogni cosa sta per crollare ed il
mondo – con il suo carico di crudeltà – minaccia di travolgerci, invece di
fermarci a dare la colpa agli altri o a noi stessi, dobbiamo trovare il coraggio
di avvicinarci al prossimo, consci del fatto che le nostre azioni hanno un peso
specifico sulle vite delle persone che ci circondano.
Buona combinazione di generi: thriller, orrore e fantastico
La trama è decisamente ben congeniata,
al punto da dire che la scrittura italiana non ha assolutamente alcun difetto rispetto
alle altre, blasonate, produzioni estere. La storia gode inoltre della buona
combinazione di generi; da un cuore thriller, ricco di suspense, oscilliamo
senza troppi tentennamenti tra l’orrore ed il fantastico. La contaminazione
risulta ben riuscita e tutt’altro che stucchevole, capace di donare diversi momenti
di tensione ma anche qualche riflessione.
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