La poesia si trova in apertura dell’omonimo libro-testimonianza di Primo Levi. In appena 23 versi lo scrittore piemontese riesce a coagulare e a dare forma al suo vissuto di deportato e ad ammonire quanti non hanno visto con i propri occhi le atrocità del Lager.
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Voi che vivete sicuri |
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Nelle vostre tiepide case, |
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Voi che trovate tornando a sera |
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Il cibo caldo e visi amici: |
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Considerate se questo è un
uomo |
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Che lavora nel fango |
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Che non conosce pace |
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Che lotta per mezzo pane |
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Che muore per un sì o per
un no. |
10 |
Considerate se questa è una
donna, |
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Senza capelli e senza nome |
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Senza più forza di
ricordare |
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Vuoti gli occhi e freddo il grembo |
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Come una rana d'inverno. |
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15 |
Meditate che questo è stato: |
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Vi comando queste parole. |
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Scolpitele nel vostro cuore |
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Stando in casa andando per via, |
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Coricandovi alzandovi; |
20 |
Ripetetele ai vostri figli. |
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O vi si sfaccia la casa, |
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La malattia vi impedisca, |
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I vostri nati torcano il
viso da voi. |
(Se
questo è un uomo, Primo Levi)
PARAFRASI
Voi che trascorrete la vita nella
sicurezza, al calore del vostro focolare, voi che quando tornate a casa la sera
trovate in tavola il cibo caldo e ad accogliervi dei volti familiari ed amici:
valutate se questo individuo può essere definita un “essere umano”, lavora
nella sporcizia, viene continuamente tormentato, deve combattere per ottenere
un po’ di pane, può morire per un capriccio. Valutate se questa persona può
essere considerata una donna: con il capo rasato, senza più nome, talmente
sfinita da essere privata persino dei propri ricordi, con gli occhi privi di
espressione ed il ventre che non potrà più generare la vita, come una rana nei
mesi invernali.
Ragionate su ciò che è stato: io vi
intimo queste parole. Fissatele nella vostra anima, quando siete a casa vostra
oppure quando passeggiate per strada, quando vi state coricando o quando vi
alzate. Ripetetele anche ai vostri figli.
Se non fate questo che la vostra casa
cada in pezzi e la malattia vi renda infermi, che i vostri figli distolgano lo
sguardo da voi.
ANALISI STILISTICA
La poesia è composta da 23 versi liberi,
di metrica variabile, suddivisi in quattro strofe: una quartina, una stanza
centrale di 10 versi (tematicamente suddivisibili equamente in un 5+5), una
sestina ed una terzina conclusiva.
Le stanze della poesia rispecchiano,
ognuna, un’immagine precisa che assolve ad una funzione descrittivo-evocativa.
La prima è indirizzata ai lettori e li invita a meditare, la seconda strofe
parla della vita all’interno del campo: i versi dal 5 al 9 prendono in
considerazione l’uomo internato mentre i successivi cinque prendono in considerazione
la condizione della donna internata. La terza stanza è un’esortazione alla
memoria e alla preservazione della storia passata; la chiusura del componimento
è una maledizione che ricade su coloro che non sapranno far tesoro degli
insegnamenti del passato.
I versi liberi e la scorrevolezza del
testo rendono la poesia chiara ed estremamente comprensibile, discorsiva ed
estremamente evocativa per via delle immagini che l’autore intende richiamare.
Non sono presenti rime ma solo leggere assonanze che attraversano il testo.
Troviamo alcuni enjambements che
contribuiscono a rendere discorsiva la poesia: vv 1-2, 3-4, 17-18.
La punteggiatura è localizzata sempre a
fine verso; all’interno dei versi non è presente alcun segno di interpunzione,
questo aspetto rimarca la scorrevolezza della poesia e la scansione dei tempi
viene data dalla musicalità stessa delle parole.
Il lessico leviano, come nella prosa
abituale dell’autore, è mirato e privo di fronzoli o manierismi
espressionistici: semplice senza essere scarno, immediato e scientifico – come
la formazione chimica di Primo Levi richiedeva.
La poesia è caratterizzata da diverse
anafore: il “voi” dell’apertura ripetuto al verso 3 e, in chiusura, come ultima
parola del componimento (in un’intenzione di circolarità), viene fatto
precedere dal “vi” (verso 21 e 16), sottolineando l’aspetto esortativo
dell’intero componimento. Troviamo poi una ripetizione quasi ossessiva del
“che” ai vv 6, 7, 8 e 9 mentre ai versi 5 e 10 leggiamo “considerate”, sempre
rivolto al lettore; troviamo infine la ripetizione di “senza” (vv 11-12).
Al verso 14 troviamo una similitudine,
la prigioniera viene paragonata ad una “rana d’inverno”, rimandando chiaramente
alla sfera della morte e della caducità rappresentata dalla stagione più fredda
dell’anno, una presenza costante che aleggia sui prigionieri.
LA PAROLA CHIAVE: IL COMANDO
Al verso 16 troviamo una parola molto
importante, vale a dire il “comando” che Levi impartisce al lettore: questa
parola non è solo un’esortazione ma un vero e proprio precetto quasi
evangelizzatore che assolve ad una funzione di collegamento tra la dannazione
terrena e la salvazione che può garantire la sicurezza e la pace; vengono
subito alla mente i dieci comandamenti che sono scolpiti nelle tavole e, al
pari di quelli, Levi vuole che anche le sue parole vengano fissate e diventino
legge, pertanto dice: “scolpitele nel vostro cuore” (v 17) e tramandatele ai
vostri figli. Se il comandamento non verrà rispettato la storia si ripeterà con
il suo carico di drammatica violenza ed inghiottirà altre persone: uomini,
donne e bambini.
SPIEGAZIONE
La poesia si trova in apertura
dell’omonimo libro-testimonianza di Primo Levi. In appena 23 versi lo scrittore
piemontese riesce a coagulare e a dare forma al suo vissuto di deportato e ad
ammonire quanti non hanno visto con i propri occhi le atrocità del Lager. La
ferita e l’umiliazione dell’esperienza del Lager – impossibile da rimarginare –
si sostanzia in una poesia che vuole rendere tangibile l’orrore estremo di
un’esperienza disumana, rivolgendosi a quelli che vissero al sicuro mentre i
deportati venivano torturati e a quanti, ora che i campi di sterminio sono
stati abbattuti, vivono un’esistenza al riparo dalle atrocità dell’universo
concentrazionario. Il passato, vissuto e toccato con mano dal sopravvissuto, è
rappresentato dall’inciso descrittivo della condizione inumana del deportato:
dapprima degradato ad animale (costretto a lottare per il cibo) poi reificato e
ridotto infine ad un rottame “senza più forza di ricordare” (v 12).
In questi dieci versi centrali si
sostanzia l’interrogativo – retorico fino ad un certo punto – che l’autore
rivolge ai lettori: ora che questo individuo è stato offeso fin nei profondi
recessi dell’anima, potete ancora considerarlo “umano”?
Dopo aver presentato nella prima stanza la contingenza con cui Levi mette in evidenza la normalità della condizione dei più, nella terza strofa, dopo l’inciso del Lager disumanizzante, predomina il carattere dell’impellenza: la memoria di ciò che è stato, delle atrocità passate – ma ancora vive – deve essere impressa a fuoco nelle menti e nei cuori delle persone. Se ciò non si verificherà – e qui Levi preconizza un futuro spaventoso, quasi scagliando un anatema divinatorio – la storia potrà ripetersi ancora ma, a farne le spese questa volta, saranno coloro che non hanno ascoltato il monito lanciato dal superstite.
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