lunedì 25 gennaio 2021

“Se questo è un uomo” di Primo Levi. Una poesia-testimonianza che insegna il comandamento della memoria

La poesia si trova in apertura dell’omonimo libro-testimonianza di Primo Levi. In appena 23 versi lo scrittore piemontese riesce a coagulare e a dare forma al suo vissuto di deportato e ad ammonire quanti non hanno visto con i propri occhi le atrocità del Lager.


 Analisi e commento di Mattia Sangiuliano



 

Voi che vivete sicuri

 

Nelle vostre tiepide case,

 

Voi che trovate tornando a sera

 

Il cibo caldo e visi amici:

 

 

5

    Considerate se questo è un uomo

 

    Che lavora nel fango

 

    Che non conosce pace

 

    Che lotta per mezzo pane

 

    Che muore per un sì o per un no.

10

    Considerate se questa è una donna,

 

    Senza capelli e senza nome

 

    Senza più forza di ricordare

 

    Vuoti gli occhi e freddo il grembo

 

    Come una rana d'inverno.

 

 

15

Meditate che questo è stato:

 

Vi comando queste parole.

 

Scolpitele nel vostro cuore

 

Stando in casa andando per via,

 

Coricandovi alzandovi;

20

Ripetetele ai vostri figli.

 

 

 

    O vi si sfaccia la casa,

 

    La malattia vi impedisca,

 

    I vostri nati torcano il viso da voi.

 

(Se questo è un uomo, Primo Levi)

 

 

PARAFRASI


Voi che trascorrete la vita nella sicurezza, al calore del vostro focolare, voi che quando tornate a casa la sera trovate in tavola il cibo caldo e ad accogliervi dei volti familiari ed amici: valutate se questo individuo può essere definita un “essere umano”, lavora nella sporcizia, viene continuamente tormentato, deve combattere per ottenere un po’ di pane, può morire per un capriccio. Valutate se questa persona può essere considerata una donna: con il capo rasato, senza più nome, talmente sfinita da essere privata persino dei propri ricordi, con gli occhi privi di espressione ed il ventre che non potrà più generare la vita, come una rana nei mesi invernali.

Ragionate su ciò che è stato: io vi intimo queste parole. Fissatele nella vostra anima, quando siete a casa vostra oppure quando passeggiate per strada, quando vi state coricando o quando vi alzate. Ripetetele anche ai vostri figli.

Se non fate questo che la vostra casa cada in pezzi e la malattia vi renda infermi, che i vostri figli distolgano lo sguardo da voi.


 

ANALISI STILISTICA


La poesia è composta da 23 versi liberi, di metrica variabile, suddivisi in quattro strofe: una quartina, una stanza centrale di 10 versi (tematicamente suddivisibili equamente in un 5+5), una sestina ed una terzina conclusiva.

Le stanze della poesia rispecchiano, ognuna, un’immagine precisa che assolve ad una funzione descrittivo-evocativa. La prima è indirizzata ai lettori e li invita a meditare, la seconda strofe parla della vita all’interno del campo: i versi dal 5 al 9 prendono in considerazione l’uomo internato mentre i successivi cinque prendono in considerazione la condizione della donna internata. La terza stanza è un’esortazione alla memoria e alla preservazione della storia passata; la chiusura del componimento è una maledizione che ricade su coloro che non sapranno far tesoro degli insegnamenti del passato.

I versi liberi e la scorrevolezza del testo rendono la poesia chiara ed estremamente comprensibile, discorsiva ed estremamente evocativa per via delle immagini che l’autore intende richiamare. Non sono presenti rime ma solo leggere assonanze che attraversano il testo.

Troviamo alcuni enjambements che contribuiscono a rendere discorsiva la poesia: vv 1-2, 3-4, 17-18.

La punteggiatura è localizzata sempre a fine verso; all’interno dei versi non è presente alcun segno di interpunzione, questo aspetto rimarca la scorrevolezza della poesia e la scansione dei tempi viene data dalla musicalità stessa delle parole.

Il lessico leviano, come nella prosa abituale dell’autore, è mirato e privo di fronzoli o manierismi espressionistici: semplice senza essere scarno, immediato e scientifico – come la formazione chimica di Primo Levi richiedeva.

La poesia è caratterizzata da diverse anafore: il “voi” dell’apertura ripetuto al verso 3 e, in chiusura, come ultima parola del componimento (in un’intenzione di circolarità), viene fatto precedere dal “vi” (verso 21 e 16), sottolineando l’aspetto esortativo dell’intero componimento. Troviamo poi una ripetizione quasi ossessiva del “che” ai vv 6, 7, 8 e 9 mentre ai versi 5 e 10 leggiamo “considerate”, sempre rivolto al lettore; troviamo infine la ripetizione di “senza” (vv 11-12).

Al verso 14 troviamo una similitudine, la prigioniera viene paragonata ad una “rana d’inverno”, rimandando chiaramente alla sfera della morte e della caducità rappresentata dalla stagione più fredda dell’anno, una presenza costante che aleggia sui prigionieri.


 

LA PAROLA CHIAVE: IL COMANDO


Al verso 16 troviamo una parola molto importante, vale a dire il “comando” che Levi impartisce al lettore: questa parola non è solo un’esortazione ma un vero e proprio precetto quasi evangelizzatore che assolve ad una funzione di collegamento tra la dannazione terrena e la salvazione che può garantire la sicurezza e la pace; vengono subito alla mente i dieci comandamenti che sono scolpiti nelle tavole e, al pari di quelli, Levi vuole che anche le sue parole vengano fissate e diventino legge, pertanto dice: “scolpitele nel vostro cuore” (v 17) e tramandatele ai vostri figli. Se il comandamento non verrà rispettato la storia si ripeterà con il suo carico di drammatica violenza ed inghiottirà altre persone: uomini, donne e bambini.


 

SPIEGAZIONE


La poesia si trova in apertura dell’omonimo libro-testimonianza di Primo Levi. In appena 23 versi lo scrittore piemontese riesce a coagulare e a dare forma al suo vissuto di deportato e ad ammonire quanti non hanno visto con i propri occhi le atrocità del Lager. La ferita e l’umiliazione dell’esperienza del Lager – impossibile da rimarginare – si sostanzia in una poesia che vuole rendere tangibile l’orrore estremo di un’esperienza disumana, rivolgendosi a quelli che vissero al sicuro mentre i deportati venivano torturati e a quanti, ora che i campi di sterminio sono stati abbattuti, vivono un’esistenza al riparo dalle atrocità dell’universo concentrazionario. Il passato, vissuto e toccato con mano dal sopravvissuto, è rappresentato dall’inciso descrittivo della condizione inumana del deportato: dapprima degradato ad animale (costretto a lottare per il cibo) poi reificato e ridotto infine ad un rottame “senza più forza di ricordare” (v 12).

In questi dieci versi centrali si sostanzia l’interrogativo – retorico fino ad un certo punto – che l’autore rivolge ai lettori: ora che questo individuo è stato offeso fin nei profondi recessi dell’anima, potete ancora considerarlo “umano”?

Dopo aver presentato nella prima stanza la contingenza con cui Levi mette in evidenza la normalità della condizione dei più, nella terza strofa, dopo l’inciso del Lager disumanizzante, predomina il carattere dell’impellenza: la memoria di ciò che è stato, delle atrocità passate – ma ancora vive – deve essere impressa a fuoco nelle menti e nei cuori delle persone. Se ciò non si verificherà – e qui Levi preconizza un futuro spaventoso, quasi scagliando un anatema divinatorio – la storia potrà ripetersi ancora ma, a farne le spese questa volta, saranno coloro che non hanno ascoltato il monito lanciato dal superstite.

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