lunedì 4 gennaio 2021

"O carro vuoto sul binario morto" di Clemente Rebora. Un momento di riflessione sulla condizione umana.

La poesia [O carro vuoto sul binario morto] di Clemente Rebora è un'istantanea che racchiude un momento di riflessione sulla tormentata condizione dell'essere umano; lo scorrere della vita è un fluire apparentemente senza spiegazione e senza significato ma una leggera flebile scintilla sembra rischiarare il momento dell'epilogo.

Analisi e commento di Mattia Sangiuliano


Stazione di Falconara Mma - Foto scattata con Praktica MTL5B

 

 

O carro vuoto sul binario morto,

 

 

Ecco per te la merce rude d’urti

 

 

E tonfi. Gravido ora pesi

 

 

Sui telai tesi;

5

 

Ma nei ràntoli gonfi

 

 

Si crolla fumida e viene

 

 

Annusando con fàscino orribile

 

 

La macchina ad aggiogarti.

 

 

Via dal tuo spazio assorto

10

 

All’aspro rullare d’acciaio

 

 

Al trabalzante stridere dei freni,

 

 

Incatenato nel gregge

 

 

Per l’immutabile legge

 

 

Del continuo aperto cammino:

15

 

E trascinato tramandi

 

 

E irrigidito rattieni

 

 

Le chiuse forze inespresse

 

 

Su ruote vicine e rotaie

 

 

Incongiungibili e oppresse,

20

 

Sotto il cielo che balzàno

 

 

Nel labirinto dei giorni

 

 

Nel bivio delle stagioni

 

 

Contro la noia sguinzaglia l’eterno,

 

 

Verso l’amore pertugia l’esteso,

25

 

E non muore e vorrebbe, e non vive e vorrebbe,

 

 

Mentre la terra gli chiede il suo verbo

 

 

E appassionata nel volere acerbo

 

 

Paga col sangue, sola, la sua fede.

  (da Frammenti lirici)


PARAFRASI

O vagone vuoto in sosta sul binario morto, vieni caricato di merci insensibili ai sobbalzi e ai colpi. Sei gravato dal nuovo carico che pesa sul tuo telaio ora teso; la motrice fumante e sferragliante sopraggiunge per agganciarti respirando con un fascino orrendo. Vieni portato via dal luogo del tuo riposo, sobbalzando, sul rumore delle rotaie stridenti per i freni, aggiogato agli altri vagoni, in fila, come vuole il dogma del perenne incedere: trascinato trasmetti il movimento agli altri vagoni e allo stesso tempo reprimi le forze sopite delle ruote, le une vicine alle altre, sulle rotaie anch’esse soggiogate e destinate a non congiungersi mai. Sotto un cielo cangiante i giorni sono intricati e le stagioni incerte, contro la monotonia, egli libera l’eternità ed apre uno spiraglio verso l’amore; non muore ma vorrebbe morire e allo stesso tempo non vive ma vorrebbe vivere, mentre la terra mossa dalla passione e da un desiderio immaturo, si rivolge al cielo chiedendogli di parlare versando, lei soltanto, un tributo di sangue per la propria fede.

 

SPIEGAZIONE

La condizione dell’uomo è simile a quella di un vagone abbandonato su un binario morto, sorta di vicolo cieco, viene caricato e messo in movimento all’occorrenza e si trova inquadrato nei ranghi di una struttura più grande di lui. Egli è mosso da una forza che viene esercitata e che egli stesso è costretto ad esercitare sugli altri, indistintamente ed indipendentemente dalla propria volontà. In questa condizione di vincolo l’uomo è portato a reprimere le proprie inclinazioni e potenzialità, a vivere monco, senza neppure poter intrecciare sinceramente la propria esistenza a quella di qualcun altro: come le rotaie che procedono parallelamente e non si incontrano mai, anch’esse oppresse dalle traversine che le dividono. La vita scorre: i giorni passano confusi tanto sono indistinti, le stagioni si susseguono senza un senso apparente. La monotonia domina questo mondo eppure alzando lo sguardo dall’arcipelago dei nostri destini individualizzati e frammentati possiamo scorgere uno spiraglio di speranza rappresentato dall’amore. Chiediamo allora a qualcosa più grande di noi – al cielo o all’universo oppure a qualche divinità – di spiegarci il senso della condizione umana, dopo esserci ridestati dal nostro torpore. Ascrivibile alla temperie vociana di cui lo stesso Rebora era esponente, in questa lirica troviamo tutti gli elementi cardine di questa poetica: dallo sperimentalismo linguistico alla forte connotazione autobiografica, rintracciamo elementi decisamente moderni e quasi avanguardistici, come la reificazione dell’uomo – o degli uomini – paragonati ai vagoni di un treno. Sopra ogni cosa la resa stilistica è pervasa da un forte espressionismo in cui il verbo e l’azione si fanno dominanti. Lo slancio della poesia tende a farsi esso stesso vita, cercando quasi di sciogliere i legacci che la imbrigliano.

 

ANALISI STILISTICA

Il componimento è costituito da un’unica stanza composta da 28 versi liberi, di metrica variabile. Non sono presenti rime ad eccezione dei vv 3-4, 12-13, 17-19, 26-27. I numerosi enjambements concorrono a creare una discorsività tra i versi, amplificando il senso dell’azione che diviene quasi cinematografica – i vv 2-3, 3-4 così come 5-8, in maniera diversa i versi 15-19 in cui le congiunzioni creano brevi pause. Il ritmo della poesia è dato dalla grande quantità di assonanze e reiterazioni di suoni simili all’interno delle parole: il primo verso ne è un esempio, assieme al secondo che lega la parola “morto” con “urti” così come avviene successivamente ai versi 8 e 9 con le parole “aggiogarti” e “assorto”; l’asprezza della tematica dominante, la vita che si trascina priva di senso guidata da una forza totalizzante che non lascia alternative, trova un’eco stilistica nel fonosimbolismo e nell’allitterazione determinata dalla scelta di lemmi connotati da questo susseguirsi di parole cariche di forza espressiva data dalla consonante “r”. Il costrutto stilistico raggiunge il suo apice proprio al centro della poesia, tra i versi 14 e 17 in cui il poeta, in quattro versi, architetta un primo ed un quarto verso senza verbi, facendo predominare i sostantivi e gli aggettivi descrittivi in apertura ed in chiusura, concentrando con violenza tutta l’azione agglutinandola in ben quattro verbi nei centralissimi versi 15 e 16 scanditi dalla ripetizione della congiunzione “e” quasi martellante all’inizio di ogni verso, in grado di dare cesura ma senza riposo, aumentando in questo modo la tensione dell’azione. Da notare l’opposizione di “aperto cammino” al verso 14 cui Rebora contrappone “le chiuse forze inespresse” al verso 17: il poeta gioca con i contrasti facendo scivolare l’apparente libertà di azione e movimento nel suo opposto, vale a dire nelle energie sopite e soffocate dentro l’essere umano. Il contrasto si fa aspro nei versi dell’azione, il 15 ed il 16, in cui i verbi sono speculari e opposti, la tensione vibra con la scelta del “trascinato tramandi / e irrigidito rattieni” in cui l’unico dinamismo è un’imposizione e concatenazione di energie impresse mentre le energie sopite vengono cristallizzate e trattenute; il senso di costrizione trova maggiore chiarezza nel verso XIX con le immagini delle “ruote vicine” ma che non si toccano e delle rotaie “oppresse”. La seconda metà della lirica è più descrittiva, l’azione ed i verbi sono sempre presenti ma più isolati: è un momento di raccoglimento e riflessione. Dal verso XX subentra un’altra importante immagine del cielo che diviene soggetto centrale e focus su cui si sposta l’attenzione dell’io lirico e del lettore. Nei tre versi successivi l’assenza di verbi crea un momento di quiete apparente, sospensione prettamente descrittiva, che contrappone la natura altra del cielo alla grigia quotidianità; continuando a spostare l’attenzione su un nuovo focus, il soggetto diviene infine la terra quasi a riportare l’attenzione sulla condizione umana ora resasi consapevole. Di grande impatto è il verso 25 in cui con ripetizioni e negazioni il poeta gioca con il significato di una vita e di una morte ugualmente irraggiungibili nella loro pienezza. Il componimento si chiude significativamente con la parola “fede”, quasi a voler mitigare l’amarezza della nuova chiarezza rivelata.

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