La poesia che apre il secondo libro-testimonianza di Primo Levi è caratterizzata dalla persistenza del terrore instillato dal Lager. I sopravvissuti non portano solo il ricordo dell’esperienza passata; la cicatrice di quello che hanno subito scavano profondi solchi nell’anima dei superstiti.
analisi e commento di Mattia Sangiuliano
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La Tregua |
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Sognavamo nelle notti feroci |
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Sogni densi e violenti |
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Sognati con anima e corpo: |
5 |
tornare; mangiare; raccontare. |
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Finché suonava breve sommesso |
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Il comando dell’alba; |
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«Wstawać»; |
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E si spezzava in petto il cuore. |
10 |
Ora abbiamo ritrovato la casa, |
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il nostro ventre è sazio. |
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Abbiamo finito di raccontare. |
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È tempo. Presto udremo ancora |
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Il comando straniero: |
15 |
«Wstawać». |
Sognavamo la tregua, la fine del conflitto, nelle notti inclementi in cui neppure il riposo poteva darci requie dalle torture che eravamo costretti a subire durante il giorno. Prendevano corpo sogni realistici e feroci che ci colpivano in profondità, nell’anima e nelle membra, tanto erano realistici: tornavamo alle nostre case, mangiavamo, raccontavamo quanto accaduto e quanto subito. Ci ridestava però il perentorio ma impercettibile comando della sveglia mattutina: «Wstawać», “alzarsi” in polacco. Il tornare alla crudele realtà ci faceva sprofondare nella disperazione. Ora siamo tornati a casa, ci siamo sfamati, abbiamo concluso i nostri racconti. È giunta l’ora fatidica, ne siamo certi; come allora sentiremo presto il comando pronunciato in polacco: “Alzarsi”.
Il componimento, datato 11
gennaio 1946, presenta molte analogie con la poesia sorella che apre il primo
libro di Primo Levi, l’omonima Se questo è un uomo. A differenza del primo
componimento Levi problematizza un problema specifico del Lager e del successivo
ritorno alla – evanescente e impossibile – normalità. Nella poesia che apre Se
questo è un uomo Levi coagula, in un breve componimento-ammonimento, una
grandissima quantità di esperienze che da sole potrebbero perfettamente
riassumere una buona parte del racconto; in questa seconda lirica-testimonianza
scende invece più nel dettaglio di aspetti psicologici complessi evocandoli con
una precisione scientifica, non una sola parola risulta essere verbosa o
caricata di espressionismo retorico. Nella poesia La tregua manca
completamente l’esortazione che invece caratterizza il primo componimento. In
poche e semplici immagini Primo Levi riesce non solo a evocare alcuni aspetti
della vita all’interno del Lager ma fornisce – e questa è l’intenzione principe
– tutte le coordinate psicologiche per comprendere la paura e la condizione dei
sopravvissuti.
Da un punto di vista formale va
segnalato che, escludendo il primo verso, costituito dal titolo attribuito al
componimento – e al libro che lo contiene – la poesia è costituita da 14 versi che
possono essere divisi in due stanze costituite ognuna da 7 versi, in cui l’ultimo,
per entrambe le sezioni, è costituito dalla parola straniera «Wstawać». Per quanto
concerne la metrica i versi sono molto liberi ma non mancano un abbondare di
endecasillabi (vv. 2, 9, 10, 12, 13), tre decasillabi (vv. 4, 5, 6 – anche se l’ultimo
non presenta un accento tonico sulla nona sillaba), ottonari (vv. 3 e 11) e
settenari (vv 7 e 14) in chiusura di sezione, prima della parola polacca.
I versi sono spesso legati tra
loro da un sapiente uso della punteggiatura che fornisce un andamento più
discorsivo. La poesia si apre subito con un’anastrofe in cui “la tregua” viene
fatta risaltare – divenendo addirittura la prima parola del componimento –;
troviamo un’altra importante anastrofe poco prima della chiusura della prima sezione
(vv. 6-7) che determina una contrazione del verso 7 che diviene molto simile al
vero 14 (entrambi settenari) e caratterizzati dalla parola “comando” in
apertura.
La poesia presenta alcune anafore
che, stilisticamente, contribuiscono a rendere più solido e razionale il
tessuto del racconto: abbiamo la parola “sogno” declinata in “sognavamo” (v.
2), “sogni” (v. 3), “sognati” (v. 4) in apertura dei rispettivi versi che,
nella prima parte del componimento, rimarcano la dimensione onirica e di
sospensione dalle atrocità del Lager, una dimensione fittizia, un non-luogo
sospeso dal tempo e dallo spazio, un’apparente momento di tregua che non può
allontanare l’orrore dal deportato fatto testimone; egli, infatti, una volta
tornato, dopo aver saziato l’appetito – sottoposto a un persistente digiuno durante
la prigionia – dovrà soddisfare il bisogno di raccontare (vv. 5 e 12).
Le immagini della prima e della
seconda parte sono bilanciate. La sequenza dei tre verbi all’infinito “tornare;
mangiare; raccontare” racchiusa in un solo verso (v. 5) viene ripresa ed
esplorata nella seconda parte della poesia in altrettanti versi: “abbiamo
ritrovato la casa” (v. 10), il “ventre è sazio” (v. 11) e “abbiamo finito di
raccontare” (v. 12).
Da un punto di vista
contenutistico la poesia è caratterizzata da un preciso bilanciamento di
immagini antitetiche (vita e morte, sogno e veglia) i cui confini tendono a
sfumare. È presente, inoltre, un continuo rincorrersi di temi ed emozioni
all’insegna dell’alternanza (orrore della prigionia, libertà e, di nuovo, paura
della segregazione). I sopravvissuti non portano solo il ricordo dell’esperienza
passata, la cicatrice di quello che hanno subito ha scavato nell’anima e nella psiche.
La parola chiave è la tregua che
da avvio al componimento; la sospensione dal conflitto, il riposo dalle
continue atrocità, la dimensione del sogno in cui si torna a casa, viene
interrotta dallo “Wstawać” del campo. Una volta che si è tornati a casa il
presentimento che si tratti ancora una volta di una tregua è ormai certezza: presto
o tardi un nuovo “Wstawać” costringerà i superstiti – nessuno escluso – ad
aprire gli occhi e li farà ripiombare nell’incubo del Lager.
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