La poesia, dal forte tributo virgiliano, alterna attimi di quiete e di vita ordinaria a immagini funeree, in un contesto straziante che avvolge tutto il componimento.
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O tu che dormi là su la fiorita |
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Collina tósca, e ti sta il padre a
canto; |
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Non hai tra l’erbe del sepolcro udita |
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Pur ora una gentil voce di pianto? |
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È il fanciulletto mio, che a la romita |
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Tua porta batte: ei che nel grande e
santo |
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Nome te rinnovava, anch’ei la vita |
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Fugge, o fratel, che a te fu amara
tanto. |
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Ahi no! giocava per le pinte aiole, |
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E arriso pur di visïon leggiadre |
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L’ombra l’avvolse, ed a le fredde e
sole |
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Vostre rive lo spinse. Oh, giú ne
l’adre |
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Sedi accoglilo tu, ché al dolce sole |
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Ei volge il capo ed a chiamar la
madre. |
Oh tu che riposi sulla fiorita
collina toscana, tuo padre dorme accanto anch’egli accanto a te; non hai
sentito poco fa tra le erbe del sepolcro un puro, innocente, pianto? È mio
figlio, che bussa alla tua porta solitaria: lui che portava come te il grande
venerabile nome; anche lui lascia la vita, o fratello, che a te fu tanto
dolorosa. Ah no! Mio figlio giocava nelle aiuole variopinte, e allietato anche
dall’immaginazione; la morte lo prese con sé e lo portò alle vostre fredde e
solitarie sponde. Oh, giù nei luoghi oscuri accoglilo tu, poiché al calore del
sole volgerà il volto chiamando la madre.
La poesia di Giosue Carducci
viene ispirata dalla morte prematura del figlio Dante, di appena 3 anni,
avvenuta improvvisamente il 9 settembre 1870. Il sonetto è un’accorata
preghiera al fratello, anch’egli di nome Dante (vv. 6-7), come il grande poeta,
la cui vita fu però “amara tanto” (v. 8). Il fratello del poeta, infatti, morì
di morte violenta in circostanze misteriose all’età di vent’anni. Nella terza
strofa (v. 9) il poeta, dopo aver paragonato la morte del figlio a quella del
fratello si corregge e coglie il momento per parlare della vita felice – anche
se breve – che conduceva il primo quando venne avvolto dalla morte (v. 11). La
poesia alterna, così, immagini di quiete e di vita ordinaria a immagini funeree,
in un contesto straziante che avvolge tutto il componimento. Un’unica poesia
parla di due lutti che hanno funestato la vita e la famiglia del poeta.
Il sonetto è costituito in
prevalenza da endecasillabi il cui schema si risolve in un tradizionale ABAB
ABAB CDC DCD, dove le ultime due stanze, solitamente più soggette a variazioni,
in questa poesia rispettano un andamento più discorsivo riprendendo una
soluzione di rime alternate – in continuità con le prime due quartine.
In alcuni casi – nei versi più
lunghi – il poeta abbandona l’endecasillabo e utilizza soluzioni metriche più
originali, formalmente meno tradizionali. Ne è un esempio il verso 13. Il verso
è composto da un senario, con l’accento tonico sulla quinta sillaba [cà-po] e
da un settenario con accento tonico sulla sesta sillaba [mà-dre]. Una soluzione
composita che, senza tradirne la musicalità, consente versi lunghi e articolati.
In altri versi è molto marcata la
presenza della sinalefe che garantisce maggiore unità all’interno dei versi e
conferisce un andamento più scorrevole e musicale; si veda ad esempio il verso
8 in cui la parola “fugge” lega con la “o” successiva [Fug-ge͜ o
fra-tel] o al verso 12 “spinse” lega con il successivo “oh” [lo spin-se.͜
Oh giù ne l’a-dre].
Il ritmo della poesia è dato da
un sapiente uso dell’anastrofe che, invertendo alcuni elementi della frase fa
cadere la rima di fine verso con molto naturalezza: questo avviene ai versi 3,
5, 12 e 13. L’andamento e il ritmo della poesia viene mantenuto costante da un
sapiente uso degli enjambements: ai versi 1-2 (“fiorita/ collina Tosca”),
ai versi 6-7 (“santo/nome”), 7-8 (“la vita/fugge”) e ai versi 11-12 (“fredde e
sole/vostre rive”) esattamente a legare due strofe.
Il titolo del componimento,
suggerito da un emistichio dell’Eneide, libro VI vv. 429-430: «Dulcis
vitae exsortis…/ abstulit atra dies et funere mersit acerbo» (ancora
ignari della dolce vita… la negra morte li rapì e li travolse prematuramente),
chiarisce l’impianto tematico complessivo. Carducci invoca con una preghiera il
fratello Dante affinché accolga il figlio del poeta. I due non condividono solo
il nome ma anche il destino infelice che ha sovrastato entrambi – pur nelle
differenze che il poeta non manca di rilevare. Una tenue consolazione per il
poeta potrebbe essere sapere che il fratello sia una guida per il figlio. C’è
una forte consonanza tra zio e nipote ricongiunti nella morte, in cui il più
grande, novello Virgilio, potrebbe essere identificato quale guida che accompagni
il piccolo Dante appena scomparso.
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