domenica 19 aprile 2020

Underwater: Una delusione 20mila leghe sotto i mari


Underwater di William Eubank è una grande occasione sprecata. Oppure no? Molti lo hanno elogiato calcando le dichiarazioni e gli slogan promozionali che, in fase di lancio, lo hanno definito come la fusione tra Alien e The Abyss. Francamente non so a quale dei due film somigli di meno. E per fortuna!


Recensione di Mattia Sangiuliano


Underwater (2020) di William Eubank è una grande occasione sprecata. Oppure no? Molti lo hanno elogiato calcando le dichiarazioni e gli slogan promozionali che, in fase di lancio, lo hanno definito come la fusione tra Alien e The Abyss. Francamente non so a quale dei due film somigli di meno. E per fortuna!

La presenza di una creatura aliena al nostro mondo, strana ed incomprensibile, sembra rievocare, direttamente dal pantheon della cinematografia fantascientifica, l’inarrivabile Alien di Ridley Scott; mentre la presenza di acqua – tanta acqua – riporta alla mente un altro gigante del cinema: The Abyss, di James Cameron. Per il resto siamo lontani anni luce dai due film capolavoro sopra menzionati.

Per Underwater è stato proposto il solito plot attingendo a piene mani da un calderone fatto di “già visto” oscillante perennemente tra un “già fatto” e un “come [inserire titolo a caso qui] però non riuscito pienamente”. Del film si salvano poche cose. Anzi, forse solo una: l’inizio a bomba – letteralmente – in stile fuochi d’artificio, mette dopo i primi minuti i protagonisti al centro del disastro; preambolo atomico che promette una pellicola fatta di azione e colpi di scena. Promessa destinata a naufragare dopo il primo quarto d’ora. Minuto più, minuto meno.

Croce e delizia – si fa per dire – di questa pellicola è lei: Kristen Stewart, alias Quella-Di-Twilight. Quello che la pellicola perde nella scrittura della sua trama non lo guadagna di certo con la scelta della protagonista. Una trama così annacquata non poteva che calzare come un guanto su una protagonista altrettanto scialba. Sembra quasi che Eubank l’abbia cercata per dare il colpo di grazia alla pellicola. Protagonista stellata, costata una buona percentuale del budget stanziato, riesce – con la sua presenza – a non declassare il film ad una sottospecie di B-Movie-più.

Kristen Stewart, in una scena del film, probabilmente appena uscita da qualche festival indie


La Stewart, non ho ben capito che problema abbia: o ce la mette tutta per impersonare personaggi insipidi oppure è così di natura. Insopportabilmente flemmatica, sino a sfiorare il parossismo, è calata a forza in un personaggio che sembrerebbe calcare una rediviva Ellen Ripley in versione ammodernata ed indie: quindi un paradosso in carne ed ossa. Più fortunata che determinata, non riesce a far salire il tasso adrenalinico oltre il livello del “pizza-e-birra-is-the-new-sabato-sera-in-quarantena” con la sua scarsa capacità espressivo-recitativa. Più vittima degli eventi che motore di cambiamento, riesce a sopravvivere alle minacce abissali solo perché sfacciatamente fortunata e non per capacità combattive.

Il quadro della trama calza a pennello sulla Stewart, al punto da fornire un giusto background strappalacrime – più o meno – da tirare fuori al momento giusto – ovvero quando nessuno glielo chiede, in una parentesi di tregua – con l’intento di virare il film verso il melodramma. Vera e propria copia riuscita male della final girl tradizionale, non ci fa sentire minimamente lo scorrere dell’adrenalina – altro grande assente di questa trama.

Le evidenti carenze di scrittura, accompagnate ad una protagonista non propriamente espressiva, riescono a tratti a passare in secondo piano, lasciando il posto agli effetti speciali. Anche qui, nel complesso, abbastanza deludenti. Forse la regia, conscia dei limiti della pellicola, ha deciso di investire un’altra considerevole percentuale del budget in effetti speciali rivelatisi poi di dubbia efficacia. Mettere scene d’azione spericolate in fondali marini estremamente bui non è proprio un grande affare: il risultato sono vorticose scene in cui non si riesce a capire letteralmente una mazza. Salvo qualche sbudellamento d’eccezione – due, di numero, in tutta la pellicola – il film è scarsamente digeribile.

Deludente prima prova di Eubank sul grande schermo con un film diverso dai suoi precedenti lavori indipendenti o autoprodotti. Un vero peccato perché il suo The Signal (2014) è stato davvero una piccola perla nell’oceano – per rimanere in tema marino – di pellicole che si millantano “di fantascienza”: opera inquietante al punto giusto – non senza qualche difetto – con il coraggio di reinterpretare il filone degli alien-movies. Altra dimostrazione che, per sfornare blockbuster come Underwater, devi adeguarti alla deriva del pubblico che vi si accosta entusiasta.

È doveroso concludere dicendo che, nel panorama cinematografico contemporaneo, il continuo rincorrere i titoli che hanno fatto la storia del cinema – in particolar modo delle pellicole di fantascienza – sottolinea con maggiore evidenza la più che completa assenza di innovativi ed originali prodotti di qualità legati a questo genere. Citazioni di altre pellicole ed indecorose quanto forzate pastiche, accompagnate ad iperboliche campagne pubblicitarie che promettono “il film dell’anno”, sono una brutta abitudine che non giova affatto al settore cinematografico in generale. Ed Underwater, in questo ambito, è una triste conferma.

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