La poesia “Pasqua di Resurrezione” è un viaggio oltre i confini della propria realtà, dal transitorio qui-ed-ora; laddove la resurrezione non indica ciò che i lettori sono abituati ad immaginare il poeta scardina la continua ed inesausta ricerca di spiegazioni che scandiscono la vita umana.
Commento di Mattia Sangiuliano
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René Magritte; La grande famiglia (1963) |
«Piove e siamo all’osteria.
Ed in una terra come questa,
dove non abbiamo né che fare
né che vedere» (Annibal caro)
Filtravano.
Dalle crepe
Del nulla, filtravano
Nell’apparenza.
Ombre scure,
sùbito schiarite in forme
e colori.
Figure
familiari.
Fecce
da coltello.
Nel campo
d’una rosa, la vipera
– rattratta – lingueggiava
bifida.
Il cuore
ne sobbalzava.
Inutile
cercar d’alzar il bicchiere.
Di colpo, lo riabbassava
– imperativo – il calo
della luce.
La brulla
risorgenza.
Il nulla.
Il calendario segnava:
Pasqua di Resurrezione.
La mente – in vino – riapprodava
nel porto della sua interdizione.
da Il conte di Kevenhüller (1986)
Giorgio Caproni, una delle più grandi voci poetiche del ‘900, è autore
di un tipo di poesia apparentemente chiusa, a tratti ermetica, in cui i versi franti e ariosi
conducono il lettore in una discesa verso la materia lavica e pulsante della
vita umana. Le poesie di Caproni non sono sempre di immediata comprensione; le
immagini che il poeta evoca sono continui rimandi ad una dimensione altra in
cui l’io lirico, fattosi attore, viene messo a nudo e in grado di attingere a
piene mani da un’esistenza altrimenti sfuggente.
La comprensione e la ricerca della Ragione sono temi cardine nell’ultimo
Caproni, rintracciabili nella raccolta poetica intitolata Il conte di Kevenhüller
(1986) – raccolta strutturata come un libretto d’opera. Alla ricerca di Dio si
sostituisce la caccia di una fantomatica Bestia, un’allegoria che spinge l’io
lirico ad un viaggio avente un fine puramente gnoseologico, dove la preda è la stessa
conoscenza.
La poesia “Pasqua di Resurrezione” è un viaggio puramente mentale che
il poeta compie senza spostarsi fisicamente ma facendo navigare la mente oltre
i confini della propria realtà, estraniandosi dal transitorio qui-ed-ora; laddove
la resurrezione non indica ciò che i lettori sono abituati ad immaginare il poeta
scardina la continua ed inesausta ricerca di spiegazioni che scandiscono la
vita umana, palesa l’esistenza di un’alterità che va oltre la dimensione contingente.
Il componimento si apre con una sorta di precisazione topografica, con
il riferimento ad Annibal Caro, possiamo ricondurre in questo modo l’ambientazione
della poesia di Caproni al luogo chiuso e delimitato di un’osteria – topos molto presente nei componimenti caproniani.
La mente dell’io lirico è errabonda in una dimensione di sospensione posta
fuori della realtà. Da alcuni squarci che si aprono in questo nulla filtrano,
nell’irrealtà immaginifica, delle ombre inizialmente indistinte, poi delimitate
da forme e dotate di colori. Sono figure conosciute. Sono scarti che si possono
separare con l’impiego di un coltello; queste immagini sono vere e proprie
minacce: come lo spazio di una rosa che nasconde una sibilante vipera dalla
lingua biforcuta ripiegata su sé stessa, rattrappita.
Il cuore, intimorito da quella vista, sobbalza nel petto.
È inutile tentare di alzare il bicchiere per bere, l’affievolirsi
della luce – verosimilmente della ragione – gli impone di abbassarsi di nuovo. È
il cupo e buio “nulla” che si sostituisce nuovamente alla luce, come un lampo
della stessa e contraria materia, come una nuda resurrezione, scalza ogni forma
di luminosità.
Il calendario dice che oggi è Pasqua – ovvero Resurrezione.
La mente, imbibita di vino, torna così nuovamente errabonda in luoghi
a lei interdetti.
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