lunedì 25 maggio 2020

“Memorie di un’astronauta donna”, tra science fiction e impegno sociale, non è una semplice opera di fantascienza


Memorie di un’astronauta donna (1962) è un diario di viaggio attraverso il multiforme contatto con l’alterità, arricchito da inedite variazioni sul tema.

Recensione di Mattia Sangiuliano


Memorie di un’astronauta donna, Naomi Mitchison, Castelvecchi editore, 2013, pp. 188.

Esistono opere di fantascienza o di science fiction – nella più fortunata e ormai diffusa definizione, tra cultori e profani – che non parlano solo di avventure ai confini del nostro mondo o di temerari viaggi esplorativi nel tentativo di espandere i limiti della conoscenza umana. Alcuni libri di genere fantascientifico nascondono tra le pieghe delle loro pagine messaggi complessi o connotati da un’inusitata venatura intimistica che porta con sé implicazioni di carattere sociale e politico.

Memorie di un’astronauta donna (1962) è un diario di viaggio non solo tra le stelle, come farebbe supporre il titolo, ma attraverso il multiforme contatto con il diverso, con l’alterità. Il diverso da noi è una componente estremamente frequente nel genere fantascientifico e in alcune sue ramificazioni. Qui, con il romanzo della Mitchison, il contatto con l’alieno – ovvero l’estraneo – viene arricchito da nuove, e all’epoca inedite, variazioni sul tema.

Figlia di uno scienziato e sorella di un biologo, Naomi Mitchison è sempre stata a stretto contatto con la componente scientifica. La sua storia familiare fa subito pensare a Italo Calvino, che aveva un padre agronomo e la madre docente di botanica o, ancora, ma con una formazione eminentemente scientifica, riporta alla mente il chimico Primo Levi, che scrisse anch’egli opere ascrivibili alla science fiction. In maniera divergente ma a tratti analoga, da questi due profili di scrittori italiani, la Mitchison si occupò solo marginalmente di fantascienza.

Scrittrice eclettica diede alle stampe solo alcuni lavori ascrivibili al genere fantascientifico. Il miglior risultato di questo suo impegno collaterale fu, indubbiamente, Memorie di un’astronauta donna; opera che ha consacrato la Mitchison probabilmente ben oltre le sue intenzioni. Molti cultori, estimatori o, semplicemente, appassionati di science fiction, concordano nell’annoverare questo lavoro della scrittrice britannica tra le migliori prove letterarie fantascientifiche del secolo scorso.

La protagonista del racconto, Mary, non è una semplice astronauta – come farebbe supporre il titolo. Non è solo un’esploratrice ma una scienziata specializzata in comunicazioni. In questo aspetto, tutt’altro che marginale, si denota l’importanza del sapere scientifico e delle conoscenze che devono essere messe al servizio di una missione i cui componenti sono specialisti in diversi campi dello scibile. L’esplorazione ha come fine ultimo la comprensione – nell’accezione latina del termine “cum” + “prendere”, ovvero “prendere insieme” (o mettere insieme).

Il pool di scienziati chiamati ad assolvere a queste missioni deve affrontare problematiche di volta in volta diverse, sovente anche rischiose. L’acume degli scienziati-esploratori è essenziale per garantire il buon esito delle spedizioni. Il ruolo di Mary, in un universo popolato da specie aliene non è marginale. In quanto esperta di comunicazione deve rendere possibile il contatto tra specie extraterrestri ed esseri umani, attraverso le sue competenze e le esperienze acquisite sul campo di diverse missioni.

L’antropocentrismo di cui la mente umana è viziata ci fa solitamente immaginare altre specie extraterrestri come possibili essere simil-umani, dotati al massimo di un numero variabile di arti e/o di appendici, e di un colore diverso dal nostro. In molte opere fantascientifiche non esistono neppure difficoltosi aspetti comunicativi poiché, il più delle volte, gli extraterrestri sono dotati di un apparato fonatorio che consente una comunicazione di tipo verbale. Molto spesso il problema dell’aspetto comunicativo è una questione di traduzione. 

Ma se gli esseri che abitano insondabili profondità siderali non avessero questo tipo di apparato fonatorio[1]? In maniera felicemente non convenzionale la Mitchison immagina i problemi – tutt’altro che semplici – che la sua eroina deve affrontare, riuscendo ad arricchire il panorama scientifico con un’opera originale ma, all’epoca, passata in cavalleria come secondaria. Forse per le altre tematiche che la scrittrice fa confluire nel suo libro.

Naomi Mitchison non parla solamente di fantascienza. L’intero libro è una sorta di diario e, al tempo stesso, di lettera in cui la protagonista, Mary, si rivolge a sua figlia: Viola. Viola è frutto di una sua relazione con un marziano, individuo figlio della sua specie, freddo e scostante, estremamente razionale; peculiarità della specie marziana, nella narrazione di Mitchison, è quello di comunicare attraverso il tatto. Un aspetto, questo, che viene sfruttato dalla Mitchison per parlare, in maniera estremamente naturale, della sessualità e della procreazione. 

Nel corso di una comunicazione – in situazione di stringente emergenza – tra Mary e il marziano Vly avviene che questi, inavvertitamente, attivi un ovulo di Mary dando via ad una sorta di fecondazione che porta al concepimento e alla successiva nascita di Viola, una creatura in tutto e per tutto figlia di sua madre, dotata di un corredo genetico aploide. Un concepimento senza effettiva fecondazione dunque. L’effetto di questa aploidia di Viola la connota come una bambina leggermente più minuta della norma e con un patrimonio genetico derivato solo dalla componente materna. 

La Mitchison si pone domande solitamente escluse dal canone della science fiction ordinaria arricchendo il panorama fantascientifico. In maniera non del tutto secondaria l’autrice mette al centro della narrazione una vicenda umana – e soprattutto femminile – che si pone continue domande sul suo ruolo e la sua triplice esperienza di scienziata-esploratrice, madre e donna, parlando di sessualità, amore e morte con una naturalezza spontanea e sempre attuale; tutti aspetti che rendono Memorie di un’astronauta donna un’opera dall’incredibile valore non solamente letterario ma anche sociale.




[1] Una tematica, quella della comunicazione non ordinaria, ricca di complessità e di possibili errori, nonché estremamente affascinante sotto il profilo pratico, affrontata da un libro quale Storie della tua vita di Ted Chiang, noto al grande pubblico per la trasposizione cinematografica del 2016 con il titolo Arrival, diretto da Denise Villenueve.

Nessun commento:

Posta un commento

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...