recensione di Mattia
Sangiuliano
Buone nuove da “Il
pianeta dei morti”. Dopo La casa delle memorie, La fine
è il mio inizio:
questo il titolo e – felice – postilla che ci rammenta la nuova
direzione presa da questa testata annuale, scegliendo di seguire le
vicende di un brizzolato e un po' disilluso Old Boy, in un futuribile
salto avanti nel tempo; verosimile esito di una scelta fatta dal
nostro Dylan, in un antefatto non privo di una dolente nota di
rimpianto, che ha portato il mondo ben oltre l'orlo del baratro. E
dell'incubo.
Storia densa di
significato, può prestarsi a varie interpretazioni a seconda del
livello che scegliamo di leggere, tutt'altro che semplice e banale.
Mai dare per scontato il nostro Dylan, men che meno nelle testate
fuori di quella regolare. Questa lezione ce la impartisce il buon
Alessandro Bilotta che, dopo essersi cimentato nella
riuscitissima “macchina umana”, con questo numero speciale ci
dimostra di saper tenere salde le redini di questo suo soggetto
distopico dibattentesi tra immemori e ritornanti. Due drammatiche
facce della stessa medaglia.
Se nel caso della serie
regolare siamo stati rapiti dalle vere e proprie esplosioni a tutta
pagina di illustrazioni piene e dense, le testate parallele – come
questa – non abbandonano i binari del più rigido formato
bonelliano, incasellato nella sua forma, da quella struttura ben
ordinata che racchiude il comparto grafico. Nonostante ciò, ben si
destreggia negli angusti spazi delle celle bonelliane il nuovo Giulio
Camagni, dal tratto curato che, nonostante qualche
semplificazione, riesce a dilatare gli spazi fisici e mentali della
storia, coerentemente in tutte le 160 pagine dell'albo.
Dylan Dog, sempre lui. O
quasi. Il nostro eroe sembra essersi lasciato andare; inizialmente
meno combattivo si lascia cullare dai fumi che lo costringono in
quell'Oasi in cui ha cercato riparo, tra le braccia di Sybil.
L'incontro con il misterioso e gnostico Simon Herbert – chiave di
volta scelta da Bilotta per nuove rivelazioni – lo spingerà
all'azione e, tra le righe, ci ricorderà a modo suo che il male,
come la materia, non si crea ne si distrugge: cambia solo forma.
A volte ritornano.
Persone – tramutate – e ricordi – deformati. Disumanizzate, ma
non fino in fondo le prime, frammentati i secondi. Un'eco che
confonde e distrae, un mare di citazioni che annebbiano la mente del
nostro eroe un po' appannato; una chiamata all'avventura che ha il
sapore di un ritorno all'ordine, tra vecchie conoscenze e nuove
rivelazioni. Come l'Odisseo omerico ritiratosi sull'isola della maga
Circe, il nostro Dylan si libererà dal giogo dell'incanto e
dell'oblio.
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