recensione di Mattia
Sangiuliano
Nella società contemporanea, in termini consumistici, ogni cosa può divenire merce. Tutto può essere comprato, acquistato per soddisfare un proprio impellente bisogno, anche il più infimo. Ogni cosa può essere ottenuta, per saziare un proprio appetito. Anche il più basso. Il più contorto palato può essere accontentato; il più subdolo, truculento e sanguinoso istinto spento.
Nelle strade fuori mano –
nelle grandi città anche nei centri storici – possiamo facilmente
trovare donne che, soggiogate, vendono il loro corpo. Walter
Benjamin, filosofo, parlando di sviluppo metropolitano lo univa
al fenomeno della prostituzione: una nuova forma di schiavitù. Anche
in questa storia, ideale prosieguo del mese scorso, sono ancora le
donne le vittime designate. Da una grande metropoli ad una cittadina
del Kent, l'incubo è sempre dietro l'angolo.
Dylan viene spinto in
un'indagine che porta dentro di sé il tormento di un riposo negato.
Il ritrovamento di una ragazza, d'improvviso risputata da una
violenta tempesta di odio, è il motivo che lo conduce a scontrarsi
con gli istinti più biechi dell'umanità. Fabrizio Accatino ci fa
sprofondare in un oceano di tormenti facendoci toccare con mano una
silenziosa disperazione che ci guida inesorabilmente contro gli
scogli dell'umana indifferenza.
Roberto Rinaldi
ci spinge nel gorgo di una disperazione tangibile cui neppure la
morte pone fine. Le sue tavole piene e cupe tracciano la geografia
dell'incubo di questa storia per certi versi a-tipica in cui la morte
– madre pietosa, ci insegnava altrove il nostro Dylan Dog – qua è
fonte di strazio novello. Dove la schiavitù è istituto che incontra
la domanda e l'offerta economica, esseri spregevoli, come quelli
descritti in questo racconto, tirano le fila dell'incubo; la loro
morale è cruda e brutale: tutto può essere comprato. Ogni cosa ha
un prezzo.
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