Recensione
di Mattia Sangiuliano
“Annientamento”, di Jeff VanderMeer,
Torino, Einaudi, 2015, p. 182, 16€.
Primo
libro di una trilogia costruita apposta per non vuole dipanare i dubbi, nello
svolgimento della trama, bensì fomentarne di nuovi, al massimo tentare,
abbozzandola assieme al lettore, qualche tesi; avanzando di ipotesi in ipotesi,
attendendo la risoluzione dell’enigma, si giunge all’ultima pagina del libro
senza aver completato quel mosaico che Jeff VanderMeer, autore della trilogia,
lascia irrisolto. Viene da pensare ad un’opera in divenire o ad una struttura
pensata apposta per essere divisa intenzionalmente in una trilogia. Eccezionale
la copertina, di questo e degli altri due volumi della serie. Forse un motivo in più per prendere in mano i
libri e vedere dove voglia andare a parare l’autore.
Un
mistero pervade la trama e il compito che la XII spedizione, reclutata
dall'organizzazione governativa conosciuta con il nome di Southern Reach, dovrà
svolgere in quella misteriosa zona estranea, aliena, conosciuta con il nome di
Area X. Una serie di misteri avvolgono l'Area X e le dinamiche che la
investono; primo su tutti il mistero della sua comparsa. In questo alone di sospensione
– ma anche vaghezza andrebbe bene – la dimensione psicologica della
protagonista, la biologa della spedizione che, assieme alle altre tre
componenti, ha rinunciato al proprio nome, è l'appiglio cui aggrapparsi,
l'unico spazio concretamente sondabile nel progredire della trama, capace di
instaurare un “dentro” e un “fuori” da quel confine che avvolge il mistero
dell'Area X, tra misteri, scoperte – parziali – e flashback che fanno slittare
il piano narrativo.
Elemento
straniante la perdita del nome e, quasi, la rinuncia all’identità,
all’individualità una volta varcato il non meglio precisato, ed evanescente,
confine che conduce nella fantomatica Area X. Per riappropriarsi del proprio Io
si instaura un dialogo serrato con sé stessi; un monologo diaristico sussurrato
al proprio orecchio interiore che ha il duplice compito di auto-indagare la
propria mente e di cercare una spiegazione al mistero. La denunciata
limitatezza dei sensi dell’Io narrante è lo stratagemma narrativo escogitato
per poter sbirciare nel vuoto, stando attenti a non buttarvisi dentro – non
senza rammarico –, e rintracciare così una possibile spiegazione del mistero;
una soluzione accennata fra le tante, non necessariamente quella giusta e
definitiva che, dopotutto, non poteva di certo arrivare dai sensi.
Lo
stratagemma dell’indicibile, della rivelazione che non riesce a far presa sui
sensi del narratore e, di conseguenza, su quelli del lettore è il motivo di
avvio dei dubbi; il combustibile propulsivo che mette in moto la fantasia. Stratagemma
che, se vogliamo lasciar strizzare l’occhio allo scrittore verso un lettore
distratto, ci consente di ingoiare il rospo; boccone amaro, ammettiamolo, ma
tutto sommato digeribile. Azione, descrizioni, momenti di riflessione, in quel
soliloquio interiore, evitano di far cadere il libro nella più militante – e
fiera – letteratura di genere. Imprigionandolo però in un limbo tra la
paraletteratura, degna di questo nome, e la narrativa.
Si ha
il presentimento di un best seller con tante buone intenzioni, pubblicate però
troppo in fretta. È certamente un buon compagno per poter passare una
settimanella spalla a spalla col mistero che avvolge l’Area X e le sue vicende,
le ansie che è in grado di suscitare e i pericoli che è capace di risvegliare
dalle profondità più recondite della mente umana: il più alieno ed estraneo dei
mondi possibili; a tratti sembra quasi di sentire il ronzio di un silenzioso e
strisciante incubo innominabile.
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