lunedì 1 febbraio 2021

La giunta regionale delle #Marche rispolvera una pericolosa idea di politica demografica

L’appello della società civile, e di diverse forze politiche, per il rispetto della legge 194 deve scontrarsi contro il muro di un'amministrazione di destra, sempre più ottusa, che non si interroga sulle cause reali della denatalità e sfrutta il tema per scagliarsi contro il diverso.

 di Mattia Sangiuliano


Il Consiglio regionale delle Marche pullula sempre più di fraseggi retorici e nostalgici che fanno per un attimo dubitare che il ventennio sia realmente stato sconfitto e che, dalla sua dipartita, il popolo abbia appreso diversi insegnamenti: primo fra tutti quello della democrazia, conquistata con le unghie e con i denti. Sono ancora vive nella mente le esternazioni dello scorso novembre del direttore generale dell’ufficio scolastico delle Marche, Marco Ugo Filisetti (qui).

Coerente con il proprio programma politico – nonché con la dottrina che non si cura di nascondere – la giunta regionale di – estrema – destra insiste nel propagandare e perpetrare una politica becera edificata sulla pelle delle donne, decidendo così di vietare la pillola RU 486 nei consultori.

Il Presidente della regione, Francesco Acquaroli, già ampiamente biasimato dall’opinione pubblica in campagna elettorale per i trascorsi che lo vedevano tra i partecipanti di una famosa cena organizzata dai “nostalgici” – si legga pure fascisti – del ventennio più buio della storia patria, è ora alla guida di una maggioranza tutt’altro che moderata: un vero e proprio focolaio di casi umani che, abiti a parte, sfoggiano costumi non troppi distanti da quelli del famigerato Jake Angeli dell’assalto al Campidoglio statunitense.

Ancora una volta il tema dell’aborto viene derubricato dai più – ed erroneamente – come una pratica equiparabile ai sistemi contraccettivi. Ancora una volta i diritti conquistati con innumerevoli battaglie non sono al sicuro dagli scomposti attacchi di falangi reazionarie ed oscurantiste.

Il pensiero – si fa per dire – della destra conservatrice viene esposto direttamente nel Consiglio regionale dal Capogruppo di Fratelli d’Italia, Carlo Ciccioli, che probabilmente rimasto agli anni ’20 del secolo scorso esordisce con un «oggi la vera battaglia da fare è per la natalità».

Un pensiero semplice e lineare, quanto unto e insozzato da una neppur troppo velata apologia. Il pensiero corre immediatamente all’arretratezza economica e civile dell’Italia degli anni ’20 del secolo scorso, funzionale al regime fascista, la cui parola d’ordine era ruralizzazione e si sposava – consolidando il rapporto fascismo-chiesa dei patti lateranensi – con l’esaltazione del matrimonio e dell’istituto della famiglia. Questa era la sintesi della politica per lo sviluppo demografica del fascismo, scaturita dall’idea – già allora anacronistica – dell’identificazione della potenza di una nazione con il numero dei suoi abitanti.

Per poter rendere possibile questa politica il regime ostacolò il lavoro delle donne ed il processo dell’emancipazione femminile, istituì premi per le coppie più prolifiche e, nel ’27, istituì una tassa per i celibi. La donna veniva così degradata e reificata a mera incubatrice per la patria, vedendo scomparire quel poco che si era guadagnato nel decennio precedente in tema di diritti – ad esempio sul lavoro.

In linea con la politica totalizzante che il fascismo perseguiva, diffondendosi in ogni aspetto della società civile, istituì le proprie strutture organizzative rivolte alle donne: i fasci femminili, le piccole italiane e le evocative massaie rurali, la cui principale funzione era valorizzare le virtù domestiche della donna relegandola nella tradizionale dimensione di angelo del focolare.

Eccola dunque l’idea di società che agogna il fino Ciccioli che, proseguendo nella sua vaneggiante dissertazione in consiglio regionale, materializza l’acerrimo nemico del centro-destra (dove la parola “centro” è meramente eufemistica): «Non posso accettare che siccome la nostra società non fa figli allora possiamo essere sostituiti dall’arrivo di persone che provengono da altre storie, continenti, etnie»
Si manifesta il paradigma della fantomatica “sostituzione dei popoli” che fa gelare il sangue ai seguaci della pasta all’aglio e olio – rigorosamente di ricino[1].

L’appello della società civile, e di diverse forze politiche, per l’applicazione e il rispetto della legge 22 maggio 1978, n.194 sembra impantanarsi sempre di più in una regione spostata a destra che dimostra di non aver neppure letto il primo comma della legge che tutela la procreazione[2]; un'amministrazione regionale sempre più ottusa che non si interroga sulle cause reali della denatalità e sfrutta il tema dell’interruzione della gravidanza per scagliarsi contro il diverso. Una regione, le Marche, in cui il numero degli obiettori di coscienza è da capogiro, praticamente la maggioranza di quelli in servizio.
Se si analizzano i dati provincia per provincia si apprende che gli obiettori di coscienza sono il 90% a Fermo, l’82% ad Ascoli, 69% a Macerata ed il 67% a Pesaro e ad Ancona.

Chi commenta le dichiarazioni della maggioranza regionale paventa un ritorno al Medioevo. Ascoltando attentamente le parole proferite in consiglio regionale sembra invece che ci stiamo addentrando a rapidi passi verso un pietoso revival del famigerato ventennio. E non mi riferisco a quello berlusconiano.

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