di Mattia Sangiuliano
Oggi, 3 febbraio 2018, il
fascismo ha mostrato il suo vero volto nella maniera più drammatica e violenta
possibile. Non si è limitato a commenti offensivi o apologetici nel mare magnum
– talvolta latrina, più che mare – dello spazio digitale, confondendosi dietro
i panni consunti di qualche leone da tastiera, ha mostrato invece i denti
azzannando alla gola, come una bestia inferocita, una città; l’attacco è
risultato tanto più sconvolgente quanto inaspettato.
È un copione già scritto, è la
trama del terrore che si dipana sotto gli occhi degli spettatori più volte nel
corso di una stessa settimana. Questa volta la cornice della violenza non è la
Francia mediterranea né tantomeno i lontani Stati Uniti o un’altra regione
distante anni luce dalle nostre vite. Questa volta il mostro del terrore ha
bussato alla porta di casa facendo risuonare le detonazioni dei proiettili.
L’identikit è semplice quanto
riduttivo: testa rasata e pistola carica; non è l’American History X con Edward
Norton o una tetra riattualizzazione della “Macerata violenta”. La violenza è
incominciata nella tarda mattinata dopo le 11, spostandosi a bordo di un’alfa
romeo nera, lasciando dietro di sé bossoli e sangue, cavalcando l’onda del
terrore che incominciava ad ingrossarsi, risucchiando un’intera città nel
panico.
Cominciano le notifiche via
WhatsApp, un breve comunicato audio del sindaco si diffonde di chat in chat, di
gruppo in gruppo: mette in guardia la cittadinanza. Si pensa ad uno scherzo ma
qualcosa non quadra. Si diffondono i primi articoli su Facebook accompagnati da
immagini di posti di blocco. Riecheggia nelle orecchie la voce del sindaco che
parla di uno “squilibrato” che si aggira armato per la città lasciando dietro
di sé sangue e distruzione. Mette i brividi. Il fatto che le vittime abbiano
tutte la carnagione scura fa paura. I feriti sono 6.
Seguo la vicenda da casa mia, a
60 km di distanza dal mio ateneo in cui sono stato appena qualche giorno prima.
Anche in me l’incredulità lascia lo spazio all’orrore più sincero. Ormai è
chiaro che la città non sia vittima di uno scherzo ma ostaggio di qualcosa di
spaventoso. Poco prima di pranzo l’uomo viene fermato. In questo lasso di tempo
ogni tassello, dapprima fornito in resoconti fumosi, ha contribuito a delineare
un ritratto tutt'altro che confuso dei fatti.
L’epilogo della mattinata è
semplice: un ragazzo poco più grande di chi sta scrivendo scende da un’alfa
romeo nera davanti al monumento ai caduti, un tricolore italiano per mantello,
rivolge un saluto romano alla città che ha gettato nel terrore seminando panico
e sangue. Non oppone resistenza alle forze dell’ordine che lo hanno braccato in
quelle ore, evita il martirio. Docile, si arrende. Viene arrestato e portato
via sotto gli occhi di una città scossa e attonita.
Nel corso del primo pomeriggio l’attentato
viene subdolamente rivendicato, nella maniera più fascista che si possa
immaginare. La rivendicazione ha l’aspetto di una giustificazione, di una
rivoltante solidarietà dottrinale di partito. Cominciano a girare foto e nome
dell’attentatore, un’immagine in particolare lo ritrae in mezzo altri volti
sotto il simbolo della Lega Nord: risale al 2017, il ragazzo era candidato per
le elezioni amministrative di Corridonia nel partito di Salvini appena un anno
fa. Forza Nuova comunica la sua solidarietà verso quello che definisce un “patriota”.
L’estrema destra non ha fatto
nulla per arginare l’evitabile – non che ci si aspettasse chissà cosa,
figurarsi –, per prevenire atti intimidatori o di violenza arbitraria ai danni
di altre etnie, non si è neppure dissociata da eventi di questo tipo. Forza Nuova
in un comunicato lo giustifica e ribaltando lo scenario sostiene che «questo succede
quando i cittadini si sentono soli e traditi, quando il popolo vive nel terrore
e lo Stato pensa solo a reprimere i patrioti e a difendere gli interessi dell’immigrazione».
Un pensiero va al nigeriano Emmanuel Chidi Namdi, morto nel luglio del 2016, a
seguito delle percosse subite a causa del colore della sua pelle.
La stessa Forza Nuova, poco più
avanti, mette a disposizione dell’attentatore i propri contatti per sostenere
le spese legali. La vicenda prende qualcosa di grottesco in questo passaggio,
lascia in bocca il sapore dello squadrismo, delle azioni punitive che ne sono
all’origine e, in un copione già visto, la rivendicazione dell’azione da parte
di un’organizzazione di persone che vuole conseguire una legittimazione
politica nel maggior organo democratico del paese: il parlamento.
L’attentatore non è stato
plagiato, sedotto e armato. Ha cercato gli obiettivi da eliminare dopo aver
impugnato una pistola. E dopo questo episodio il fascismo ha rivelato il suo
vero volto non solo tollerando la violenza ma rivendicandola nella liturgia del
proprio battesimo dispensato nel sangue, distruggendo e offendendo con l’efferatezza
di un gesto violento.
Certe cose non cambiano mai. E nemmeno il fascismo.
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