mercoledì 20 luglio 2016

“La macchina umana”, storia di ordinaria schiavitù – DD n° 356

recensione di Mattia Sangiuliano


La scala di grigi che tinge le storie – e i tratti – dell'indagatore dell'incubo, ben si presta a questa tipologia di racconto che ha per oggetto proprio il grigio squallore della vita umana burocraticamente vista come oggetto, ingranaggio sostituibile di un meccanismo impazzito, ma perfetto, proprio nel suo macabro e disumano funzionamento. L'essere dis-umanizzato non è che numero gettato in pasto al dio della produzione, che tutto serializza e ottimizza; uomo, dunque, come mero produttore e consumatore; queste le uniche due caratteristiche “sociali” a lui riconosciute.




Critica sociale sulle pagine di Dylan Dog, una stoccata nel pieno stile dell'Indagatore dell'incubo. Soggetto e sceneggiatura di Alessandro Bilotta sull'onda delle tematiche sempre care all'inquilino di Craven Road – e ai suoi lettori. È il dramma umano di una malattia a-sociale che germina nella frenesia della società post-moderna: stringe e spersonalizza gli individui, soffocandoli, gettando nell'oblio il loro essere (umani), i loro sogni, desideri; divengono nient'altro che macchine di carne reificate. Questo è solo il primo passo verso la totale dissoluzione in quel panorama di totale impoverimento della vita.


Fabrizio de Tommaso, dalle copertine di Morgan Lost, ci regala splendide e tragiche tavole in bianco e nero per una storia grigia e fosca, cupa. Tutto l'incubo di questo mese condensato in una storia di ordinaria follia e corruttela che vuole rappresentare questa nostra “ricca” società moderna e presuntuosa. Uno spaccato di un'umanità che ha smarrito sé stessa tra le pieghe del profitto, scendendo a patti con il compromesso. Che prezzo ha la libertà di essere? Quale prezzo si può dare alla propria vita, al proprio tempo, guardando oltre il facile conformismo?


Si vive per lavorare o si lavora per vivere? Quale ruolo svolge il lavoro in una società in cui da diritto umano – di cittadinanza – diviene dovere economico? Dovere verso un'istituzione che nega, a sua volta, la libertà e i diritti? Dramma disumano che si svolge in una società che ci vuole consumatori. Il lavoro ci rende liberi. Liberi consumatori che nel loro giorno di riposo si riversano nelle cattedrali moderne: nei centri commerciali. Quello stesso lavoro oppressivo che fa perdere contatto con la realtà e le sue varietà multiformi, astrae e uniforma tutto al tutto, in un giogo da cui sembra impossibile liberarsi.


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