giovedì 24 marzo 2016

Batman vs Superman – uno stomaco di ferro e due palle d'acciaio

recensione di Mattia Sangiuliano


Dio benedica la mia ragazza, quell'angelo caduto dal cielo – da Crypton, forse? – che mi ha accompagnato a vedere Batman vs Superman - Dawn of Justice di Zack Snyder, stesso regista di Man of Steel (2013), il giorno della sua uscita nelle sale italiane. Dio la benedica, per il suo coraggio, perché tutta quella carne alla brace avrebbe causato una bella indigestione a chiunque. E in effetti così è stato, per molte persone.

Mi basta citare l'esempio di un gruppetto di ragazzi che, durante l'intervallo, ho udito commentare la prima parte del film fuori del bagno del cinema. Ragazza 1: «Non ce l'ho fatta. Mi sono addormentata a 5 minuti dalla pausa»; Ragazza 2: «Dovevamo andare a vedere Kung-Fu Panda»; fortunatamente interviene un concitato Ragazzo 1 a controbilanciare l'opinione delle sue amiche in puro stile proto-adolescenziale da tempesta ormonale: «Daje che il secondo tempo si picchiano!». Detto fatto.

Un ragazzo e le sue amiche, appena maggiorenni – forse – hanno riassunto in poche laconiche battute lo storyboard di BVS: un primo tempo statico che avrebbe fatto preferire allo spettatore Kung-Fu Panda 3, proiettato nella sala vicina, e un secondo tempo veramente supereroistico dai risvolti armageddoniani con tanto di fallout atomico, esplosioni, città distrutte e climax altalenante che guida l'esito orgasmico della battaglia finale: uno scontro epico a colpi di esplosioni, raggi laser, inseguimenti aerei, una girandola di cazzotti e controcazzotti da far vorticare la testa. Letteralmente. In uno stile molto poco cinematografico.

Il Man of Steel di Snyder, bello e drammatico, era tutta un'altra pasta rispetto a questo film, pur mantenendo il dramma di fondo che aleggiava attorno alla figura del vigilante di Metropolis interpretato ancora una volta da Henry Cavill, approfondisce la sua figura, i suoi dissidi interiori e le enormi responsabilità che derivano dall'avere un potere smisurato. Essere un dio tra gli uomini non è così facile come sembra. E non mette al sicuro dalla minaccia.


Inutile dire che, chi ha apprezzato il Batman di Christopher Nolan, interpretato da Christian Bale, come me – eh già, mi tocca fare outing –, non può che avere un giudizio tendenzialmente negativo del Batman reso da Ben Affleck e più in generale di questa pellicola di Snyder. Una persona che, cinematograficamente parlando, è solita digerire di tutto, per questo film avrebbe bisogno di uno stomaco di ferro per affrontare quell'eccesso di coraggio del regista – due palle d'acciaio, “balls of steel” insomma – e tutte quelle aggiunte collaterali che ha voluto fare; citazioni piuttosto forzate, forse allo scopo di spianare la strada a una lunga stagione di film sotto la stella DC.

Il Dark Knight di Nolan, attraverso la sua trilogia, ci aveva mostrato un personaggio complesso, ricco di sfumature e ambivalenze. Il Batman che sfida Superman, l'uomo contro il dio, perde tutte quelle tinte intermedie; è un uomo prigioniero del passato, letteralmente vittima degli eventi, una pistola carica, cieca, puntata verso la vendetta. Persino il ruolo del maggiordomo Alfred, interpretato dall'intramontabile Jeremy Irons, non sembra più tutore e voce della coscienza di Wayne ma vero e proprio maggiordomo relegato al ruolo di spalla del vigilante mascherato.

Eccezionale la fotografia, capace di mettere in mostra note che, rasentando l'estatico, fanno vanto di un virtuosismo ammirevole; dà il meglio di sé quando focalizza l'attenzione sui dettagli giocando con la profondità di campo e con i contrasti dei colori, soprattutto dei chiaro-scuri che tinteggiano la Gotham del vigilante mascherato che porta il marchio del pipistrello, parlando brevemente della sua genesi e del suo mondo, dei demoni del passato e del presente – ma anche di un imminente futuro. Riesce a dare quel tocco d'epoca alle ambientazioni e al personaggio di Bruce Wayne, vittima più che mai, in questa interpretazione, dei suoi fantasmi; in questa direzione forse più aderente a una visione stereotipata del Cavaliere Oscuro.

Non male alcune musiche. Quando in apertura lessi il nome di Hans Zimmer come collaboratore per la soundtrack del film non nego di aver avuto un tuffo al cuore. Eh già, dopo la colonna sonora di Interstellar ho deciso che adotterò le opere di questo compositore per il ricevimento del mio matrimonio, per la gioia della mia ragazza – sda, sarcasmo d'autore. Già dalle prime battute, dove la fotografia ben curata ci inizia all'universo di BVS abbiamo l'illusione che il maestro Zimmer abbia le redini dell'impresa. Ma non sarà così per molto. Le musiche vengono diluite. Si fa più presente la sua impronta in alcune scene che, per fotografia, ricordano il sopracitato Interstellar o un Inception. Degne di note, negative, l'ironia di certi assunti adottati: primo fra tutti le schitarrate rockeggianti che si ripetono per ogni primo piano di Wonder Woman, interpretata dalla seducente Gal Gadot (sperando che la mia ragazza non abbia sentito qualche mio sospiro di troppo). Non resta che prenderle a ridere. Per non piangere.

Un cast stellare per una deriva verso spazi siderali. Sicuramente un cast frutto di grandi aspettative naufragate però nello scontro con due grandi e complessi fumetti che avrebbero sicuramente meritato un maggior studio e approfondimento, nonché una sceneggiatura più aderente a interpretare e non a guardare – ammiccando – al Batman di Nolan. Inutile dire che, il risultato, non possa che essere un'opera seconda, che se brilla per qualche scintilla, lo fa solo per una luce riflessa, dovendo vivere nel confronto col modello precedente; nonostante qualche suo buon pregio individuale. Lex Luthor (Jesse Eisenberg) è, a livello di disturbi psicotici, l'equivalente del Jocker. Se invece l'intento era partorire un film d'azione con una trama complessa incline all'intreccio e alla macchinazione, indirizzata al grande (-issimo!) pubblico, chissà, forse l'intento sarà pure riuscito.


Altra piccola parentesi per i pessimi trailer nostrani che spoilerano ¾ del film in due minuti di passeggiata su YouTube. Guarda caso una malattia tutta italiana questa.

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