recensione di Mattia
Sangiuliano
[Questa è una recensione che, dalla prima settimana di luglio riposava mutila e poco più che abbozzata nel mio PC. Era ora di riprenderla, assieme al libro di Compasso, e di pubblicarla.]
“Kobane dentro.
Diario di guerra sulla difesa del Rojava”, Ivan Grozny
Compasso, Milano, Agenzia X (2015), p.197, 14€.
Il libro di Ivan
Grozny Compasso è, come dice
il sottotitolo, un “diario di guerra sulla difesa del Rojava”.
Innanzitutto quando si parla di Rojava si parla di una realtà
geopolitica relativamente complessa; geograficamente si delinea come
il kurdistan siriano. La regione del Rojava è una regione della
Siria autonoma,
all'interno della quale le popolazioni hanno adottato una carta
comune, una sorta di Costituzione: questo documento dall'incredibile
valore sociale – e politico – è conosciuto come “Carta
del contratto sociale del Rojava”.
I° parte
Se
vi aspettavate la storia di Kobane avete sbagliato indirizzo, vi
toccherà aspettare la prima parte dell'appendice. Qui, in questa
prima parte del libro, del libro vero e proprio, si trova il
resoconto cronachistico, diviso in capitoletti che, agevolmente,
seguono le giornate e i momenti della settimana in cui Ivan si è
mosso all'interno di Kobane, assieme ad altri corrispondenti e,
soprattutto, accanto ai resistenti curdi che combattono contro la
minaccia del califfato.
Accanto a Ivan ci sono
peshmerga, soldati curdi iracheni, e i membri delle due milizie
armate popolari che hanno contribuito, forse in maniera maggiore –
di quanto i media italiani abbiano detto –, alla riconquista e al
mantenimento della libertà della cittadina a sud della Turchia: sono
le forze armate Ypg, le unità di protezione popolare,
conosciuto anche come esercito nazionale del Kurdistan siriano,
e Ypj, le unità di protezione delle donne, brigata
femminile composta da sole donne che difendono la posizione di un
Kurdistan libero, difendendo gli assediati nella regione del Rojava
senza distinzione di genere, razza, religione.
Il libro di Compasso è
un viaggio dentro Kobane passando per il confine turco, arrivando in
città sotto l'attacco degli invasori, accanto ai resistenti, nel
cuore dell'ultimo baluardo di resistenza attiva non sottomessa a
logiche capitaliste, osservando chi cerca di vivere la propria vita,
di preservare un passato, assicurarsi un futuro combattendo nel
presente; un viaggio nel movimento cardiaco che pulsa per respingere
l'orda: gli “uomini in nero” tristemente conosciute nelle
cronache e, ormai, nell'immaginario collettivo, come il demone tanto
distante, chilometri e anni luce, ma capace di instillare in noi il
terrore del diverso che ci sta accanto.
Il valore della
resistenza del popolo curdo, premuto e stretto da tutti i fronti:
contro lo stato islamico alle porte e alle spalle la Turchia di
Erdogan, conservatrice e reazionaria, che impone lingua e limita la
libertà del popolo curdo fuggito per salvarsi la vita o per un
briciolo di libertà. Centinaia, migliaia di profughi dall'inizio del
conflitto vengono raccolti nei campi profughi creati poco oltre il
confine, schedati e discriminati dal governo di Ankara. Kobane è
lotta armata contro Isis, che vuole imporre la sua legge, la sua
interpretazione del Corano. Kobane è assicurare un futuro a tutti i
curdi che non vedono riconosciuta una patria, e che non vogliono
fuggire verso un'altra oppressione.
Kobane non è solo
sinonimo di resistenza è anche qualcosa di più, è guardare oltre
la distruzione della guerra, oltre le macerie e la morte; la volontà
dei resistenti non si traduce solo nel non soccombere fisicamente di
fronte al nemico ma nel voler non lasciar morire l'aspetto umano di
una città, confine conteso tra due forze in campo. Kobane non viene
solo interpretate nell'ottica del conflitto dai resistenti che, a
differenza degli invasori, continuano ad abitarla o, meglio, a
viverla contrapponendosi ancora di più alla volontà di Isis che
vuole piegare e spezzare nell'intimo chi ha di fronte.
La Kobane descritta – e
fotografata, in appendice – da Compasso è una città molto
distante da quella che i media ci hanno proposto, molto più vicina,
paradossalmente, ad una normale città; Kobane, così pericolosamente
assediata dallo stato islamico, non è stata trasformata, ingoiata
dalla guerra, è stata ripensata. Chi ha voluto imbracciare le armi
lo ha fatto, chi è voluto rimanere non volendo fuggire in Turchia
per sottostare a un regime come quello di Erdogan è rimasto. Le
porzioni di città riconquistate dai resistenti dove possibile
vengono bonificate, i negozi non vengono saccheggiati, persino la
pulizia delle strade viene mantenuta dai volontari; il cibo viene
distribuito tra i cittadini, teli vengono innalzati sulle strade per
ostacolare il dovere dei cecchini nemici e una vita civile
continua a pulsare all'interno di Kobane.
A Kobane ci sono anche
bambini, incontrati e descritti dallo stesso Compasso in alcuni
commoventi passaggi del suo resoconto. Giovani e molto giovani
scortati dai resistenti, trascorrono la loro vita: vengono istruiti,
vanno a scuola, scherzano, giocano a pallone sotto l'occhio vigile
dei padri Ypg e delle madri Ypj. La vita non è stata soffocata dallo
spettro della dissoluzione portato dal conflitto. Le vie della
resistenza sono molteplici, il laboratorio di Kobane – o più in
generale del Rojava – ne è un esempio. Una resistenza attiva è
possibile, alla luce dei principi di democrazia – parola chiave del
libro – uguaglianza e diritti; valori resi possibili da
quell'ultimo baluardo di resistenza partecipata messa in atto proprio
al confine tra Siria e Turchia: a Kobane.
II° parte
a) Dopo il racconto di
Compasso un'appendice che spiega la storia di Kobane e delle origini
e motivazioni della sua resistenza nonché di come capitalismo e
fascismo (rapporto già citato da Ivan nel suo “racconto di
guerra”) miri a sovvertire, o a impedire, un qualsiasi ordine
democratico (reale) slegato dalle logiche del profitto liberista.
La storia, e la
contestualizzazione – non solo geografica –, di Kobane è
affidata all'intervento di Nicola Romanò:
“Ovunque Kobane.
L'autonomia democratica nel Rojava”;
contributo che cerca di tracciare il profilo geopolitico delle
vicende della città tenendo conto del rapporto che l'occidente
importatore di democrazia ha nei confronti di questi stati e,
soprattutto, popoli, che al contrario di quanto si possa pensare,
grazie al reportage offerto dallo stesso Compasso, hanno sviluppato
una concezione di democrazia attiva e partecipata che nulla ha da
invidiare alle costituzioni degli stati più avanzati, ma altresì
capace di fare scuola, per i valori che la sottendono.
“Negli
ultimi anni la crisi è servita per finanziare le guerre volute dalla
grande industria: gli stati mediorientali vengono abbattuti e invasi;
in altri casi come a Siria, sono stati snaturati dall'interno”
(p.148)
b) sempre nella seconda
parte dell'appendice si trova il bellissimo – e fondamentale –
manifesto del Rojava che, punto per punto, spiega l'importanza di una
società nuova, ecologica, egalitaria, democratica, che trova proprio
la sua massima espressione nel laboratorio di Kobane, una città e un
popolo che, non solo è impegnato a resistere, o a contrapporsi con
la distruzione alla distruzione perpetrata da Daesh (conosciuto in
occidente come Isis), ma nel creare una nuova società, rispettosa
dei diritti di ogni individuo, e capace di autogestirsi.
“Noi popoli che viviamo nelle Regioni autonome democratiche di
Afrin, Cizre e Kobane, una confederazione di curdi, arabi, assiri,
caldei, turcomanni, armeni e ceceni, liberamente e solennemente
proclamiamo e adottiamo questa Carta.
Con l'intento di perseguire libertà, giustizia, dignità e democrazia, nel rispetto del principio di uguaglianza e nella ricerca di un equilibrio ecologico, la Carta proclama un nuovo contratto sociale, basato sulla reciproca comprensione e la pacifica convivenza fra tutti gli strati della società, nel rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, riaffermando il principio di autodeterminazione dei popoli.”
Con l'intento di perseguire libertà, giustizia, dignità e democrazia, nel rispetto del principio di uguaglianza e nella ricerca di un equilibrio ecologico, la Carta proclama un nuovo contratto sociale, basato sulla reciproca comprensione e la pacifica convivenza fra tutti gli strati della società, nel rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, riaffermando il principio di autodeterminazione dei popoli.”
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