di Mattia Sangiuliano
«Galletto
è alla voce il
fanciullo; estrosi amori
con quella, e crucci,
acutamente incide.»
("Fanciulli allo stadio"; Saba, Umberto)
Non propriamente
«fanciulli allo stadio» si vedono, di questi tempi, dalla scabrosa
vicenda del 2010, di Italia-Serbia – protagonista Ivan, prontamente
definito “teppista” –, sino al 3 maggio scorso,
Fiorentina-Napoli, disputata – nonostante tutto – a Roma, in cui
l'Italia, ma non solo, dalla televisione di Stato, vede svolgersi, in
tutta la sua veemente violenza, una vicenda che di sportivo ha ben
poco. Dalla violenza fuori dello stadio ai fumogeni in campo,
passando per i fischi durante l'Inno italiano, tutti hanno assistito
all'impotenza delle istituzioni e a qualcosa di molto peggiore
dell'impotenza stessa. Ci vuole poco per capire la disarmante
affermazione dei cronisti che, invece di rassicurare i
telespettatori, fa aumentare il disagio che muta velocemente in
sdegno: “il capo ultrà ha detto di giocare”. Sui social,
rimbalza subito il nesso “trattativa Stato-Mafia” in una
indignazione collettiva tra amanti o meno del calcio italiano, mentre
anche all'estero sbarca la notizia.
Sotto gli occhi di una
politica passiva, sotto lo sguardo fiorentino del premier e del
presidente del Senato, si compie l'accordo tra capi Ultras e i “servi
dello Stato”; sotto gli occhi di una politica passiva l'accordo tra
chi deve garantire l'ordine in nome della giustizia, non fosse anche
del decoro, e un manipolo di esponenti “ufficiali” di una frangia
della tifoseria.
Nello sbalordimento
generale “the show must go on”. E la patita anche.

Gennaro “a' carogna”,
figlio di Ciro De Tommaso affiliato al clan Misso, ha detto che si
può iniziare, dunque che si inizi. Il silenzio assordante della
politica, delle istituzioni, sono il consenso dello Stato, nel
marasma generale di chi fischia, più o meno incoscientemente, l'inno
italiano. C'è chi tira un sospiro di sollievo. La sicurezza è
garantita. La partita è salva.
Viene alla mente
l'allegra conclusione di un'altra poesia di Saba: “Goal”, in cui,
il portiere della squadra, spettatore dall'altra parte del campo,
quasi dall'altra dall'altra parte di un muro, non è più solo
spettatore degli avvenimenti bensì partecipe della gioia del goal
appena segnato.
In un orgiastico
susseguirsi di scandali e torbide vicende, che di calcistico e di
sportivo hanno ben poco – in un clima in cui la politica è
dall'altra parte di una barriera invalicabile – propria una
politica che si fa spettatrice, attraverso la sua silente passività,
viene a svolgere un ruolo molto più attivo di quello che avrebbe
voluto assolvere. Così, ogni spettatore politico, come il portiere
di Saba, può tacitamente tirare le somme:
Nessun commento:
Posta un commento