giovedì 8 maggio 2014

“Io, Ippocrate di Kos”. La medicina, arte tra Asclepio e Thanatos.

di Mattia Sangiuliano 

“Io, Ippocrate di Kos” di Massimo Fioranelli e Pietro Zullino, Editori Laterza (2008) per la collana Storia della medicina e della sanità; 138 p. 19€. 

Attraverso la storia del grande capostipite della medicina – in un certo qual modo – moderna, già distinta dalla speculazione propriamente filosofica dell'antichità, il libro fornisce informazioni sulla vita di Ippocrate di Kos poggiando le sue fondamenta su una narrazione autobiografica degli eventi che, contestualmente, caratterizzarono l'opera e alcuni difficili anni della sua esistenza. La ricostruzione romanzata della vita di Ippocrate prende le mosse come sorta di estremo lascito testamentario fornito dalle sue labbra dando voce, e interpretando i dati, a noi pervenuti per via letteraria riguardanti la sua figura di medico e pensatore, per quelle tappe che ne contraddistinsero la vita, in un procedere di eventi mediante una "fiction" biografica nutrita in un contesto storico.

In una Grecia arcaica, profondamente legata a superstizioni, arti divinatorie e propiziatorie, governata dal volere degli dei di cui era necessario guadagnare l'approvazione, si muove il protagonista di questa opera scritta a quattro mani, da Fioranelli e da Zullino, primario cardiologo il primo, redattore di quotidiani e periodici il secondo. Ippocrate si orienta nel mondo, portando avanti la sua moderna concezione della medicina, da lui stesso intesa come arte, sorta di ars amandi, usando una terminologia latina, in un certo qual modo non scindibile dal concetto moderno di scienza, dovendo fare i conti con un mondo, e con un sapere, governato da un potere dispotico, invasivo e pervasivo, rappresentato dalla religione e dai suoi funzionari e rappresentanti, ma anche da correnti di pensiero configurate come vere e proprie sette, armate di una loro speculazione metafisica, così distante dal pensiero della scuola incarnata dallo stesso Ippocrate; tutte discipline timorose del pensiero di una medicina scientifica, fondata sull'osservazione dei fenomeni naturali, lontana da un'astrazione di impianto filosofico. Non mancano le critiche alla stessa filosofia dalle labbra del medico greco, proprio quando questa va ad inficiare il compito essenziale di una sfera che deve rimanere separata dalle elucubrazioni e dalle pratiche esoteriche, propiziatorie, di una prassi a tratti divinatoria. 

Il pensiero della scuola di Ippocrate entra in contrasto con la concezione di medicina del suo stesso tempo, attraverso pensieri e gesti pionieristici di contatto e vicinanza con il malato, con il sofferente inteso prima di tutto come persona, in una maniera così distante dalla metafisica, dall'astrazione religiosa arcaica e, d'altro canto, lontano persino dalla speculazione di una scuola come quella materialistica. In un contrasto poi acuito con la scuola dei medici pitagorici. Emerge, dalla descrizione dei ragionamenti di Ippocrate, quello che è il rapporto che intercorre tra malato e malattia, tra sofferente e sofferenza; in più passi del libro Ippocrate sarà portato a rievocare l'immagine di colei che in età giovanile fu sua compagna, Crisotemide, cui Ippocrate rifiutò l'eutanasia, per timore e codardia; in un timore che traspare in filigrana, confluendo in un misto di emozioni così umane che concorrono ad alimentare lo struggimento dello stesso Io narrante, a distanza di anni, così segnato da quella come da altre vicende; storie e racconti che descrivono la lotta di un medico contro la morte. 

Una fitta rete di ricordi e di nomi che tornano più volte, corredo emotivo della figura del medico partito da Kos poi condannato al confino; medico preoccupato per la salute dei propri pazienti, mosso da un'inesauribile spirito scientifico di osservazione, contrapposto alla medicina dei pitagorici, seguaci del Pitagora che Ippocrate conobbe di persona, così come conobbe Socrate e il suo allievo: Platone, a detta del medico di Kos, molto lontano dal maestro; perseguitato dal generalissimo Lisandro, incontrato presso il santuario di Delfi, si rifugiò in Tessaglia, nel Nord della Grecia; rievocherà così più volte, sino poi a rincontrarli, quelli che ebbe in gioventù, per compagni e amici: il materialista Democrito e lo storico Tucidide, ricordati con amorevole affetto come Demo e Tucci. 

Con un punto di vista estremamente moderno viene presentato il rapporto etico che intercorre tra una medicina come servizio e una medicina come mezzo per il guadagno, quasi a voler ricordare le vicende di cronache perpetue che si protraggono e ripetono, in ogni era e in ogni epoca, a significare che l'avanzamento delle conoscenze e abilità tecnologiche pone sì il medico difronte ad altri problemi di ordine etico, ma senza spesso aver risolto le altre spinose e insormontabili questioni di ordine etico-morale.
Sono così presenti nel libro elementi che attraversano anche il rapporto medicina-politica, in un'epoca in cui i medici, di molte e varie scuole dell'antica Grecia, possono essere asserviti al dispotismo del potere dominante, usati come spie in casa dei malati, o persino come assassini, in una spirale di repressione che vede «la medicina come strumento del dominio». 
Similmente viene presentato in un'ottica estremamente moderna anche il mito della “buona morte”, la possibilità di scegliere il momento in cui andarsene, contro un'inutile accanimento terapeutico ai danni del malato: nel mondo arcaico si può scegliere poiché «la stessa morte volontaria è libertà, anche di non volerla».

In questa chiave viene presentato l'omonimo, “Giuramento di Ippocrate”, descritto però come documento quasi apocrifo, non voluto dallo stesso medico greco perché corrotto nella sua “ufficiale” pubblicazione ma ugualmente importante per la motivazione profondamente etica che lo sottende, la stessa rintracciabile nell'aspetto psicologico ed emotivo dell'Ippocrate del libro: il bisogno di un punto fermo, che sottolinei il valore della medicina come servizio etico, vicino a chi soffre, conscia dei propri mezzi, protesa verso una ricerca e mai strumento nelle mani dei potenti, dei tiranni, dei poteri forti che possono servirsene per arrecare danno o timore a chi soffre. 

Ricco di aspetti psicologici che caratterizzano la figura a tratti mitica di Ippocrate di Kos, per i suoi natali discendente per linea maschile dal dio Asclepio, simboleggiato dal serpente che causa la morte ma che è anche in grado di risorgere cambiando pelle; un Ippocrate rappresentato innanzitutto come uomo, come medico, luminare e scienziato tenace, continuamente chiamato ad assistere all'abbraccio di Thanatos, dedito non solo a combattere la morte «ma anzitutto il dolore». Il dolore del corpo e dell'anima.

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