«Come ho fatto a farmi
convincere...?!» prorompe Andrea, prendendosi la nuca castano scura,
quasi rasata, tra le mani, mentre il portone si chiude alle sue
spalle con un fragore di vetri.
«Come ho fatto a convincere tua
madre!» corregge Vittorio sorridendo nervosamente ma soddisfatto
della propria performance di poco prima, mettendosi a camminare
svelto, poi di corsa, in direzione della fermata dell'autobus. Subito
gli sia affianca ridendo Andrea che non manca di sospirare «Era
meglio un anno di... reclusione» compiacendosi di aver trovato la
parola giusta.
«Prego amico!» rimarca Vittorio,
senza perdere il suo sorriso, mentre entrambi svoltano per l'incrocio
mandando all'aria un mucchio di foglie di fresco ammucchiate dagli
spazzini del comune.
Mentre imboccano la stretta stradina di via Lauro Rossi, un'insolita palpitazione riempie il petto di Vittorio che procede a fianco del suo ghignante amico. È un battito che quasi gli fa tremare il torace, quello che sente dentro, sotto la clavicola sinistra. Un pulsazione reiterata e violenta che battendo nel suo torace sembra sospingerlo avanti nell'incedere, passo dopo passo, verso la sua meta. Persino le gambe sembrano tremare come se il peso del suo busto fosse divenuto etereo e intangibile, privo di ogni consistenza. Questa emozione si spande proprio da dentro il suo petto in tumulto e arriva a produrre un lieve ronzio nelle orecchio mentre rimbomba l'ansare del suo fiato e si allarga un leggero sorriso rilassato sul suo volto.
Mentre imboccano la stretta stradina di via Lauro Rossi, un'insolita palpitazione riempie il petto di Vittorio che procede a fianco del suo ghignante amico. È un battito che quasi gli fa tremare il torace, quello che sente dentro, sotto la clavicola sinistra. Un pulsazione reiterata e violenta che battendo nel suo torace sembra sospingerlo avanti nell'incedere, passo dopo passo, verso la sua meta. Persino le gambe sembrano tremare come se il peso del suo busto fosse divenuto etereo e intangibile, privo di ogni consistenza. Questa emozione si spande proprio da dentro il suo petto in tumulto e arriva a produrre un lieve ronzio nelle orecchio mentre rimbomba l'ansare del suo fiato e si allarga un leggero sorriso rilassato sul suo volto.
Tutto d'un tratto Andrea muta il suo
passo e procede camminando, mantenendo intatto quel suo sorriso
furbescamente ebete, dietro al respiro affannato. Vittorio si ferma
poco più avanti su quelle sue gambe rese molli da questa sua
palpitazione, sull'asfalto umido, per niente affaticato da quella
piccola corsa. Ora che si è fermato un attimo può ascoltare e
assaporare quel suo cuore pulsante che martella il suo torace
dall'interno, preso dalla sua selvaggia e a naturale emozione.
«Che fai rallenti?» si rivolge
raggiante al suo amico cingendosi i fianchi con le mani, mentre
attende che lo raggiunga alla fine del vicolo che si immette nella
via che, a sinistra conduce alla piazza del quartiere e a destra al
centro della città.
«Beh, si!» dichiara ansante Andrea
rivolto a Vittorio, fissando un punto imprecisato al di là della
spalla sinistra del suo amico, nel tipico e naturale atteggiamento
dei ragazzini che, spesso, non guardano negli occhi l'interlocutore
che hanno difronte «tanto ormai siamo fuori dalla vista di mia
madre».
«Dai che se no perdiamo l'autobus»
incita Vittorio, con una lieve punta di apprensione nella voce e nel
viso.
«E perché? Vuoi davvero portarmi in
biblioteca a studiare? Io preferisco rimanere qua in piazza! Al
massimo vado all'oratorio!» dice in tutta risposta Andrea
compiacendosi della sua trovata.
Vittorio vede vacillare i suoi
propositi, il suo programma e tutta la costruzione che aveva messo in
piedi.
«Dai non scherzare, l'ho promesso a
tua madre!» dice, quasi rimproverando il suo amico.
«L'hai promesso tu, non io» gli fa
notare molto poco cameratescamente Andrea.
Vittorio, che non si aspettava una
reazione di quel tipo, si trova in svantaggio. Da una parte non può
costringere il suo amico a studiare, ma dall'altro si è impegnato
per dargli il suo appoggio. Inoltre c'è anche la faccenda della
biblioteca; nell'autobus che stanno per perdere ci sarà sicuramente
Margherita, anche lei diretta alla biblioteca per studiare.
Il solo pensiero di perdere il contatto
con quello che lei rappresenta, quella sorta di ingranaggio che è
divenuta in quel programma giornaliero e improvvisato, lo getta in
uno stato di prostrazione. Se prima erano le gambe a tremare per
quell'emozione inebriante, fatta di un'ansia motivata dal poter
assaporare quello sguardo, ora invece è tornato il vuoto nel suo
petto portandosi appresso una sensazione sgradevole che grava dentro
di lui, come se un equilibrio si fosse rotto, di fronte alla
svogliatezza di Andrea.
«Ma perché ti comporti da ragazzino?»
domanda esasperato Vittorio.
«Perché sono un ragazzino» risponde
Andrea con naturalità, quasi ridendo dell'esasperazione dell'amico,
per poi aggiungere: «Tanto il compito di oggi l'avrò toppato alla
grande»
«Proprio per questo: devi prepararti
per le prossime interrogazioni»
«Si... ma in biblioteca non ci voglio
venire!» dice Andrea fissando qualche cosa al di là della spalla
destra di Vittorio, sul muro della palazzina di fronte.
Una piccola idea balena nella mente di
Vittorio che opta di giocare a carte scoperte: «Ho sentito che
Maggie è in biblioteca. Potremmo studiare tutti e tre insieme. Cosa
ne pensi?»
Per un istante gli occhi di Andrea si
soffermano a osservare quelli dell'amico, per poi appuntarsi come una
spilla da balia sul primo bottone della camicia dell'amico, che
spunta dal suo giubbetto scuro.
«Questo interessa più a te che a me»
borbotta Andrea.
«In che senso?» domanda Vittorio,
colto di sorpresa da questo assalto frontale.
«Semplice: da quando hai stretto
amicizia con Margherita sei cambiato. Vai meglio a scuola, sei più
educato, e aiuti sempre gli altri»
«Questo non è vero!» dice Vittorio,
recuperando buona parte della propria sicurezze e,scuotendo la testa
in segno di diniego, controbatte: «io ti ho sempre aiutato. Anche
quando prendevo brutti voti alle medie. E quando facevamo chiasso in
classe... eravamo sempre io e te a finire in punizione»
Ancora Andrea rifugge lo sguardo,
soffermandosi sulle ciocche dei capelli folti di Vittorio, sui lobi
delle orecchie, sulle sopracciglia evitando di fissarlo negli occhi.
Vittorio sente di doversi giustificare:
«Non sono cambiato»
«Ma è vero che tu dalla primavera
scorsa, quando ti sei avvicinato a Margherita, hai incominciato a
comportarti diversamente»
«Dalla primavera scorsa?» domanda
Vittorio, un po' incerto, non capendo bene quello che l'amico vuole
dire.
«Si dai, quando abbiamo fatto quel
lavoro a gruppetti. Ricordi? Io sono capitato con Martina e tu con
Margherita»
Un rombo poco distante distrae
l'attenzione di Vittorio dalle parola dell'amico. Il rumore va via
via facendosi sempre più prepotente ed ecco transitare, nella
piccola porzione di spazio tra i due palazzi che segnano la fine del
vicolo, l'autobus che porta in centro.
Istintivamente Vittorio muove un passo
in direzione dell'uscita del vicolo, voltando le spalle all'amico.
L'istinto lo porta a osservare con lo sguardo se qualche nuca bionda
sia seduta nell'autobus. Ma l'autobus è a metà via della
Ricostruzione ed eccolo rallentare e fermarsi al semaforo, tremolante
in quell'aria novembrina con il motore che scoppietta prepotente in
quel primo pomeriggio così stranamente soleggiante
“Con una corsa riesco a prenderlo”
pensa istintivamente Vittorio. Il ragazzo però, invece di correre
per la via, come avrebbero fatto in molti altri al suo posto, si
volta verso l'amico che lo fissa incuriosito, come se avesse letto le
sue intenzioni nella sua mente, attraverso chissà quale
impercettibile gesto che era sfuggito allo stesso Vittorio. Invece
Andrea aspetta. Immobile attende la decisione dell'amico per poi
agire di conseguenza, per seguire anche da solo quel suo istinto che,
dal punto di vista di Vittorio lo porta lentamente
all'autodistruzione.
Con le mani in tasca Vittorio si
rivolge all'amico: «Allora andiamo all'oratorio?»
Un sorriso illumina il volto di Andrea:
«Un attimo, Diche, mi ero preoccupato! Pensavo mi avresti lasciato
andare da solo»
«Te lo saresti meritato!» dice
Vittorio estraendo il dito della mano destra dalla tasca della giacca
per puntarlo contro il petto dell'amico che adesso, non più alle
strette o sotto accusa, può tranquillamente fissarlo negli occhi.
«Però non potevi farmi studiare in
biblioteca! Mi ci vedevi a fare il terzo incomodo tra te e Maggie?»
Vittorio accoglie in silenzio la
battuta dell'amico ma, mentre si incamminano diretti all'oratorio,
gli risponde: «Infatti noi ci andiamo a studiare, all'oratorio.
Almeno potrò avere la coscienza pulita». Questa volta è Andrea ad
accogliere in silenzio la frase dell'amico.
Arrivati al cancello dell'oratorio il
silenzio più totale regna nella struttura e grava sul campetto
ancora umido di pioggia e totalmente invaso dalle foglie degli alberi
cittadini che lo sovrastano, addossati al muretto che abbraccia
l'edificio. Sono ancora le 15:50, l'oratorio non apre prima delle
quattro in punto.
Per non sprecare tempo, Vittorio fa
qualche domanda di sintassi latina al suo amico per vedere se riesce
a rievocare qualche cosa del compito che hanno svolto la mattina
stessa, ma niente.
Passano appena cinque minuti quando
alcune voci si avvicinano al cancello dell'oratorio.
«Arrivano gli altri» interrompe
Andrea senza preoccuparsi troppo di rispondere all'ultima domanda di
Vittorio che oramai, deluso, incomincia a rassegnarsi e prosegue a
raschiare le foglie sotto gli alberi davanti al cancello
dell'oratorio, con la punta del piede.
Non appena le voci si fanno più
vicine, consolidandosi in due loro coetanee, la gioia di Andrea si
tramuta in un interdetto «Ah!».
La prima voce che risponde alla
sorpresa di Andrea con un educato saluto: «Ciao Andri!» per poi
proseguire in tono non scevro da una certa civetteria: «Sei
sorpreso?»
«Ma figurati Marti»
Vittorio continua intanto a frantumare
le foglie marroni e friabili con la suola della scarpa e saluta
meccanicamente la ragazza: «Ciao Marti» che risponde al saluto con
un sorriso che Vittorio non può vedere.
Ma l'altra voce costringe la testa a
Vittorio ad alzarsi: «Di nuovo ciao Vittorio».
«Ciao Maggie!» esclama Vittorio
sorpreso, notando un sorriso e un'occhiata di sbieco, appena
accennata dal suo amico. Vittorio, sempre sorpreso prosegue: «Non
dovevi andare in biblioteca?»
Prontamente Martina si intromette nel
dialogo fra i due: «Colpa mia: ho fatto tardi all'appuntamento»
«Abbiamo deciso di venire qua a
studiare alla fine, è più vicino e comodo» aggiunge Margherita
sistemandosi indietro i capelli biondi con la sua mano guantata che
poi, proseguendo il suo percorso dietro la nuca va a sistemare il
cappuccio del suo piumino bianco.
«Guarda un po' che coincidenza»
esclama Andrea
«Anche noi siamo venuti qua per
studiare. Vero Andrea?»
«uhm» si limita a mugugnare Andrea
evidentemente contrariato da questo rivolgimento degli eventi, mentre
tutti gli altri si limitano a sorridere.
Uno scatto del cancello segnala che è
giunta l'ora.
Scuotendo la testa, ripiegata sino a
far toccare il mento con lo sterno, Andrea entra per primo, seguito
da Martina. Per ultimi entrano Margherita, con il suo zainetto in
spalla e infine Vittorio.
Inaspettatamente Margherita si volta di
scatto, reclinando la testa di lato, sfiorando con il mento la
propria spalla destra puntando il suo viso per tre quarti su
Vittorio: «Mi ricorda la primavera scorsa, quando studiavamo
insieme»
«È vero» si limita a dire Vittorio
«come se fosse stato tutto scritto»
«Quanto sei fatalista però» dice
sorridendo Margherita.
«Ogni tanto capita anche a me» si
giustifica Vittorio senza perdere il buon umore.
«Sei pronto a far studiare Andrea?»
«Diciamo che abbiamo incominciato bene
trovando un equilibrio: facciamo quello che dico io, nel posto scelto
da lui»
«Adesso incomincia la vera sfida»
«Non ti arrendi mai vero?»
«Mai» dice con sicurezza Vittorio, per poi aggiungere «Non
mi arrendo ora che ho trovato un equilibrio»
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