giovedì 20 giugno 2013

L'equilibrio di Nemesi

di Mattia S.

«Come ho fatto a farmi convincere...?!» prorompe Andrea, prendendosi la nuca castano scura, quasi rasata, tra le mani, mentre il portone si chiude alle sue spalle con un fragore di vetri.
«Come ho fatto a convincere tua madre!» corregge Vittorio sorridendo nervosamente ma soddisfatto della propria performance di poco prima, mettendosi a camminare svelto, poi di corsa, in direzione della fermata dell'autobus. Subito gli sia affianca ridendo Andrea che non manca di sospirare «Era meglio un anno di... reclusione» compiacendosi di aver trovato la parola giusta.
«Prego amico!» rimarca Vittorio, senza perdere il suo sorriso, mentre entrambi svoltano per l'incrocio mandando all'aria un mucchio di foglie di fresco ammucchiate dagli spazzini del comune.
Mentre imboccano la stretta stradina di via Lauro Rossi, un'insolita palpitazione riempie il petto di Vittorio che procede a fianco del suo ghignante amico. È un battito che quasi gli fa tremare il torace, quello che sente dentro, sotto la clavicola sinistra. Un pulsazione reiterata e violenta che battendo nel suo torace sembra sospingerlo avanti nell'incedere, passo dopo passo, verso la sua meta. Persino le gambe sembrano tremare come se il peso del suo busto fosse divenuto etereo e intangibile, privo di ogni consistenza. Questa emozione si spande proprio da dentro il suo petto in tumulto e arriva a produrre un lieve ronzio nelle orecchio mentre rimbomba l'ansare del suo fiato e si allarga un leggero sorriso rilassato sul suo volto.
Tutto d'un tratto Andrea muta il suo passo e procede camminando, mantenendo intatto quel suo sorriso furbescamente ebete, dietro al respiro affannato. Vittorio si ferma poco più avanti su quelle sue gambe rese molli da questa sua palpitazione, sull'asfalto umido, per niente affaticato da quella piccola corsa. Ora che si è fermato un attimo può ascoltare e assaporare quel suo cuore pulsante che martella il suo torace dall'interno, preso dalla sua selvaggia e a naturale emozione.
«Che fai rallenti?» si rivolge raggiante al suo amico cingendosi i fianchi con le mani, mentre attende che lo raggiunga alla fine del vicolo che si immette nella via che, a sinistra conduce alla piazza del quartiere e a destra al centro della città.
«Beh, si!» dichiara ansante Andrea rivolto a Vittorio, fissando un punto imprecisato al di là della spalla sinistra del suo amico, nel tipico e naturale atteggiamento dei ragazzini che, spesso, non guardano negli occhi l'interlocutore che hanno difronte «tanto ormai siamo fuori dalla vista di mia madre».
«Dai che se no perdiamo l'autobus» incita Vittorio, con una lieve punta di apprensione nella voce e nel viso.
«E perché? Vuoi davvero portarmi in biblioteca a studiare? Io preferisco rimanere qua in piazza! Al massimo vado all'oratorio!» dice in tutta risposta Andrea compiacendosi della sua trovata.
Vittorio vede vacillare i suoi propositi, il suo programma e tutta la costruzione che aveva messo in piedi.
«Dai non scherzare, l'ho promesso a tua madre!» dice, quasi rimproverando il suo amico.
«L'hai promesso tu, non io» gli fa notare molto poco cameratescamente Andrea.
Vittorio, che non si aspettava una reazione di quel tipo, si trova in svantaggio. Da una parte non può costringere il suo amico a studiare, ma dall'altro si è impegnato per dargli il suo appoggio. Inoltre c'è anche la faccenda della biblioteca; nell'autobus che stanno per perdere ci sarà sicuramente Margherita, anche lei diretta alla biblioteca per studiare.
Il solo pensiero di perdere il contatto con quello che lei rappresenta, quella sorta di ingranaggio che è divenuta in quel programma giornaliero e improvvisato, lo getta in uno stato di prostrazione. Se prima erano le gambe a tremare per quell'emozione inebriante, fatta di un'ansia motivata dal poter assaporare quello sguardo, ora invece è tornato il vuoto nel suo petto portandosi appresso una sensazione sgradevole che grava dentro di lui, come se un equilibrio si fosse rotto, di fronte alla svogliatezza di Andrea.
«Ma perché ti comporti da ragazzino?» domanda esasperato Vittorio.
«Perché sono un ragazzino» risponde Andrea con naturalità, quasi ridendo dell'esasperazione dell'amico, per poi aggiungere: «Tanto il compito di oggi l'avrò toppato alla grande»
«Proprio per questo: devi prepararti per le prossime interrogazioni»
«Si... ma in biblioteca non ci voglio venire!» dice Andrea fissando qualche cosa al di là della spalla destra di Vittorio, sul muro della palazzina di fronte.
Una piccola idea balena nella mente di Vittorio che opta di giocare a carte scoperte: «Ho sentito che Maggie è in biblioteca. Potremmo studiare tutti e tre insieme. Cosa ne pensi?»
Per un istante gli occhi di Andrea si soffermano a osservare quelli dell'amico, per poi appuntarsi come una spilla da balia sul primo bottone della camicia dell'amico, che spunta dal suo giubbetto scuro.
«Questo interessa più a te che a me» borbotta Andrea.
«In che senso?» domanda Vittorio, colto di sorpresa da questo assalto frontale.
«Semplice: da quando hai stretto amicizia con Margherita sei cambiato. Vai meglio a scuola, sei più educato, e aiuti sempre gli altri»
«Questo non è vero!» dice Vittorio, recuperando buona parte della propria sicurezze e,scuotendo la testa in segno di diniego, controbatte: «io ti ho sempre aiutato. Anche quando prendevo brutti voti alle medie. E quando facevamo chiasso in classe... eravamo sempre io e te a finire in punizione»
Ancora Andrea rifugge lo sguardo, soffermandosi sulle ciocche dei capelli folti di Vittorio, sui lobi delle orecchie, sulle sopracciglia evitando di fissarlo negli occhi.
Vittorio sente di doversi giustificare: «Non sono cambiato»
«Ma è vero che tu dalla primavera scorsa, quando ti sei avvicinato a Margherita, hai incominciato a comportarti diversamente»
«Dalla primavera scorsa?» domanda Vittorio, un po' incerto, non capendo bene quello che l'amico vuole dire.
«Si dai, quando abbiamo fatto quel lavoro a gruppetti. Ricordi? Io sono capitato con Martina e tu con Margherita»
Un rombo poco distante distrae l'attenzione di Vittorio dalle parola dell'amico. Il rumore va via via facendosi sempre più prepotente ed ecco transitare, nella piccola porzione di spazio tra i due palazzi che segnano la fine del vicolo, l'autobus che porta in centro.
Istintivamente Vittorio muove un passo in direzione dell'uscita del vicolo, voltando le spalle all'amico. L'istinto lo porta a osservare con lo sguardo se qualche nuca bionda sia seduta nell'autobus. Ma l'autobus è a metà via della Ricostruzione ed eccolo rallentare e fermarsi al semaforo, tremolante in quell'aria novembrina con il motore che scoppietta prepotente in quel primo pomeriggio così stranamente soleggiante
“Con una corsa riesco a prenderlo” pensa istintivamente Vittorio. Il ragazzo però, invece di correre per la via, come avrebbero fatto in molti altri al suo posto, si volta verso l'amico che lo fissa incuriosito, come se avesse letto le sue intenzioni nella sua mente, attraverso chissà quale impercettibile gesto che era sfuggito allo stesso Vittorio. Invece Andrea aspetta. Immobile attende la decisione dell'amico per poi agire di conseguenza, per seguire anche da solo quel suo istinto che, dal punto di vista di Vittorio lo porta lentamente all'autodistruzione.
Con le mani in tasca Vittorio si rivolge all'amico: «Allora andiamo all'oratorio?»
Un sorriso illumina il volto di Andrea: «Un attimo, Diche, mi ero preoccupato! Pensavo mi avresti lasciato andare da solo»
«Te lo saresti meritato!» dice Vittorio estraendo il dito della mano destra dalla tasca della giacca per puntarlo contro il petto dell'amico che adesso, non più alle strette o sotto accusa, può tranquillamente fissarlo negli occhi.
«Però non potevi farmi studiare in biblioteca! Mi ci vedevi a fare il terzo incomodo tra te e Maggie?»
Vittorio accoglie in silenzio la battuta dell'amico ma, mentre si incamminano diretti all'oratorio, gli risponde: «Infatti noi ci andiamo a studiare, all'oratorio. Almeno potrò avere la coscienza pulita». Questa volta è Andrea ad accogliere in silenzio la frase dell'amico.
Arrivati al cancello dell'oratorio il silenzio più totale regna nella struttura e grava sul campetto ancora umido di pioggia e totalmente invaso dalle foglie degli alberi cittadini che lo sovrastano, addossati al muretto che abbraccia l'edificio. Sono ancora le 15:50, l'oratorio non apre prima delle quattro in punto.
Per non sprecare tempo, Vittorio fa qualche domanda di sintassi latina al suo amico per vedere se riesce a rievocare qualche cosa del compito che hanno svolto la mattina stessa, ma niente.
Passano appena cinque minuti quando alcune voci si avvicinano al cancello dell'oratorio.
«Arrivano gli altri» interrompe Andrea senza preoccuparsi troppo di rispondere all'ultima domanda di Vittorio che oramai, deluso, incomincia a rassegnarsi e prosegue a raschiare le foglie sotto gli alberi davanti al cancello dell'oratorio, con la punta del piede.
Non appena le voci si fanno più vicine, consolidandosi in due loro coetanee, la gioia di Andrea si tramuta in un interdetto «Ah!».
La prima voce che risponde alla sorpresa di Andrea con un educato saluto: «Ciao Andri!» per poi proseguire in tono non scevro da una certa civetteria: «Sei sorpreso?»
«Ma figurati Marti»
Vittorio continua intanto a frantumare le foglie marroni e friabili con la suola della scarpa e saluta meccanicamente la ragazza: «Ciao Marti» che risponde al saluto con un sorriso che Vittorio non può vedere.
Ma l'altra voce costringe la testa a Vittorio ad alzarsi: «Di nuovo ciao Vittorio».
«Ciao Maggie!» esclama Vittorio sorpreso, notando un sorriso e un'occhiata di sbieco, appena accennata dal suo amico. Vittorio, sempre sorpreso prosegue: «Non dovevi andare in biblioteca?»
Prontamente Martina si intromette nel dialogo fra i due: «Colpa mia: ho fatto tardi all'appuntamento»
«Abbiamo deciso di venire qua a studiare alla fine, è più vicino e comodo» aggiunge Margherita sistemandosi indietro i capelli biondi con la sua mano guantata che poi, proseguendo il suo percorso dietro la nuca va a sistemare il cappuccio del suo piumino bianco.
«Guarda un po' che coincidenza» esclama Andrea
«Anche noi siamo venuti qua per studiare. Vero Andrea?»
«uhm» si limita a mugugnare Andrea evidentemente contrariato da questo rivolgimento degli eventi, mentre tutti gli altri si limitano a sorridere.
Uno scatto del cancello segnala che è giunta l'ora.
Scuotendo la testa, ripiegata sino a far toccare il mento con lo sterno, Andrea entra per primo, seguito da Martina. Per ultimi entrano Margherita, con il suo zainetto in spalla e infine Vittorio.
Inaspettatamente Margherita si volta di scatto, reclinando la testa di lato, sfiorando con il mento la propria spalla destra puntando il suo viso per tre quarti su Vittorio: «Mi ricorda la primavera scorsa, quando studiavamo insieme»
«È vero» si limita a dire Vittorio «come se fosse stato tutto scritto»
«Quanto sei fatalista però» dice sorridendo Margherita.
«Ogni tanto capita anche a me» si giustifica Vittorio senza perdere il buon umore.
«Sei pronto a far studiare Andrea?»
«Diciamo che abbiamo incominciato bene trovando un equilibrio: facciamo quello che dico io, nel posto scelto da lui»
«Adesso incomincia la vera sfida»
«Non ti arrendi mai vero?»
«Mai» dice con sicurezza Vittorio, per poi aggiungere «Non mi arrendo ora che ho trovato un equilibrio»

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