di Mattia S.
Vittorio riaggancia la cornetta del
telefono e torna in cucina. Una tenera luce entra nella sala da
pranzo facendo brillare le posate argentate davanti al suo piatto e
l'acqua nella brocca al centro del tavolo e nel suo bicchiere
riempito a metà, posto a lato del suo piatto, sopra la tovaglia a
scacchi ripiegata a metà sul tavolo.
L'orologio sopra il forno segna le
14:15. Mentalmente calcola che i suoi non arriveranno per pranzare
verso le 14:30, come loro solito; lui deve incontrarsi con Andrea
alle 15 in punto.
Vittorio infilza gli ultimi bucatini e
spazzola il piccolo strato di unto di burro, lasciato dal suo
condimento improvvisato e appoggia il piatto e le posate nel
lavandino del piccolo cucinino.
Ora che è giorno quella luce lo attrae
irresistibilmente all'esterno, verso il quartiere, verso il suo
amico.
Attraversando il piccolo corridoio in
penombra su cui si affacciano tutte le camere del piccolo
appartamentino condominiale, abitato dalla sua famiglia, situato in
Corso Carlo Alberto. Passando accanto alla stanza da letto dei suoi
genitori non può che notare con la coda dell'occhio le piccole
fenditure di luce che filtrano dalle tapparelle abbassate e percepire
un acre sentore tipico di una stanza che è rimasta abbandonata a se
stessa per qualche ora di troppo con le finestre chiuse. Passando
oltre, superando il mobile su cui poggia il piccolo telefono grigio,
sopra un centrino bianco candido fatto a mano da sua madre, non
ricorda più quanto tempo fa. Supera la porta chiusa del bagno,
davanti alla porta chiusa del piccolo e angusto studio di suo padre,
convertito da una vecchia camera da letto, arriva davanti
all'ingresso della sua camera da letto.
Entrando si sveste in fretta, gettando
la maglia bianca semplice sul letto, rimanendo con la canottiera di
cotone. Frugando nell'armadio aperto pesca una maglietta nera di
cotone, a maniche lunghe, che indossa al volo. Il contatto con
quell'indumento pulito e fresco lo ristora, ampliando il piacere di
questa giornata effervescente, contro quel temporale notturno che
aveva impietosamente soffiato via le ultime foglie del viale. La
camicia di flanella non può mancare. E il giubbetto, ovviamente.
Si abbottona la camicia davanti allo
specchio del corridoio, dando le spalle al telefono, quel telefono
che aveva squillato pochi minuti prima, interrompendo il suo pranzo.
Si allaccia la zip ed è pronto ad uscire. Scende in fretta le scale
condominiali saltellando di scalino in scalino poggiando tutto il suo
peso sull'avampiede, come fa un pugile esperto che padroneggia le
tecniche del ring, facendo attenzione a non scivolare sul marmo
inumidito dall'acqua che i condomini hanno trascinato dentro con i
loro vestiti fradici.
Impaziente appoggia la mano sulla
maniglia del pesante portone d'ingresso lasciando che il peso del suo
braccio faccia scattare il meccanismo della maniglia. Tirando in
dietro il portone che cigola sui cardini una luce fresca chiara,
celestiale, entra nell'atrio del palazzo accompagnata da un gelo di
metà novembre che accarezza la faccia con disinvolta potenza. Con un
sorriso appena accennato ammira il bel sole, dopo quel temporale
inaspettato e imprevisto che aveva sorpreso tutta la cittadina.
Subito i rumori di quel mercoledì accompagnano la sua uscita di
primo pomeriggio; poche volte era uscito così presto. In lontananza
si sentono i furgoni degli ambulanti del mercato che stanno finendo
di smontare.
“Oppure sono gli scopini...” pensa
Vittorio incamminandosi con le mani nella tasche della giacca
lasciando che la porta si richiuda alle sue spalle. Incomincia a
camminare lasciando che i suoi capelli di media lunghezza che gli
cingono la fronte scodinzolino a destra e a sinistra lasciando che
quei ricci scuri scudiscino le tempie e i padiglioni delle orecchie.
Deve raggiungere via Macerata, dove è
situata la casa di Andrea, con le sue piccole casette condominiali
basse, lontane dal tram tram del piccolo cuore pulsante del quartiere
del piano, pur essendone un piccola coronaria, poco più di un
agglomerato di case semplici, come tante altre.
Vittorio attraversa la via centrale
sotto casa sua, tenendosi però lontano dal viale alberato, oramai
denudato, schivando le pozzanghere che odorano di terra bagnata,
nonostante quell'altro acre sentore di mareggiata che, dal porto
turistico giunge sino al dedalo dei vicoli del piccolo quartiere. È
l'odore tipico delle località marittime, di quelle case a ridosso
del mare. Un odore d'autunno marittimo, in quelle mezze stagioni
lontane dal sole e dal gelo invernale.
Gli scopini del comune avevano
scoperchiato le fogne per permettere all'acqua di fluire nello scolo
fognario, probabilmente mentre stava svolgendo il compito di latino.
L'odore di acqua stantia e marcia contrasta con l'odore di mareggiata
proveniente dal porto turistico.
Vittorio cammina svelto su un tappeto
quasi uniforme di foglie. Piccoli rami ingombrano la strada e
dappertutto un tappeto quasi uniforme di foglie, oramai inumidite
come una patina di carta pesta che avvolge il mattonato del
marciapiede; Vittorio cammina svelto su questo tappeto di foglie
gialle, marroncine, marrone scuro e certe foglie verdi che avevano
resistito al volgere delle stagioni ma alla fine avevano dovuto
soccombere alla violenza del temporale.
Vittorio cammina sul marciapiede, ora
rasente il muro, per schivare una pozzanghera, ora sfiorando la fila
di macchine per saltare agevolmente un rivolo d'acqua che scola da
una grondaia.
Tornato da scuola si era separato da
Andrea nella piazza centrale del quartiere, dove si trovava la
fermata dell'autobus, quando ancora il cielo lanciava i suoi
rimbrotti e una quantità spropositata di acqua. Vittorio aveva
imboccato la via che porta al viale, Andrea aveva imboccato la strada
opposta che conduce a casa sua, situata in via Macerata.
Vittorio è giunto alla fine del corso,
la strada si interrompe intersecata dalla solitamente trafficata via
della Ricostruzione, che collega il centro del quartiere al centro
vero e proprio della città; la strada, dopo questa interruzione,
cambia nome in via delle Grazie, la via che conduce all'omonimo
quartiere.
Vittorio svolta l'angolo e procede per
un breve tratto lungo via della Ricostruzione e, non appena il
traffico lo permette attraversa la strada. A pochi metri da dove si
trova una piccola via in salita, via Lauro Rossi conduce a via
Macerata.
Fischiettando il ritornello di Sympathy
fo the devil, passa oltre il piccolo vicolo che conduce alla traversa
in cui abita il suo amico. Essendo in anticipo si concede di prendere
la via successiva, via Fano, che poco più ampia della precedente
conduce anch'essa alla casa di Andrea.
Superato il vicolo, a non più di un
paio di passi della via che deve imboccare una improvvisa folata
bionda quasi lo schiaffeggia in viso.
«Ciao
Vittorio!»
«Ciao
Margherita!» Saluta in risposta con un cenno del capo che fa
trapelare la sua sorpresa.
«Visto
che bel sole che è uscito?» domanda una Margherita tremendamente
raggiante con i suoi occhi castani, illuminati dalla luce solare.
«Si»
risponde Vittorio ricambiando il sorriso «non me lo aspettavo
proprio»
«Mi
ricorda Genova» spiega Margherita «anche li avevamo il mare a poche
centinaia di metri da casa. Ormai è un anno che ci siamo trasferiti
qua. Stai andando al parco?»
«Nono,
devo andare a... salvare Andrea, diciamo così. È per via del
compito di latino»
«Si,
in effetti non è stato molto facile» conclude Margherita fissando
gli occhi di Vittorio.
«Immagino»
fa Vittorio di rimando per poi aggiungere con un sorriso smaliziatio:
«avrai preso solo 10»
«Non
penso proprio questa volta...»
«...come
l'ultima volta» taglia corto Vittorio con un sorriso ma, sapendo che
Margherita tende sempre a tenere i propri successi scolastici
riservati per una sorta di corretta modestia, si affretta a
giustificare: «Sei il genio della sintassi latina»
«Dopotutto
anche tu non vai male in latino»
«si,
certo: con la mia media appena sufficiente»
«È
sempre sopra la media del resto della classe» gli fa notare
Margherita.
Vittorio
rimane interdetto, dopo questo nuovo dato; una sorta di complimento
indiretto, velato da una critica appena accennata al resto della
classe.
Mentre
Margherita parla Vittorio la contempla, osservando come da quel suo
piumino bianco immacolato spunti una collo chiaro, pallido come il
suo viso su cui spiccano due labbra tumide e rosate, in mezzo a tutto
quel candore. Persino la montatura dei suoi occhiali è bianca.
Dietro quelle lenti spiccano due occhi di un marroncino tenue, che
ricorda vagamente alcune delle foglie cadute nella notte. Sopra la
nuca una fitta capigliatura di capelli biondi sciolti, dal sapore
quasi nordico.
«Nomina
numina» esclama quasi involontariamente Vittorio, accompagnando le
due parole da un gesto della mano che disegna nell'aria davanti alla
ragazza una sorta di cerchio, mimando con le dita una sorta di
spirale che chiudendosi il cerchio mima la corolla di un fiore.
«Come
scusa?»
«Scusa»
premette Vittorio alzando le palme delle mani aperte, senza però
perdere il suo sorriso «ma sembra tu ci abbia fatto apposta»
«A
fare cosa»
«A
vestirti da margherita»
«Hahaha,
beh, in un certo senso si: mi piace il bianco. Un attimo ho pensato
fossi sotto l'influsso del professore e del compito»
«Appunto»
dice a denti stretti Vittorio con un accenno di sorriso ora reso
contrito «a proposito di latino, devo andare a salvare Andrea»
«Sei
il solito» dice inaspettatamente Margherita, con un tono di voce che
Vittorio non sa interpretare.
«In
che senso?» chiede sorpreso il ragazzo.
«Sei
sempre in prima fila; sempre pronto ad aiutare gli altri» dice
semplicemente Margherita alzando impercettibilmente le spalle.
«Non
posso accettare l'indifferenza di chi sta sopra e fa finta che un
problema non esista» sintetizza Vittorio, muovendo appena il capo.
«Infatti
molti professori si sono arresi con i nostri compagni di classe che
non riescono a raggiungere la sufficienza» controbatte Margherita
all'angolo di via Fano, senza scomporsi.
«Aiutare
gli altri, coloro che sono in difficoltà, dovrebbe essere il compito
di chi sta in alto. Se a loro non interessa delle persone che
arrancano non vuol dire che debbano essere indifferenti anche quelli
che siedono nella polvere» ribatte Vittorio.
«Anche
tu siedi nella polvere?»
«Ne
più ne meno di tutti gli altri»
«Ma
vai molto bene in quasi tutte le materie a scuola» fa notare
Margherita «non sei un po sopra la media?»
«Assolutamente
no. Non è un voto che fa la differenza. È la voglia di tirarsi su e
aiutare gli altri ad alzarsi in piedi»
«Ma
se tutti gli altri sono indifferenti, verso la propria condizione o
quella altrui, in cosa sei diverso tu?»
Vittorio
tace un attimo osservando la montatura bianca degli occhiali della
sua compagna di classe. Ma la risposta la conosce già, deve solo
scavare un attimo per trovare quella cosa che è sepolta dentro di
lui: «È la volontà di essere nel giusto» conclude.
Margherita
sorride, dimostrando di aver trovato convincente questa risposta che
ha concluso uno dei loro soliti dibattiti filosofici. «Per questa
volta te la cavi» dice socchiudendo le palpebre dietro le lenti,
mentre Vittorio scopre gli incisivi e i canini in un largo sorriso
«solo perché devo andare a prendere il filobus»
«Dove
vai?» domanda Vittorio.
«Vado
a ripassare Anassimandro in biblioteca» risponde lei.
«Allora
buono studio!»
«Grazie!»
risponde la ragazza «a te buona fortuna!»
Vittorio
si limita ad alzare entrambe le mani mostrando le dita incrociate e
allontanandosi saluta con la mano la sua compagna di classe.
«A
domani Diche!» dice lei
«A
domani Maggie» risponde Vittorio sorridendo.
Vittorio
arriva davanti casa di Andrea in anticipo di dieci minuti. Qui,
aspettando per non essere troppo invasivo, si mette a passeggiare
davanti al portone toccando con il diede le pigne cadute o
frantumando le foglie in terra, fradice di pioggia. Nel frattempo si
accorge di non riuscire più a rievocare nella mente il ritmo delle
canzone che stava fischiettano prima dell'incontro con Margherita.
Dopo neppure due minuti di attesa si decide a suonare il citofono.
Quasi istantaneamente il portone scatta, come se a casa di Andrea
stessero aspettando solo lui. E infatti, salendo al secondo piano del
condominio trova la testa di Andrea che sporge dalla porta di
ingresso che, muovendo le labbra screpolate dal freddo dice “aiuto”.
Senza
neppure salutare il suo amico si fa semplicemente da parte per farlo
entrare nell'ingresso, dove avvicinandosi dopo aver chiuso la porta
gli sussurra: «mi vogliono fare la festa»
«Tanto
per cambiare»
«Non
scherzare e salvami»
Una
voce femminile dal salotto antistante interrompe le suppliche di
Andrea «Andri chi è alla porta? È Vittorio Di Cherio?»
Vittorio
si stupisce un po di essere chiamato per nome e cognome dalla madre
di un ragazzo che conosce dalle elementari.
«Si
Mà...»
«Avvisalo
che sei in punizione preventiva, sino a quando non arrivano i
risultati del compito; dopodiché sarai in punizione definitiva»
«Visto?!»
si rivolge all'amico che agguantato per la manica del giubbetto viene
trascinato nel salotto.
«Buonasera
signora!» esclama Vittorio entrando nella stanza
«Ciao
Vittorio» risponde la madre di Andrea appoggiando sul bracciolo
della poltrona il libro che stava leggendo, uno di quei tomi di
qualche decennio prima di quelli con la copertina nera rigida, su cui
non vi è impresso neppure il titolo. «Spero che Andrea non ti abbia
disturbato per venire sin qui nel vano tentativo di trovare una scusa
per farlo uscire; visto che tu devi studiare, a differenza sua»
“incominciamo
male” pensa Vittorio senza perdere il suo cordiale sorriso,
maledicendosi per aver accettato una situazione così spinosa.
«Dunque Andrea non può uscire?» chiede lasciando intendere un
lieve dispiacere.
«Categoricamente
no!» Pronuncia la madre di Andrea che nel frattempo ha ripreso in
mano il libro che stava leggendo.
Alle
spalle di Vittorio, addossato alla porta a vetri, il sospiro di
Andrea ricorda ai presenti la sua presenza. La madre fa finta di
niente e continua a scorrere le parole sulla pagina del libro.
Un'idea
si insinua furtivamente nella mente di Vittorio che, senza pensarci
troppo esclama: «Potrei farmi garante di Andrea!»
«In
che senso?» domanda la madre di Andrea, alzando
gli occhi sul giovane, improvvisamente
incuriosita.
«Mi
faccio garante dei voti di Andrea, diventandone una specie di
precettore. Usciremo assieme e ci dedicheremo allo studio»
«Ma
chi te lo fa fare?» domanda la signora, alzando gli occhi al cielo,
senza però misconoscere la caparbietà del giovane.
“La
mia volontà” pensa il ragazzo che si limita a rispondere «È un
mio amico».
«E
come avresti intensione di procedere?» domanda la madre del suo
amico.
«Già, come?» sottolinea Andrea appena preoccupato, che non si sarebbe mai prospettato un simile rivolgimento dei fatti.
«Già, come?» sottolinea Andrea appena preoccupato, che non si sarebbe mai prospettato un simile rivolgimento dei fatti.
«Per
esempio» incomincia Vittorio «potremmo andare a studiare in
biblioteca».
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