Il vento muove le fronde degli alberi
del viale e fa tremare, con la sua pressione, le inferiate in ferro
battuto del balconcino della camera da letto di Vittorio. Seguendo il
tremore dei vetri, al di qua delle tapparelle abbassate, il ragazzo
si rigira nel suo letto. Le gambe si muovono allontanando le lenzuola
con piccoli scatti repentini che producono una serie di pieghe sul
copriletto. Sbuffando Vittorio scansa le coperte con un brusco gesto
del braccio per poi ritirarle con violenza sino al mento. Allo stesso
modo si rigira irrequieto sul suo letto avvolgendosi completamente
nelle lenzuola, facendo scricchiolare le doghe di legno e,
completando la rotazione, ritrovandosi su un interminabile serie di
pieghe e di grinze fastidiose, compie un ulteriore rotazione di
trecentosessanta gradi in senso opposto, nel vano tentativo di
stendere le pieghe del copriletto e di riposizionare in un dignitoso
ordine le coperte aggrovigliate. Il tentativo risulta essere tanto
infruttuoso da lasciare Vittorio sdraiato e deluso, a pancia in su,
con la schiena appoggiata sulle fastidiose grinze che ha prodotto il
suo nervosismo notturno.
Sconsolato Vittorio giace immoto, con i
piedi oramai scoperti dal lembo del lenzuolo che ha tirato con troppa
foga sino al mento. Gli occhi spalancati fissano l'oscurità che lo
sovrasta.
«Non
lo sopporto...» con un gesto di stizza scansa del tutto le lenzuola
e l'imbottita; con uno scatto, ruotando su se stesso, riesce a
mettersi seduto sulla sponda del letto, spostando definitivamente il
copriletto e denudando il materasso.
Così
seduto, con i gomiti appoggiati sulle ginocchia, appoggia la fronte
sui palmi delle mani.
Un
brontolio lontano, oltre la stazione, oltre il porto, annuncia un
temporale. Proprio mentre il tuono muore riecheggiando nelle vie del
quartiere le prime gocce iniziano a picchettare contro le persiane
abbassate.
«Piove»
Tendendo
la mano verso il comodino Vittorio accende la luce della lampada che
accompagna le sue letture serali. La luce giallognola e flebile della
lampadina a incandescenza lo acceca costringendolo a stringere gli
occhi con forza.
Dopo
qualche istante, non appena gli occhi si sono abituati alla luce
dell'abat-jour può scorgere, sulla sveglia accanto al suo letto
l'ora.
«Solo
le 3:37...» mormora sconfortato. Tirando un profondo respiro che gli
riempie i polmoni si alza di scatto e lascia andare l'aria non appena
è in piedi, dritto, nel suo metro e settantacinque centimetri di
altezza.
Inizia
così a camminare avanti e in dietro nella sua stanza. Questa strana
mancanza di sonno oramai lo lascia quasi indifferente, quello che gli
dà pensiero sono le riflessioni che affollano la sua mente quando
versa in questi stati di insonnia. Sono ormai diversi mesi che questi
stati persistono. Hanno incominciato ad assillarlo dalla primavera
scorsa e sono continuati per tutte le vacanze estive, nonostante un
periodo di villeggiatura nell'entroterra, lontano dalla città e dal
quartiere, a casa del suo nonno materno. Il medico di famiglia, suo
zio paterno, che lo ha visitato a settembre l'ultima volta ha
riconfermato la diagnosi dei mesi precedenti, ripetendo con la sua
voce monotona la solita cantilena: “il cambio di stagione, la
pubertà, lo stress dello studio”.
Proprio
lo studio, però, è la cosa che maggiormente lo lascia indifferente,
quasi come il cambio di stagione. La pubertà poi, la vede come una
sorta di jolly, una carta magica che si passano specialisti e
opinionisti, come una sorta di fatalità che tanto basta ad
archiviare il caso con un sorriso tra le labbra e un accenno di
assenso con il capo.
Vittorio
continua a camminare, in punta di piedi, per non disturbare il
silenzio che riempie l'appartamento; nonostante l'insistenza di
quella pioggia novembrina che sta sferzando le case del quartiere
ogni passo che fa produce un rumore ovattato che sembra far tremare
le pareti.
I
tuoni in lontananza lo cullano nelle sue riflessioni. Si ritrova
persino ad apprezzare questa pioggia così inattesa che sembra venuta
proprio per riempire la sua stanza.
Camminando
lentamente si dirige verso la libreria. Preso dalle sue personali
riflessioni incomincia ad accarezzare distrattamente il dorso rigido
dei testi scolastici facendo indugiare il suo tocco sul volume di
filosofia: “dov'è che siamo arrivati?” si domanda.
«Talete»
sussurra con voce afona per quel suo sonno tormentato, ripensando
alla lezione del giorno precedente. Camminando si sposta verso la
piccola scrivania. Appoggiando la mano sul legno lucido si trattiene
dal tamburellare sul legno come è solito fare nei momenti di
indecisione. Sulla scrivania giacciono i libri e i quaderni su cui ha
trascorso l'intero pomeriggio, il manuale di latino, le Georgiche di
Virgilio e una gran quantità di carta bianca immacolata. Oramai
abituatosi alla tenue luce della abat-jour si trattiene
dall'accendere la semplice lampada da scrivania che lo ha assistito
nello studio pomeridiano. Aggirando la scrivania indugia un istante
davanti al basso mobile che ospita il suo giradischi. Si concede di
dare un'occhiata al vinile che ha ascoltato tutto il pomeriggio
mentre ripassava latino: Beggars Banquet dei Rolling Stones,
contenente la canzone Sympathy for the Devil, incisa poco più di un
decennio prima. Sotto gli Stones si scorge appena il vinile de King
Crimson, riformatisi da qualche anno.
Vittorio
si sposta davanti alla finestra. In lontananza il rombo del
temporale. Stendendo il braccio appoggia i polpastrelli della mano
destra sul vetro giusto in tempo per sentire la vibrazione prodotta
dallo scoppio del tuono.
“Il
temporale è un amico che riempie questo vuoto che ho nel petto”.
Pensa Vittorio fissando le tapparelle scure al di là della finestra
di legno dipinta di quel bianco che è lo stesso delle pareti e delle
mensole che campeggiano sopra il mobile di legno dei vinili. “Eppure,
pensandoci bene, se mi guardo indietro, il vuoto è sempre stato una
condizione ineliminabile della mia precedente esistenza” un altro
tuono fa vibrare gli infissi dell'intero appartamento. Imperturbabile
Vittorio riprende a camminare per la stanza, tenendosi la nuca con le
mani. La piccola sveglia segna le 3:38.
“È
incominciato tutto la primavera scorsa, da allora è come se qualcosa
si sia rotto... una sorta di equilibrio è andato in frantumi. Un
tacito accordo è stato infranto. Che sia questo liceo?” Si domanda
indugiando ancora lo sguardo sui testi scolastici disposti sulla sua
libreria di legno scuro, di una tonalità e di un tipo di legno
diverso da quello della scrivania così antica o del basso mobile
adibito a porta vinili e giradischi, a sua volta di un legno ancora
diverso, più recente e più chiaro.
“La
scuola ha certamente una parte di merito” riflette. “È quello
che rappresenta, con i suoi ritmi e con un suo programma
totalizzante. Questa programmazione è il simbolo di quella mia
esistenza passata, vuota, vissuta a metà, è l'eco di quel
meccanismo in cui ero inserito senza rendermene conto. Vivevo senza
pormi domande, assecondando i movimenti che mi venivano impressi;
movimenti che non erano i miei... poi è successo qualcosa. La
primavera scorsa ho incominciato a non dormire la notte, una miriade
di pensieri mi affollavano la mente, cose da poco, facezie, piccoli
ragionamenti. Non gli ho dato peso. Col passare del tempo le notti si
sono trasformate in una lunga serie di ragionamenti capziosi, a volte
slegati da ogni consecutio logica. Una depressione si era impadronita
di me. Stavo tentando di soppiantare quel meccanismo che ero e quel
meccanismo che era in me.”
“Eppure,
nonostante abbia incominciato a interrogarmi per trovare una ragione
che non fosse quella di un altro, una specie di vuoto interiore
continuava a tormentarmi. Mi mancava qualcosa.”
Tornando
presso il suo letto afferra un lembo del coprimaterasso e, tirandolo,
ne distende le pieghe. La sola vista di quell'invitante materasso fa
pesare tremendamente le palpebre sopra gli occhi di Vittorio. Guarda
di sfuggita a sveglia. Sono le 4:24. Si siede sulla sponda del letto.
Il contatto con quella fresca superficie gli fa attraversare la
schiena da un brivido che come un colpo di frusta si insinua tra la
spina dorsale e la canottiera che indossa. Prima di infilarsi sotto
le coperte getta un occhiata al libro illuminato perpendicolarmente
dalla sua abat-jour. L'opera di Bulgakov, nella sua rilegatura e
nella sua versione italiana sembra invitarlo a prendere commiato da
tutti quei pensieri e da quel mondo contorto e grottesco, un po' come
il Maestro protagonista del racconto, dopo il suo incontro con il
misterioso Woland.
Sdraiandosi
a pancia in sotto sprofonda il volto nel cuscino. Una miriade di
puntini luminosi gli accarezzano le pupille mentre con la mano
afferra l'interruttore bianco della lampada. La luce si spegne.
Vittorio se ne accerta girando appena il volto verso la spalla
destra, verso il muro contro cui è appoggiato il suo letto. La notte
lo avvolge di nuovo mentre fuori il temporale è divenuto un continuo
e persistente scroscio di pioggia intervallato di tanto in tanto dal
ruggito del tuono.
“Non
è la scuola, non è il mondo a spaventarmi, o il sistema di quella
mia predente vita vissuta a metà. Al di la di tutto il resto è
certamente lei, la causa di questo vuoto che ho dentro” riflette
Vittorio, rievocando il titolo del romanzo, prima di riuscire a
concedersi un meritato riposo in vista della verifica che lo attende.
Nessun commento:
Posta un commento