lunedì 14 febbraio 2022

“Pianto antico” di Giosue Carducci. Il dolore di un padre diventa il pianto del mondo

Il componimento di Giosue Carducci, oltre ad avere un grande debito verso i lamenti funebri greci, mette in scena il doloroso momento della perdita del figlio facendolo diventare il pianto dell’intera umanità. Forme classiche tradizionali rivelano una poesia misurata e precisa, levigata alla perfezione.


Analisi e commento di Mattia Sangiuliano

 

 

L’albero a cui tendevi

 

la pargoletta mano,

 

il verde melograno

 

da’ bei vermigli fior,

 

 

5

nel muto orto solingo

 

rinverdì tutto or ora,

 

e giugno lo ristora

 

di luce e di calor.

 

 

 

Tu fior de la mia pianta

10

percossa e inaridita,

 

tu de l’inutil vita

 

estremo unico fior,

 

 

 

sei ne la terra fredda,

 

sei ne la terra negra

15

né il sol più ti rallegra

 

né ti risveglia amor.

 

Giugno 1871

 

Il vivo albero di melograno dai bei fiori rossi verso cui protendevi la tua manina è ora nuovamente verde, nell’orto solitario e muto, e il mese di giugno lo ristora con la luce e il calore. Tu, frutto della mia vita, colpita e caduca, dell’inutile esistenza sei stato l’unico fiore tardivo, riposi nella terra fredda, nella terra scura; lontano dai raggi del sole che ti poteva donare allegria, non ti può svegliare il mio amore paterno.

 

La poesia Pianto antico, contenuta nella raccolta Rime nuove, è datata giugno 1871. Come esprime bene il titolo, il tema centrale viene mutuato dalla poesia greca ed è noto come threnos (pianto o lamento funebre), che qui commemora la morte del figlio del poeta, Dante, avvenuta il 9 settembre 1870, quando il bambino aveva solo tre anni. Per via dell’argomento la poesia presenta molte consonanze con l'antecedente Funere mersit acerbo. Immagini di dolore e angoscia individuale, di un padre che perde il figlio, divengono, in pochi versi, espressione della più ampia condizione della vita umana, ineluttabilmente caratterizzata dalla caducità.

 

Un ruolo centrale lo ha la pianta del melograno (o melagrana) che nella tradizione e nelle culture umane ha da sempre rivestito importanti aspetti simbolici. Nella cultura greca, ad esempio, il melograno è legato al mito di Persefone e a quello di Hera: morte e oltretomba da una parte, fertilità dall’altra. Due aspetti che sicuramente Carducci doveva avere bene a mente quando compose la poesia osservando il melograno che aveva fuori dalla finestra.

 

La poesia è costituita da quattro stanze di quattro versi di settenari. Il primo verso risulta essere piano e libero da rima, così come slegato da rima ogni verso che apre ogni strofe. Il secondo e terzo verso rimano tra loro, il quarto verso rima solo con il quarto verso di ogni altra stanza; si crea in questo modo un tema musicale ricorsivo che, tornando in ogni stanza del componimento, fornisce una certa unitarietà complessiva. Lo schema metrico potrebbe essere riassunto come segue: ABBC DEEC FGGC HIIC.

 

L’impiego del settenario contribuisce a creare una poesia veloce e diretta; lo stretto perimetro di una versificazione essenziale, apparentemente limitato nello spazio offerto dalla tipologia del verso, non mina in nessun modo la capacità del compositore che, con maestria, cesella sapientemente il componimento scegliendo con precisione chirurgica le parole. In appena 16 versi, sorretti da un magistrale uso della lingua e della sua potenza espressiva, Carducci evoca immagini chiare e precise tutt’altro che artificiose.


Sono presenti alcuni enjambements (vv. 1-2, 7-8, 9-10) che contribuiscono a creare un andamento più discorsivo della poesia, ben cesellata dall'uso della punteggiatura di fine verso. Il ritmo viene rimarcato dal suono allitterativo in "r" che attraversa per intero il componimento. L'anastrofe, invertendo l'ordine delle parole, favorisce la scansione ritmica data dalle rime (vv. 3, 4, 11, 16). Al v. 2 troviamo invece un'ipallage e al v. 5 una personificazione dell'orto cui viene conferito l'attributo di "muto" (silenzioso).

 

Le strofe del componimento, con la loro divisione, creano momenti precisi e immagini chiare, che vengono bilanciati nella rappresentazione della scena, con un chiaro intento geometrico all’insegna dell’accostamento e del successivo ribaltamento antitetico. Nella prima strofa, in apertura, troviamo l’immagine dell’albero verde e vitale, che ben presto lascerà posto alla rappresentazione della morte del figlio del poeta. All’albero viene contrapposta l’immagine della pianta, “percossa e inaridita” (v. 10) che ha perso il suo fiore (il figlio del poeta). La metafora crea un gioco di rimandi che alternano, ribaltandole, le due forze che attraversano il componimento: vita e morte si fronteggiano e conducono a un unico esito possibile. Il trionfo nella morte.

 

I fiori vermigli del melograno (v. 4) nella terza strofe vengono contrapposti al figlio del poeta, ormai morto (v. 9), l’immagine floreale culmina nella dolorosa definizione di “estremo unico fiore” (v. 12). Il ribaltamento prosegue e culmina, nell’ultima stanza della poesia, con le ultime ossessive ripetizioni e reiterazioni “Se ne la terra…” (vv 13-14) e con i successivi “né” anaforici che aprono i versi 15 e 16. Raggiungiamo qui il culmine di struggimento e angoscioso dolore. Il sole che riscalda il melograno – e per estensione quello che potrebbe essere considerato il dominio dei vivi – non può scaldare il piccolo figlio del poeta. Neppure l’amore paterno può ridestarlo dall’ultimo, eterno, sonno.

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