Il componimento di Giosue Carducci, oltre ad avere un grande debito verso i lamenti funebri greci, mette in scena il doloroso momento della perdita del figlio facendolo diventare il pianto dell’intera umanità. Forme classiche tradizionali rivelano una poesia misurata e precisa, levigata alla perfezione.
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L’albero a cui tendevi |
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la pargoletta mano, |
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il verde melograno |
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da’ bei vermigli fior, |
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nel muto orto solingo |
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rinverdì tutto or ora, |
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e giugno lo ristora |
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di luce e di calor. |
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Tu fior de la mia pianta |
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percossa e inaridita, |
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tu de l’inutil vita |
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estremo unico fior, |
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sei ne la terra fredda, |
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sei ne la terra negra |
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né il sol più ti rallegra |
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né ti risveglia amor. |
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Giugno 1871 |
Il vivo albero di melograno dai bei
fiori rossi verso cui protendevi la tua manina è ora nuovamente verde,
nell’orto solitario e muto, e il mese di giugno lo ristora con la luce e il
calore. Tu, frutto della mia vita, colpita e caduca, dell’inutile esistenza sei
stato l’unico fiore tardivo, riposi nella terra fredda, nella terra scura;
lontano dai raggi del sole che ti poteva donare allegria, non ti può svegliare
il mio amore paterno.
La poesia Pianto antico,
contenuta nella raccolta Rime nuove, è datata giugno 1871. Come esprime bene il
titolo, il tema centrale viene mutuato dalla poesia greca ed è noto come threnos
(pianto o lamento funebre), che qui commemora la morte del figlio del poeta,
Dante, avvenuta il 9 settembre 1870, quando il bambino aveva solo tre anni. Per
via dell’argomento la poesia presenta molte consonanze con l'antecedente Funere mersit acerbo. Immagini di dolore e angoscia individuale, di un padre che
perde il figlio, divengono, in pochi versi, espressione della più ampia
condizione della vita umana, ineluttabilmente caratterizzata dalla caducità.
Un ruolo centrale lo ha la pianta del
melograno (o melagrana) che nella tradizione e nelle culture umane ha da sempre
rivestito importanti aspetti simbolici. Nella cultura greca, ad esempio, il
melograno è legato al mito di Persefone e a quello di Hera: morte e oltretomba da
una parte, fertilità dall’altra. Due aspetti che sicuramente Carducci doveva
avere bene a mente quando compose la poesia osservando il melograno che aveva
fuori dalla finestra.
La poesia è costituita da quattro stanze
di quattro versi di settenari. Il primo verso risulta essere piano e libero da
rima, così come slegato da rima ogni verso che apre ogni strofe. Il secondo e
terzo verso rimano tra loro, il quarto verso rima solo con il quarto verso di
ogni altra stanza; si crea in questo modo un tema musicale ricorsivo che,
tornando in ogni stanza del componimento, fornisce una certa unitarietà
complessiva. Lo schema metrico potrebbe essere riassunto come segue: ABBC DEEC
FGGC HIIC.
L’impiego del settenario contribuisce a
creare una poesia veloce e diretta; lo stretto perimetro di una versificazione
essenziale, apparentemente limitato nello spazio offerto dalla tipologia del
verso, non mina in nessun modo la capacità del compositore che, con maestria,
cesella sapientemente il componimento scegliendo con precisione chirurgica le
parole. In appena 16 versi, sorretti da un magistrale uso della lingua e della
sua potenza espressiva, Carducci evoca immagini chiare e precise tutt’altro che
artificiose.
Sono presenti alcuni enjambements (vv. 1-2, 7-8, 9-10) che contribuiscono a creare un andamento più discorsivo della poesia, ben cesellata dall'uso della punteggiatura di fine verso. Il ritmo viene rimarcato dal suono allitterativo in "r" che attraversa per intero il componimento. L'anastrofe, invertendo l'ordine delle parole, favorisce la scansione ritmica data dalle rime (vv. 3, 4, 11, 16). Al v. 2 troviamo invece un'ipallage e al v. 5 una personificazione dell'orto cui viene conferito l'attributo di "muto" (silenzioso).
Le strofe del componimento, con la loro
divisione, creano momenti precisi e immagini chiare, che vengono bilanciati
nella rappresentazione della scena, con un chiaro intento geometrico
all’insegna dell’accostamento e del successivo ribaltamento antitetico. Nella
prima strofa, in apertura, troviamo l’immagine dell’albero verde e vitale, che ben
presto lascerà posto alla rappresentazione della morte del figlio del poeta.
All’albero viene contrapposta l’immagine della pianta, “percossa e inaridita”
(v. 10) che ha perso il suo fiore (il figlio del poeta). La metafora crea un
gioco di rimandi che alternano, ribaltandole, le due forze che attraversano il
componimento: vita e morte si fronteggiano e conducono a un unico esito
possibile. Il trionfo nella morte.
I fiori vermigli del melograno (v. 4)
nella terza strofe vengono contrapposti al figlio del poeta, ormai morto (v.
9), l’immagine floreale culmina nella dolorosa definizione di “estremo unico
fiore” (v. 12). Il ribaltamento prosegue e culmina, nell’ultima stanza della
poesia, con le ultime ossessive ripetizioni e reiterazioni “Se ne la terra…”
(vv 13-14) e con i successivi “né” anaforici che aprono i versi 15 e 16.
Raggiungiamo qui il culmine di struggimento e angoscioso dolore. Il sole che
riscalda il melograno – e per estensione quello che potrebbe essere considerato
il dominio dei vivi – non può scaldare il piccolo figlio del poeta. Neppure
l’amore paterno può ridestarlo dall’ultimo, eterno, sonno.
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