di Mattia Sangiuliano
Ogni primavera l'editore
Einaudi pubblica il frutto della lezione-conferenza che il Centro
Studi Primo Levi tiene l'autunno precedente. Ogni anno viene
confezionato un volume specifico bilingue, italiano e inglese, che
trattando un determinato argomento si prefigge di scandagliare
determinati aspetti della produzione di Primo Levi.
Il 2016 ha visto la
pubblicazione della settima lezione tenuta dal prof. Francesco
Cassata che pone ai lettori un quesito. Riprendendo Storie
Naturali (1966), la prima raccolta di racconti di Levi, Cassata
ripropone una domanda che era stampata sulla fascetta di quel libro e
che dà anche il titolo alla sua lezione: Fantascienza?[1]
La domanda, dopo aver letto i racconti di Levi e il giudizio di
apprezzamento che ne diede il coevo Italo Calvino – Primo,
scienziato “prestato” alle lettere, Calvino, invece, letterato
prestato alla scienza, verrebbe da dire semplificando – dovrebbe
diventare affermazione: Fantascienza! Per via delle tematiche e della
forma con cui vengono trattate le questioni al suo interno,
tutt'altro che semplice scrittura del fantastico. Per via del modo di
scrivere limpido di Levi, critici illustri – fra cui Pier Vincenzo
Mengaldo[2] – ne esaltano tutt'ora le proprietà
formali; la scrittura è estremamente vicina a quella dei report
settimanali che ogni chimico deve compilare accompagnando le proprie
relazioni, comprensibili e di un'essenzialità che evita
accuratamente la ridondanza, l'espressionismo vuoto e fine a se
stesso, o il manierismo caratteristico di altre esperienze
letterarie.
La lezione di Francesco
Cassata viene strutturata in cinque momenti corrispondenti ad
altrettanti capitoli tematici del libro. Incominciamo il nostro
viaggio agli albori dell'idea leviana di scrivere fantascienza (o
science fiction) con il racconto I mnemagoghi, addirittura
risalente agli anni 1946-48. Il rapporto tra fantascienza e memoria
del Lager è presente nei racconti leviani ma non in forma allegorica
– direi latente in forma quasi archetipica –, aleggia tra le
righe e talvolta qui viene plasmato. Levi oscilla nella definizione
del genere che abbraccia e che accompagna, di pari passo, la sua
attività di testimone della Shoah; come nota Cassata, lo scrittore
torinese esita, nella prima metà degli anni '60, invece di adottare
l'espressione “fantascienza” «preferisce parlare di “favole”,
“divertimenti”, “stranezze”, “storie di tenie e di
centauri”» (p. 37); teme di tradire il pubblico che forse non
apprezzerebbe le storie morali celate dietro le costruzioni
fantascientifiche che intesse, ma che invece non rappresentano una
cesura netta con l'esperienza del Lager. Dagli anni '70 adotterà
senza più remore la definizione adatta per i suoi racconti portando
alle stampe una seconda raccolta, ideale prosieguo della precedente,
significativamente intitolata Vizio di forma (1971).
Domandandoci del perché
uno scrittore affermatosi da poco come testimone dello sterminio, e
come sopravvissuto alla follia del Lager nazista, si spinga a
scrivere racconti fantascientifici dobbiamo tenere presenti alcuni
fattori caratteristici di questa personalità: in primo luogo Levi
era un chimico di professione, in secondo luogo era appassionato di
scienza sin da quando era bambino e nonostante i dissapori con la
struttura crociana della scuola fascista che fa passare in secondo
piano quelle scientifiche, la sua onnivora passione per la lettura –
trasmessagli dal padre – lo accompagnerà sempre. Questi aspetti
confluiscono nell'idea di una scrittura fantastica che lo visita già
tempo prima dell'esperienza di Auschwitz e, addirittura, sopravvivrà
al campo di sterminio assieme a lui approdando negli anni sessanta
sotto forma di quella prima raccolta di racconti fantascientifici.
Altra fonte che conferma la sua passione per l'intessere racconti di
quella che viene definendosi science fiction, ci è data dal
suo compagno di prigionia – scomparso l'8 settembre scorso –, il
“Pikolo” Jean Samuel protagonista del capitolo Il canto di
Ulisse di Se questo è
un uomo, che conferma
l'intenzione di Primo di voler scrivere la storia di un errante atomo
di carbonio che troverà poi posto nel racconto di chiusura della
raccolta de Il sistema periodico (1975).
Homo
Homini Lupus scriveva il
pensatore inglese Thomas Hobbes a corollario di una lunga tradizione
artistico-letterario-filosofica che, muovendo dalla letteratura greca
sino al mondo contemporaneo, accosta l'atteggiamento dell'essere
umano a quello degli animali, talvolta animalizzando gli uni oppure
umanizzando gli altri, divenendo così simboli archetipici, portatori
dei vizi o delle virtù dell'essere umano. Nella raccolta Ranocchi
sulla luna[3],
curata da Ernesto Ferrero, vengono riuniti gli scritti concernenti
queste tematiche animalesche offrendo al lettore una proposta
omogenea ed unitaria del modo di scrivere e di trattare proprio di
Primo Levi che, senza mai adottare un punto di vista smaccatamente
antropocentrico o sentimentale, si muove tra scienza e fantascienza;
Levi è intento a ricucire, talvolta con una nota di umorismo come
appare negli “elzeviri” giornalistici o nelle “interviste
immaginarie”, lo strappo prodottosi nel tessuto della storia della
civiltà contemporanea. Nella finzione fantascientifica prende corpo
anche la figura della chimera, l'ibrido, come fusione tra due
elementi diversi (Quaestio de Centauris,
apparso per la prima volta in Storie naturali)
o come frutto dell'esperimento, capace di fallire o di riuscire
(Angelica farfalla
sempre da Storie naturali),
racchiudendo in sé tutte le possibilità e le potenzialità
creatrici – o distruttrici – insite nella volontà dell'uomo.
La
scienza curvata – il
rapporto scienza-fantascienza in Levi tiene un occhio puntato
sull'aspetto di devianza che la modernità porta con sé; aspetto,
questo della devianza, insito nella modernità stessa, da qui la
spiegazione che si da della macchina di sterminio nazista come
implicazione insita nel progresso[4]
e come esempio di quel tipo di essere umano capace di ergersi come
lupo nei confronti del proprio simile. Il racconto fantascientifico
viene visto non solo come possibilità di esorcizzazione, come sorta
di valvola di sfogo, ma come occasione per poter esperire questa
dicotomia che investe la scienza. Il ritorno di Levi al suo ufficio
di scienziato è esso stesso un atto di resistenza, di rivalsa attiva
contro l'orrore del campo in “la scienza è stata curvata”[5].
Ritornare a fare il chimico nonostante l'orrore visto e subito –
sotto la forma del numero 174517 che porta tatuato sull'avambraccio
sinistro e che decide di non farsi cancellare – è un gesto per
riappropriarsi della propria vita ed è al contempo un gesto non solo
simbolico ma concretamente politico, nel suo piccolo, volto al
raddrizzamento di quella disumanizzazione che era stata concepita nel
cuore della progredita Europa. Lo scrivere di fantascienza,
intessendo talvolta trappole morali, non è frutto di un disimpegno
collaterale che fa da corollario alla sua attività di testimone; è
una scrittura dotata di una sua propria espressività che getta luce
sulle potenzialità e le problematiche della modernità.
[1]
Cassata, Francesco; Fantascienza?
Torino, Einaudi, 2016.
[2]
Levi, Primo e Ferrero, Ernesto (a cura di); Ranocchi sulla
luna e altri animali. Torino,
Einaudi, 2016.
[3]
intervista a
Piervincenzo Mengaldo apparsa sulla pagina di Arte e Cultura su La
Repubblica del 12/02/2017:
http://www.repubblica.it/cultura/2017/02/12/news/mengaldo-158156041/
[4]
in proposito: “Modernità e Olocausto”;
di Bauman, Zygmunt. Bologna, Il Mulino, 2012.
[5]
Levi, Primo; Anniversario,
in “Torino. Rivista mensile della Città e del Piemonte”, 1955.
Citato in “Cassata, Francesco; Fantascienza?”
(p. 49).
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