recensione di Mattia
Sangiuliano
“Aprile dolce dormire”
ci ricorda il vecchio detto, dedicato al mese della primavera e
dell'amore. In questo mese Paola Barbato (di recente alle
prese con la sua nuova creatura: UT) ci regala una storia tetra
pronta a smontare ogni luogo comune legato a questo mese così
solare. Proprio a cominciare da quel “dolce dormire” che se
sottratto può portare a estreme conseguenze; la risultante di questa
privazione, con la complicità di un demone che tiene le chiavi che
possono spalancare le porte di un inferno dimenticato, agendo
nottetempo, è l'incubo.
Ci guidano le cupe,
taglienti e magnifiche chine di Paolo Martinello,
tinte fosche che riempiono con la loro gradazione la scala di grigi
dell'horror vacui sedimentato tra gli interstizi della memoria;
una dark story che lascerà il
segno, capace di cullare e di far struggere sulle note di un valzer
che conduce alla fine dell'amore, come canta il canadese Leonard
Cohen nell'omonima canzone. Cosa si è pronti a sacrificare per
salvare una vita? Cosa perdere per guadagnare, in cambio, la libertà?
Per non essere schiavi dell'incubo o del senso di colpa, così
invadente e verace?
Lasciarsi
andare tra le braccia di Morfeo non sarà più cosa semplice o
piacevole; la notte, con la sua sete di sonno, tende le spire
avvolgendo le sue prede. Sembra dolcissimo ascoltare la litania che
riempie lo spazio tra veglia e sonno, cullandoci; unico problema: ci
si addormentasse si rischierebbe di non svegliarsi più. O non più
come prima, dopo aver conosciuto “l'uomo dei tuoi sogni”. Tra
incubo e speranza, amore e morte, sogno e delirio, Dylan è chiamato
ad affrontare la stessa materia di cui sono fatte le sue illusioni.
C'è solo un modo per recidere un contratto stipulato con il boia. E
Dylan scoprirà cosa andrà sacrificato.
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