martedì 16 febbraio 2016

La “stirpe maledetta” viene dall'inferno – Hellnoir 4di4

recensione di Mattia Sangiuliano


Nulla è per sempre, comprese le belle storie. Prima o poi, anche queste, giungono alla fine. Alcune storie lo hanno scolpito nel loro “DNA”, infatti che Hellnoir sarebbe finito già lo sapevamo da quel primo numero intitolato Una città per cui morire, con quel suo monito stampato nella dicitura 1di4.



Hellnoir, ideato da Pasquale Ruju e messo in movimento dalle chine di Giovanni Freghieri, storia breve o a puntate (come dir si voglia), giunge al termine. Si conclude la sua parabola infernale finendo di sviluppare le suggestioni e le idee lanciate nel corso di questi quattro mesi, e quell'idea di fondo che ha mosso il soggetto di Ruju: E se ci fosse una vita oltre la morte? E se non fosse assolutamente la pace eterna cui siamo stati abituati a credere? E se, inoltre, esistesse un modo molto brutto per poter lasciare anche questo mondo infernale?





Le indagini di Mel, nel mondo infernale, e della figlia Cassie, nel mondo terreno, giungono alla fine. È l'ora della resa dei conti per un epilogo degno di questo nome. Un Melvin Soul, armato e combattivo, pronto a tutto, è deciso a mettere la parola fine a quella serie di eventi che lo hanno portato a schierarsi accanto alla femme fatal Kyra, anche lei invischiata in quella lotta per il potere che investe la turbolenta città di Hellnoir, minacciata nel suo perfetto, e violento, equilibrio.



La sete di vendetta unisce Mel e la seducente deam, facendo passare in secondo piano l'indagine, sacrificata per una buona dose d'azione nelle spettacolari tavole che Freghieri ci dona, a suggello di questa storia; il tutto senza sacrificare l'ultimo mistero svelato all'insegna della “stirpe maledetta”.







Anche le belle storie dunque, prima o poi, finiscono. Fortunatamente altre cominciano. Toccherà aspettare l'altro breve progetto della SBE che ci accompagnerà per ben sei mesi, a partire dal prossimo 25 marzo. Mi riferisco a UT: Le vie della fame, di Paola Barbato e Corrado Roi.

Sicuramente non rimarremo a digiuno di buone storie.

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