giovedì 17 dicembre 2015

“In fondo al male” sulle note di un musical. Dylan Dog n°351

recensione di Mattia Sangiuliano


Un albo che avrebbe lasciato il segno, già alcune indiscrezioni e rivelazioni lo avevano detto. Siamo felici di constatare che nessuno di questi propositi sia rimasto disatteso. Evento di rilievo la comparsa nella scuderia bonelliana di un interessante autore dello stampo di Ratigher alla prosa, con una sceneggiatura – o spartito – dal ritmo cadenzato e deciso, ricalcando le note dei Led Zeppelin, per la storia di questo mese.



Una storia ispirata, una melodia orchestrata su una vicenda a tratti surreale che, oltre lo struggimento, tinta da una punta di follia e di irrealtà appena velata, si rivela invece per la sua lucida realtà. Un album musicale con le sue tracce a cadenzarne l'ascolto, più che un'esecuzione divisa in movimenti. E la musica è citazione e motore di questa vicenda ai confini della speranza. Una speranza evanescente, un'eco che giunge da profondità ormai insondabili, dimenticata sul fondo di una rassegnazione abissale. O forse no?




Paure e pregiudizi fanno vacillare la speranza; la sonnolenta vita di provincia specchio dell'intera umanità per i suoi risvolti: la crudeltà irreale proprio perché ordinaria, il dolore atroce che non sa trovare una spiegazione e pretende un colpevole. L'inadeguatezza e l'insicurezza, il muoversi con passo claudicante sotto il peso di sguardi pronti a giudicare. Un cuore sanguinante per una perdita, disgustato dal mondo che lo circonda. Un Dylan Dog a difesa delle deboli, umane, comprensibili passioni, dovrà scontrarsi con le debolezze e l'orrore che sono in grado di evocare.




Più che un'indagine dylaniata – nello stile dell'inquilino di Craven Road – una scampagnata fuori mano, quattro passi sul fondo delle paure e degli orrori di crudeltà che l'umanità è capace di ingenerare; un abisso senza nome che ha inghiottito la speranza, il buco nero che assorbe e digerisce la sanità e la sensibilità dell'essere umano in quanto tale. L'orrore ci accompagna, e ci sommerge se non sappiamo come usare quella stessa speranza che provvidenzialmente ci assiste.



Siamo di fronte non a una storia ordinaria dell'indagatore dell'incubo, teniamo tra le mani un musical che prende le mosse da un orrore a poco a poco sempre più definito – basta guardare l'eccezionale copertina di Angelo Stano –; lo sguardo vaga sulla distesa sterminata della crudeltà umana, Ratigher dirige il copione per una storia semplice e lineare, subordinando l'indagine, mettendola in secondo piano; i dialoghi sono orchestrati mettendo in scena il dramma intimamente umano, lacerato e contraddittorio. Alcuni passaggi sono degni di nota.


Una storia teatrale, tutt'altro che surreale dunque, in consonanza con l'altrettanto originale prova data dalle tavole di Alessandro Baggi, capace di giocare con il formato bonelliano – addirittura “rompendo” con l'orrore una pagina intera (la 76) o arricchendo l'albo con altre esplosive incursioni a tutto campo –, fautore di un espressionismo che è in grado di far risaltare l'atmosfera altalenante e gli stessi personaggi anche grazie ad un uso non ortodosso del retino, stravolgendo i volti, rendendoli quasi caricaturali, in consonanza con l'iperrealismo orchestrato da Ratigher.



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