di Mattia Sangiuliano
«È molto più facile
[...] essere un eroe che un galantuomo. Eroi si può essere una volta
tanto; galantuomini, si dev'esser sempre.»
La citazione del giorno
di Wikipedia, tratta dall'Enrico IV, celebra così l'anniversario della nascita di Luigi
Pirandello, nato il 28 giugno del 1867, .
L'esclusa (prima a
puntate tra 1901 e 1902, poi in volume nel 1908) percorre, già come
primo romanzo dell'autore, le tematiche fondamentali di Pirandello,
apparentemente ancora legate ai canoni propri del verismo
ottocentesco – a incominciare dalla dimensione regionale –, tende
però a distanziarsene per approfondire determinati motivi di fondo
che vanno a connotare la vicenda della protagonista, Marta Ajala.
Il pensiero di Pirandello
muove proprio dalla parziale sconsacrazione dell'impianto verista,
rifiutando, similmente, le maggiori dottrine filosofiche, attingendo invece ad ampie mani ad una concezione irrazionalistica della vita.
Da sempre appassionato di
questioni teoriche, lo stesso Pirandello teorizzò il crollo di ogni
concezione filosofica quando all'interno dell'uomo prevale la
bestialità, vale a dire l'elemento irrazionale della bestia stessa che risiede
nell'uomo. Lo stesso scritto fondante della sua poetica, L'umorismo
(1908), viene costruito su un impianto anti-tradizionalista, una
sorta di esposizione colloquiale lontana dall'impostazione rigorista
di tipo filosofico tradizionale.

Attraverso
il personaggio di Marta l'obiettivo è dunque quello di far emergere
il tema dell'esclusione sociale e famigliare, facendo dominare su
tutto l'umorismo.
Proprio
l'umorismo, e l'ironia che attraversa l'opera, può spiegare,
chiarificare al lettore, lo svolgimento della vicenda
dell'ingiustizia che colpisce la protagonista femminile, già quasi
solo per questo suo “essere donna” come macchiata dello stesso
peccato originale. La concezione pirandelliana dell'umorismo come
sentimento del contrario traccia, nell'ultima parte, la
parabola che porta a compimento l'opera giustificandone l'epilogo,
nella chiave della stessa ironia che descrive lo svolgersi degli
eventi.
L'umorismo
di Pirandello è così esprimibile su due livelli, il primo è quello
della descrizione dei singoli personaggi, nelle vivide tinte che lo
scrittore imprime loro, mentre il secondo livello è quello proprio della
trama stessa dell'opera, ravvisabile in maniera preponderante dalla seconda metà del romanzo
sino alla sua conclusione.
Come
dice lo stesso Pirandello ne L'umorismo
– traducendo e parafrasando l'Essai sur le génie dans
l'art di Séailles:
«l'opera
d'arte è creata dal libero movimento della vita interiore che organa
le idee e le immagini in una forma armoniosa, di cui tutti gli
elementi han corrispondenza tra loro e con l'idea madre che le
coordina.» (p. 171)
Il
concetto seaillesiano di “libre mouvement de la vie”
definisce, anche per Pirandello, la spontaneità del movimento
artistico; moto artistico questo che, in Pirandello, sottostà al
progetto che l'autore ha per la sua opera.
Protagonista
della vicenda è Marta Ajala, in primo luogo colpevole di presunto
adulterio nella parte iniziale del romanzo ma, a ben vedere,
colpevole di essere donna, figura femminile macchiata di una colpa
primordiale e informe; gesto eroico di Marta la legittima negazione
dell'accusa che si muove vox populi, secondo i dettami di un'inquisizione popolare, che si propaga di bocca in bocca, di
malalingua in malalingua. Il sottrarsi dal giudizio e dall'accusa del
popolino non fa che alimentare le accuse dei pubblici inquisitori,
indipendenti dalla figura del marito tradito, Rocco Pentagora; l'eroismo, per certi versi l'atto di conquista della legittima libertà,
ha il valore sacrale di spezzare quel vincolo di proprietà che la
società patriarcale ha sul genere femminile; una volta libera, Marta,
sperimenta l'indipendenza della sua persona, scegliendo senza farsi
scegliere – ricordando le parole di una canzone di De André –
imponendo la sua decisione; accettando così, sino in fondo, la colpa
attribuitale.
Il
ribaltamento della vicenda è quello della conclusione dell'opera, in
cui, Marta, perdonata e riaccettata nella casa di Rocco, si è, a
insaputa di tutti, effettivamente macchiata di quella colpa che le
veniva prima ingiustamente attribuita.
Il
rapporto inestricabile tra finzione-realtà dell'Enrico IV non è
dissimile da quello che attraversa e delinea i contorni dell'Esclusa
pirandelliana, nella chiave di una ironica lettura che l'autore
da del rapporto realtà-apparenza; dove la follia dell'Enrico lascia
il posto alla “follia” irrazionale di una vicenda, come quella di
Marta Ajala, slegata da ogni canone tradizionale, a suo modo insensata.
L'universo
de L'esclusa viene così a poggiare sull'inversione di valori in
qualche modo tradizionali; Marta Ajala è protagonista ed eroina di
quella sua vicenda personale, a tratti drammatica; gli uomini, i
maschi, sono tutt'altro che eroi, esseri comuni mossi da pulsioni
elementari, animalesche, figli di quell'ottica maschilista e
patriarcale contro cui sembra muoversi la critica pirandelliana
racchiusa nel romanzo. I personaggi maschili, mossi dai loro istinti,
non conoscono nessun connotato di valore positivo; trovandosi sulla
strada Marta, non sono compassionevoli nei suoi confronti; ne
gentiluomini ne tanto meno eroi, sono portati a calpestarla o,
schiavi dei loro desideri, ricoprono la protagonista di attenzioni e
lusinghe, solo con l'intento di concupirla rivelandosi così ancor
più biechi e macchinatori inconsapevoli.
Personaggi
grotteschi si accostano alla protagonista, caricature di esseri
umani, uomini sordidi nel loro atteggiarsi di fronte a Marta; a
incominciare dallo stesso Rocco, geloso personaggio che tradisce la
sua donna credendo al presentimento che l'adulterio si sia
realmente consumato carnalmente alle sue spalle, solo perché la
donna coltivava un rapporto intellettuale con un altro uomo, l'Alvignani; spaventato, più che per il tradimento in sé teme il
gesto delle corna che rappresentano già il simbolo e l'onta, l'offesa, della
sua famiglia.
Non è
certo meno gentile tutta la costellazione di personaggi maschili che
circondano la protagonista, a incominciare dal padre di Rocco che sembra
trarre soddisfazione dalla decisione del figlio nel cacciare di casa
Marta, ricordandogli le corna che già appestano la famiglia; c'è
poi il padre della stessa Marta, Francesco Ajala, conservatore
irascibile, amante dell'ordine, dalla salute infine cagionevole, ammalatosi
proprio a causa dello scandalo che colpisce la sua famiglia
attraverso Marta; a tanto porta la religione e il culto di
quell'unico valore che tutto sovrasta e ricopre, guidando e
governando, le esistenze di tutti: l'onore.
Altri
personaggi interessati che Marta incontra, emergono dalla cerchia dei
tre professori suoi colleghi: Mormoni, alto, grasso, studioso serio
cui fa da controparte il professore Nusco, piccolo, gracile,
timidissimo, uomo di gusto e gentilezza non comuni. Ma sarà Matteo
Falcone, con la sua bruttezza e connotazione animalesca a presentare
un alto grado di complessità psicologica, al di là della fissazione
che prova nei confronti della propria deformità fisica, schiavo
della visione perversa che ha della vita, anch'essa deforme, in cui
vive, anela così ad ottenere i favori di Marta.
Altro
personaggio, infine, è l'Alvignani, colui che, mosso da un
innocente desiderio di coltivare il piacere delle belle lettere aveva
intessuto quello scambio epistolare con Marta, con il risultato di aver fatto credere al marito di lei che il tradimento era stato realmente consumato alle
sue spalle. Verso la conclusione del romanzo, presente sulla scena, l'Alvignani fa cadere la sua maschera di raffinato gentiluomo attirando a sé Marta con la
scusa di riscoprire e coltivare quelle antiche conversazioni.
Attirata dalle belle parole e dalla innocenti dichiarazioni dell'Alvignani, Marta finirà con il tradire Rocco.
Attirata dalle belle parole e dalla innocenti dichiarazioni dell'Alvignani, Marta finirà con il tradire Rocco.
Tutta
la costellazione dei personaggi pirandelliani di questo romanzo,
anche i più marginali, sembrano costruiti su questa antitesi che, in
Marta, per diversi motivi, non vedono altro che un oggetto, una
proprietà da possedere o da dismettere, gettare o ripudiare, una
cosa non una persona; da qui l'atto di coraggio e di forza della
protagonista che, nonostante esclusa dalla società, aliena dai
valori che la circondano, decide di intraprendere la propria
battaglia personale di autoaffermazione. L'esclusa, eroina moderna,
attraversa questo microcosmo di valori coercitivi e mortificanti
opponendosi a tutti quei personaggi femminili che, soggiogati e sommersi, hanno
scelto di non lottare o, peggio, hanno deciso di non decidere, di non
schierarsi bensì di rifugiarsi negli stessi valori che ne fanno di fatto
delle escluse o nella fede cieca in un bene superiore, accettando la condanna che pesa su di loro in quanto donne.
L'umorismo
pirandelliano gioca allora sulla specularità della struttura, non
soltanto sulla mera forma dei personaggi – a tratti grotteschi –
ma sull'impianto del romanzo, mostrando proprio come l'innocente
Ajala, prima esclusa immotivata, eroina riuscita a vincere con
rettitudine e una moralità da tutti non riconosciutale il monopolio
di una società maschilista e coercitiva, sia poi riammessa nella
cerchia domestica rea di tradimento.
Il
ribaltamento della scena segna l'avvio verso l'epilogo del romanzo, ricorda lo stravolgimento delle commedie plautine della Roma arcaica, in cui prima dell'epilogo
incomincia il ripristino dell'ordine originario precedentemente
sacrificato in nome della scomposizione dei valori tradizionali,
facendo dominare sulla scena, sin dall'inizio il caos e il
sovvertimento generale che ha caratterizzato la vicenda, la fortuna, forza che agisce sopra ogni cosa, riesce a ricomporre il quadro verso una moralità accettabile.
In
maniera antitetica, L'esclusa di Pirandello è attraversata da un lento movimento di quella fortuna che avvolgendo il narrato, dall'inizio, in cui i
personaggi prendono forma a poco a poco con accenni a quella vicenda
che va via via delineandosi, attraverso la
serie di vicende di Marta che sembrano piagare irreparabilmente le
vicende della sua esistenza, sino alla conclusione, sembra far mutare il quadro iniziale; così l'esclusione della protagonista altro non è
che un'ingiustizia perpetrata ai suoi danni, e la sua rivincita un dato accettabile.
L'umorismo di Pirandello trova così il suo giocoforza nel ribaltamento finale in cui Marta, prendendosi la sua rivincita di donna ferita e sfruttata, stravolge quella impostazione che la vedeva integerrima eroina, vittima e martire silenziosa, in una società reificante e spersonalizzante, contro il valore sacrale dell'onore.
L'umorismo di Pirandello trova così il suo giocoforza nel ribaltamento finale in cui Marta, prendendosi la sua rivincita di donna ferita e sfruttata, stravolge quella impostazione che la vedeva integerrima eroina, vittima e martire silenziosa, in una società reificante e spersonalizzante, contro il valore sacrale dell'onore.
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