venerdì 16 maggio 2014

“Du oder Ich”. Un (auto)ritratto per celebrare Maria Lassnig.

di Mattia Sangiuliano

“Thankfully, I possess a strong sense of reason.”[1]

“Du oder Ich” (2005)
Du oder Ich” (2005). Tu o io, è la traduzione del minaccioso e intimidatorio, quanto celebre, dipinto della pittrice austriaca Maria Lassnig (8 settembre 1919 – 6 maggio 2014).

La Lassnig nasce in Austria, presso la cittadina di Kappel am Krappfeld, l'8 settembre 1919. Figlia nata fuori dal matrimonio, sua madre si sposerà solo tempo dopo con un uomo molto più vecchio di lei, e in concomitanza di una serie di problemi di relazione all'interno della famiglia, sarà accudita per parte della sua infanzia dalla nonna. Durante la seconda guerra mondiale studierà presso l'accademia di belle arti di Vienna. Intraprenderà così un percorso artistico che la porterà ad avvicinarsi sempre più alle maggiori avanguardie dell'epoca, funambolicamente in bilico tra espressionismo e astrattismo, sino poi a prenderne le distanze.

Accanto all'astrattismo sperimenterà sempre la pratica dell'autoritratto, del 1945 è l'importantissima opera intitolata Expressive Self-Portrait, realizzata in una sola settimana, all'epoca della sua fuga da Vienna. Successivamente nel 1948 conierà il termine “body consciousness” per definire la sua pratica pratica artistica.

Nel 1950 Lassnig entra a far parte del gruppo di pittori noto come Hundsgruppe, ne fanno parte Arnulf Rainer, Ernst Fuchs, Anton Lehmden, Arik Brauer e Wolfgang Hollegha. Il gruppo avrà profonde influenze proprio dall'espressionismo astratto e dalla corrente dell'action painting.
Del 1951, per un viaggio a Parigi assieme a Rainer, è il suo incontro con il capostipite del surrealismo André Breton, nonché la con poeti Paul Celan e Benjamin Péret.

Altro versante artistico che ha molteplici punti di contatto con il suo modo di fare arte – e autoritratti – è la produzione di cortometraggi. La produzione filmica dell'autrice, investe il periodo del suo soggiorno a New York, è il periodo che va dal 1968 al 1980; i titoli delle opere riguardano circa sei cortometraggi fra cui: Selfportrait (Autoritratto) del 1971 e Couples (1972); la più famosa pellicola, da lei realizzata sarà il vero e proprio film Kantate, meglio conosciuto al pubblico con il titolo di The Ballad of Maria Lassnig datato 1992, quando la Lassning aveva ormai 73 anni.

In bilico e oltre l'espressionismo astratto così caratteristico, modello reiterato, ripreso più volte, spesso e volentieri citato da molti artisti e pittori di area tedesca, sino alla seconda metà del secolo, quasi a voler sancire una vittoria artistica su quel nazismo che la reputava in toto arte depravata, immorale; Maria Lassnig va oltre. Dopo la militanza attiva nel sopracitato Hundsgruppe, la sua arte si sposta con più decisione sul versante dell'autoritratto, tipologia pittorica in cui la pittrice austriaca eccelle, basti considerare gli oltre cento autoritratti che caratterizzarono la sua ricca e florida produzione artistica, in particolar modo dopo gli anni '60; alcune delle opere più celebri sono Selbstporträt unter Plastik, Sciencia, Transparentes Selbstporträt; la maggior parte delle quali sono il frutto del suo graduale allontanamento dal fronte dell'astrazione, verso un maggior interesse che rintraccia, e scandaglia, il legame che intercorre tra corpo e psiche.

Sul versante pittorico, la poetica della Lassnig è incline verso un ricco e fruttuoso intento artistico che sposa non un'astrazione fine a se stessa, bensì un'astrazione espressionistica ripiegante sulla scomposizione cromatica del reale, in una tavolozza di colori stravolta che fa da sponda a quei sentimenti che la pittrice impone alla sua tela, che tracimano al di là del supporto utilizzato, andando a colpire l'osservatore stesso, senza bisogno di cercare un dialogo, oltre l'interpretazione, impone all'osservatore lo stato d'animo della pittrice.

Questo avviene nell'autoritratto intitolato “Du oder Ich”, Tu o io, il disagio della singola persona è quel puntare la pistola verso se stessa ma ben oltre questo gesto autolesionistico, ed estremo, è la minaccia apparente ma concreta: il puntare la pistola verso l'osservatore qualunque esso sia, chiunque esso sia. Il dramma del singolo, il dolore, la sofferenza, un misto di emozioni e sensazioni, non si chiude solipsisticamente sulla tela in maniera autoreferenziale ma cerca di comunicare, a suo modo, chiamando in causa chi osserva; questo è il puntare la canna della pistola, sia essa puntata contro al propria persona, ma anche – e più drammaticamente – contro chi osserva, sotto quei due occhi (auto)ritratti.

Una fascinazione avvolge chi osserva il dipinto che, già dal titolo, sembra minacciare l'osservatore. Una minaccia che incombe dalla psiche della pittrice che parla di sé ad una generazione senza tempo, a un mondo che condivide le sue sensazioni; siamo in questo modo doppiamente tirati in ballo dalla canna di una pistola accusatrice che ci intima a scegliere, sotto gli occhi di una figura che, dalla tela, sembra scandagliare i sentimenti umani di chi osserva l'opera. Opera che ritrae dunque una figura femminile doppiamente denudatasi, in grado di mettere in mostra come il proprio corpo, così la propria psiche.




[1]Dall'articolo comparso sul The New York Times, qui (consultato il 16/05/2014).

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