mercoledì 29 maggio 2013

Una questione di metodo

di Mattia S.

“Rosa, rosae, rosae...” il professore, chiuso nel suo studio, corregge la grammatica dei suoi studenti. Declinazione dopo declinazione una luce inonda lentamente la stanza sino a poco prima immersa in un grigiore temporalesco. I raggi illuminano fogli rigorosamente impilati e ordinati sulla scrivania in stile Impero del maestro.
Procedendo nella correzione la penna rossa che stringe in mano scorre sul foglio, seguendo le evoluzioni della bic nera dello studente che ha originariamente impresso la propria calligrafia su quelle carte. In questo procedimento il maestro segna qua e là gli errori dello studente: una croce sopra una lettera di troppo accanto a quel dittongo, aggiungendo una “i” in meno in quello iato e così via, provvedendo a collegare con un trattino rosso ogni impropria separazione che trascura la funzione delle enclitiche.
Il maestro appoggia quest'ultimo compito, poco più che sufficiente, sulla pila dei fogli corretti e ne prendo un altro dalla pila dei compiti che attendono di essere giudicati. Il foglio protocollo che si ritrova tra le mani gli lascia sfuggire un sospiro di smarrimento. Non ha neppure bisogno di controllare il nome sull'ultima colonna del foglio, tanto sono riconoscibili le cancellature e le macchie di inchiostro che tappezzano il compito.
«Andrea» sospira il professore, immergendosi con estrema concentrazione e fatica, nella lettura di quella calligrafia stentata, corroborata da un'esagerazione di cancellature marcate e volte, forse in un impeto di vergogna, pensa il maestro, a occultare l'errore. «Una vera opera d'arte» borbotta il maestro, seguendo i solchi inferti dalla penna sulla carta prima vergine, «Degna di una incisione del tedesco Kirchner!».
Il maestro, soppesando il foglio con lo sguardo, incomincia la correzione, raccogliendo la sfida. In fondo, pensa fra se e se, la sua è un'arte: non creazione in sé, bensì delicata e raffinata pratica volta a illuminare e a mettere a nudo la verità. Dopo la prima difficoltosa interpretazione di quanto scritto dal suo scolaro, si accorge che le poche parole messe in fila, rispettando un brandello della sintassi latina, riecheggiano quelle usate da un altro suo studente. Spostandosi sopra la pila dei compiti pesca il primo foglio, quello che ha finito di correggere qualche minuto prima e lo dispiega al centro dello scrittoio, a fianco del compito di Andrea.
Inizia così l'opera di analisi e confronto cui il professore affianca l'opera di correzione. Soppesando le varie incisioni che solcano la carta, segue con lo sguardo le frecce che attraversano il foglio dribblando macchie di inchiostro e altre cancellature, per approdare alla correzione di un periodo cui il professore non manca di cerchiare con la sua penna a sfera rossa l'uso improprio del verbo 'sunt'. “Fortuna che è la bella copia” pensa il professore seguendo con la punta dell'indice un incomprensibile frase, scritta con una calligrafia stentata quanto contorta. Alla fine, contro la propria ostinazione, si vede costretto a tracciare un sinuoso punto di domanda accanto alla frase, tra due asterischi lasciati dallo scolaro, dopo averla sottolineata con la sua penna. «Incomprensibile!» sintetizza il professore passando al periodo successivo.
In questo periodo il professore riscontra una certa somiglianza con una frase precedentemente corretta nell'altro compito, difatti, Andrea è andato in contro allo stesso errore fatto precedentemente dall'altro studente e, seguendo i dettami dell'arte amanuense ha ricopiato il medesimo errore fatto dal suo compagno di banco: ha declinato 'rex' come un parisillabo.
Un altro cerchio rosso accompagna la correzione data dal professore.
“L'individuazione delle fonti è stata essenziale, come in fondo prescrive il metodo Lachmann” pensa il professore, proseguendo la comparazione tra i due scritti, senza dimenticare di pesare i testimoni. “Il collatio, il confronto, viene così a delinearsi come un gioco da ragazzi, semplice persino per il più infimo accademico. Un impegno filologico tutt'altro che complesso!”.
Il maestro conclude la correzione del compito, riuscendo a risparmiare dalla falcidiata della sua penna rossa le ultime righe della traduzione.
“Non ha rispettato le regole”
Voltando il foglio protocollo, ha la conferma dell'identità dell'alunno. Sotto quel nome scribacchiato in tutta fretta appone il voto, un “4½”, sigillato dalle iniziali del professore che in questo modo suggella la verifica a inalienabile documento che verrà archiviato nei registri e infine nell'armadio del professore nella sala insegnanti del liceo.
Timbrato e siglato, il compito di Andrea viene posizionato sopra la pila dei compiti corretti, andando a coprire il “6+” di Vittorio, il suo compagno di banco.
Sul lato sinistro della scrivania la pila di traduzioni corrette va via via aumentando mentre, alla destra del professore, la pila dei compiti da correggere diminuisce.
Il lavoro procede senza troppi intoppi, nome dopo nome, voto dopo voto.
Non appena mancano circa tre compiti il maestro prende in mano un elaborato scritto con una grafia elegante, un corsivo tondeggiante che fa snodare le lettere in graziose pance delle “b” e in sinuosi ghirigori delle “g”. Dopo lo sfacelo del compito di Andrea una boccata d'aria, «Mar-ghe-ri-ta» scandisce il maestro «Ah, già!» esclama, “brillante ragazza” aggiunge mentalmente lasciandosi andare un sorriso.
Stimolato da quel compito così ben vergato da una grafia precisa, senza nemmeno la traccia di una correzione ne, tanto meno, della brutta copia del testo, segno evidente del fatto che quello che stringe in mano è il frutto unico del suo lavoro, preciso e accurato sin dalle prime fasi di scrittura, si immerge nella lettura accomodandosi sulla poltrona di velluto rosso, distendendo le gambe sotto la scrivania lungo il tappeto che ricopre praticamente tutto lo studio della sua abitazione in quel quartiere della provincia marchigiana.
Senza quasi accorgersene, incomincia ad intonare, recitandoli, i versi di quello stralcio delle Georgiche, di cui ha assegnato la traduzione niente meno che dall'italiano al latino, per verificare le capacità interpretative dei suoi studenti. Le parole scorrono senza fatica, ovattate in quello studio elegante, ricco di mobili massicci neoclassici, rimbalzando sulla rilegatura dei pesanti volumi rilegati che riempiono le scaffalature della fornitissima libreria imperiale di fronte ala scrivania.
La voce ferma del maestro scandisce l'andamento ritmico del verso, non mancando di rispettare le pause e le quantità delle sillabe, frutto di quel suo esercizio intellettuale e rispettoso dei dettami stilistici che gli ha fatto valere il plauso di alcune pubblicazioni incentrate sulla poesia latina dell'età del principato augusteo.
Senza fatica scorre la scrittura della giovane scolara, e la sua brillante quanto rispettosa interpretazione dell'opera, filtrata dalla massima adesione alle regole grammaticali e della sintassi latina. Il maestro ricorda bene le innate capacità prosodiche che quella brillante scolara ha dimostrato nel corso dell'ultima interrogazione.
Si concede un attimo per apprezzare il successo della sua studentessa e, di riflesso, la soddisfazione dello stesso insegnante che è riuscito ad assolvere il pieno svolgimento del suo magistero.
Ritornando in posiziona eretta posiziona il foglio protocollo sull'elegante scrittoio in pelle nera e pone la sua più fiera firma sotto un “10” sottolineato due volte.
«Impeccabile!» dice mentre posizione il compito di Margherita in cima al mucchio delle versioni corrette.
Prima di correggere le ultime versioni che giacciono inerti accanto al suo braccio destro, il professore si concede un momento per riflettere sul suo ruolo di tutore soppesando con lo sguardo quei compiti che rappresentano, ciascuno, uno scolaro così diverso dall'altro, con proprie idee, con proprie passioni, con propri metodi, spesso non ortodossi o corretti, frutto di una propria personale vocazione; studenti diversi ma accomunati da un intento e dall'essere parte di un unico sistema.
L'attenzione del maestro si concentra proprio su due allievi così diversi della stessa classe: Andrea, il distratto e svagato liceale così allergico alla sintassi latina, e Margherita, la brillante e promettente studentessa che non finisce di stupire i consigli di classe e i professori con la sua naturale predisposizione all'eccellenza.
Il ruolo di un tutore è quello di ammonire gli errori e premiare il successo, contro la deriva dell'individualità informe. Il suo compito è quello di sostenere e plasmare con i suoi mezzi, il futuro comune, superando le opposizioni e gli ostacoli.
Eppure proprio questa opposizione fra eccellenza e carenza, che deve essere annichilita, nell'ottica delle istituzioni, si configura come irriducibile lotta fra due opposti che convivono in un ordine armonico, fatto di proporzione e misura. Una razionalità sottende questa opposizione. Una razionalità che vede proprio nell'inscindibilità degli opposti l'equilibrio dell'universo. Da un lato il rispetto dei dettami, dall'altro la tensione verso nuovi prodotti che passano per la messa in discussione delle regole. La ragione guida l'uno e l'altro.
Che l'allontanarsi di uno studente dalla strada tracciata dal maestro sia una sconfitta per questo? O che, più in generale, possa essere una sconfitta per l'istituzione? Perseguire invece l'eccellenza, ammonendo solamente gli errori, non potrebbe risultare dannosa?
Il professore scrolla le spalle e impugna nuovamente la sua penna rossa a sfera concludendo: «È semplicemente una questione di metodo».


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