mercoledì 6 marzo 2013

Flâner

Camicie, pantaloni, pigiama... Dopo un lungo viaggio puoi dire di essere tornata a casa solo nel momento in cui disfi i bagagli. Mutande, calzini, canottiere...  Rimettere in ordine i vestiti nei posti giusti, è il rito ufficiale dell'uomo che rincasa, che ritorna nel proprio ambiente.
Questi pensieri passano per la testa del professore mentre svuota le valigie. Questi e altri ricordi saltano fuori dagli armadi che apre e dai cassettoni che schiude.
"È come quando frequentavo l'università; solo che allora, la mia casa, erano i miei compagni di corso"
Sospira, il professore. Una mano gli freme per un istante. In fondo sono meglio i ricordi lontani dei bei tempi andati, che quelli vicini.
Completata l'operazione di riaccasamento; dopo aver riposto tutti gli abiti, ognuno nel suo posto e dopo aver messo a posto le valige sopra l'armadio, si passa al punto successivo. Salutare il quartiere.
Cappello, cappotto leggero e Gazzetta sotto il braccio; ora può inforcare la porta d'ingresso.
Il sole del pomeriggio settembrino illumina i suoi passi sul marciapiede sino al parchetto sotto casa. Qui, all'ombra di un albero, prende posto sulla panchina più sperduta del parco. Ama godersi il silenzio quando si trova all'estero.
Sedendosi, spiega la gazzetta e incomincia a leggere. Immerso nel silenzio, lontano da tutti, la sua mano destra comincia a tremare. Dapprima si muove come percorsa da un fremito appena percettibile, prende poi a muoversi sempre più convulsamente come se seguisse un ritmo di cui lei soltanto può percepire il suono. Il tic è ricominciato.
Il professore, più spazientito che preoccupato, piega il giornale e incomincia a passeggiare. Deve distrarre il proprio corpo per dominare il tic.
Camminando adagio, con il giornale sotto il braccio sinistro e le mani dietro la schiena, attraversa il parchetto.
Il tic prende sempre quando è da solo. Non si scatena mai quando è all'estero ma solamente quando si trova nel silenzio del quartiere. Le più futili occupazioni o i più ufficiali adempimenti accademici evitano l'insorgere degli spasmi. Oramai, da qualche anno, ci è avvezzo.
Beninteso: viaggiare non gli dispiace, è interessante e gli consente di rincontrare vecchie conoscenze. L'unica cosa che veramente gli dispiace è non riuscire a godersi i piccoli intervalli nella quiete della sua piccola patria. Anche se, forse, è proprio il quartiere la causa del suo strano male.
Meditabondo, passo dopo passo supera la chiesa. Il tic si è chetato.
Finalmente decide di fermarsi. Alza lo sguardo e si gode la vista. Ai suoi piedi si apre un campo giallo e verde che risplende nel tramonto.
Probabilmente il tic è frutto della solitudine che lo accompagna sempre, pensa, fissando il verde.
Sospira. È conscio del fatto che impegni e passeggiate non sono che palliativi. Eppure, alcune volte, quando si immerge nel cuore di quei luoghi, non si sente solo.
Uno stridio ovattato gli fa distogliere lo sguardo dal prato che ondeggia nel sole. Dalla periferia sta arrivando l'autobus. Qualcosa lo rincuora. Sorride. Sorride al pensiero delle persone stanche e spossate che affollano le corse di quell'ora. Sorride al solo pensiero dei frenetici pendolari di provincia assorti nei loro affari e nei loro affanni quotidiani. Stare in mezzo ai passeggeri di un autobus è come stare da soli e in compagnia allo stesso momento.
A passi svelti si avvicina alla fermata e salta dentro attraverso l'ultima porta in coda alla vettura. Passa accanto ad un ragazzo che guarda assorto fuori dal finestrino e si avvicina al conducente. Questi lo guarda e grugnisce: -Ciao Mario.
Il professore risponde al grugnito con un sorriso: - Ciao Claudio!
Ecco: ama stare in mezzo alle persone del suo quartiere.

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racconto precedente Roger!

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