giovedì 2 aprile 2020

L’iconoclastia de “La papessa del diavolo”, tra interrogativi e Surrealismo.

Gli elementi della letteratura fantastica ci sono tutti eppure definire l’opera come il massimo apice della letteratura surrealista non basta.

Recensione di Mattia Sangiuliano



La papessa del diavolo, di Jehan Sylvius e Pierre de Ruynes; Castelvecchi editore, La biblioteca dell’Immaginario (p. 123).
«Scriviamo questo libro al bagliore delle Tre Lune, rallegrati dalla visione dei cataclismi futuri.
La Fine del Mondo si avvicina, la sventura ricada su coloro che si accaniscono a negarla in nome di una pretesa Ragione, miserabile palliativo alla loro impotenza mentale»

Con queste parole si apre uno dei più grandi e, paradossalmente, misconosciuti capolavori della letteratura surrealista di tutti i tempi. L’opera in questione è stata pubblicata a Parigi nel 1931 e porta il significativo titolo de La papessa del diavolo. Un’opera letteraria che, già dalla sua incerta attribuzione, si prefigura come un racconto di non facile comprensione. Due quesiti agitano i suoi lettori: di chi sono le quattro mani che composero questo scritto? E, ma non di minore importanza, gli autori del testo vollero comunicare qualcosa di più oltre ad un’immaginaria Apocalisse?

Jehan Sylvius e Pierre de Ruynes sono – e al tempo stesso non sono – i due autori del racconto. Il secondo sembra essere un nome dietro il quale si cela Robert Desnos, poeta surrealista molto vicino al Breton che gettò le basi del Surrealismo; il primo nome, quello di Sylvius, potrebbe essere un alter ego di Ernest Gengenbach, scrittore controverso ed autore non solo di opere surrealiste ma anche di diversi scritti legati all’occulto, in particolare al demonismo e al satanismo. Recentemente però si è anche affacciata l’ipotesi che la penna dietro al nome di Jehan Sylvius sia quella della poetessa dadaista, anarchica e pacifista, Renée Dunan.

Nonostante l’attribuzione di questo racconto sia ancora motivo di dibattito e di posizioni tutt’altro che ferree l’origine di ambito surrealista è palese già dalle dichiarazioni interne all’opera stessa, con chiari riferimenti e allusioni – più o meno esplicite – al panorama culturale dell’avanguardia del 1920. Addirittura, nelle pagine finali del libro, mentre il mondo viene inghiottito in una violenta e grottesca apocalisse sanguinaria ed orgiastica, la stessa Papessa prende in mano e sfoglia L'immaculée conception (L’Immacolata Concezione) firmata da André Breton e Paul éluard, pubblicata nel 1930.

In apertura de La papessa troviamo una dedica che, anche all’orecchio non dimestico della lingua francese, risulta strana quanto blasfema: A l’impérissable mémoire d’Alexandra VI Borgia Pape Paien[i]. Già da quel Alessandra si opera uno slittamento semantico che, non solo crea un rimando al titolo femminile dell’opera – già di per sé provocatorio –, ma sottolinea con maggiore enfasi l’aspetto dissacrante ed iconoclasta dell’intero tessuto narrativo. Un vaticinio che gli autori regalano ai lettori in apertura della loro opera.

E se il cave canem messo a guardia dei cancelli del libro non bastasse a far desistere i lettori, possono esserlo le parole degli autori del manifesto surrealista del 1925 in cui gli André Breton e compagni scrivevano: «L’epoca moderna ha fatto il suo tempo. L’indole stereotipata dei gesti, degli atti, delle menzogne dell’Europa sta a dimostrare che il tempo del disgusto si è concluso». Toni apocalittici che sembrano essere stati ripresi per la stesura dell’incipit de La Papessa.

L’intera opera è pregna di riferimenti escatologici rimandanti alla fine del mondo per mano dei popoli orientali. Sempre nel manifesto surrealista del 1925 si trova un ulteriore riferimento a quanto poi narrato ne La papessa: «Spetta ai Mongoli ora accamparsi nelle nostre piazze», un riferimento al crollo dei valori dell’Europa moderna, avvizzita nella mondanità, e vittima di un’invasione che ne determinerà il definitivo crollo. Anche in questo aspetto gli autori mirano a colpire l’immaginario della borghesia moderna, instillando una paura ancestrale che non risparmia nessuna classe egemone.

Il topos dell’invasione ad opera di genti straniere è un archetipo frequente in gran parte della narrativa di carattere fantastico. Ma non solo. Il tema stesso del decadimento dei costumi, dopo aver raggiunto un apogeo di indiscusso splendore, è il motore che, una volta esaurito il suo movimento ascendente, determina una rapida e vertiginosa caduta nell’abisso. Dai racconti biblici in poi, ma già nei testi e nelle vicende antecedenti la tradizione testamentaria, questo è un tema che affonda saldamente le proprie radici nella storia della civiltà umana.

Gli elementi della letteratura fantastica ci sono tutti eppure definire l’opera come il massimo apice della letteratura surrealista non basta. Accanto ad una sferzante critica anti-borghese e anti-ecclesiastica il romanzo pulsa di un’accesa visione agonica e polarizzante di aspetti antitetici che si scontrano: uomo e donna, bene e male, Cristo ed Anticristo, sensualità ed amore, violenza e mitezza; una forza attraversa e cuce gli opposti in un gioco che vedrà, alla fine, l’annientamento totale come unica prospettiva di rinascita.

Nel racconto La papessa del diavolo dadaismo, surrealismo, e una picaresca varietà di elementi grotteschi ed erotici, assieme ad una buona dose di cliché tipici della letteratura popolare e fantascientifica, confluiscono in un’opera enigmatica – a tratti ermetica – che sembra suggerire qualcosa di più al lettore che vi si accosta. A tratti si percepisce un mistero celato tre le sue righe o, forse, solo l’ombra di un enigma che, non appena si è sul punto di afferrare, si dissolve come una nuvola di vapore con tanto di sberleffo.





[i] All’imperitura memoria di Alessandra VI Borgia Papa Pagano

Nessun commento:

Posta un commento

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...