di Mattia Sangiuliano.
Lessi lo Zarathustra di Nietzsche, per
la prima e unica volta, a 18 anni; ero nel periodo che segna il confine
tra la maturità e il primo anno universitario, quando presi in mano
il volume edito da Fabbri Editore, per la collana I classici del pensiero, con la ferma intenzione di leggerlo proprio quella estate. Incominciai a sbocconcellarne le prime pagine durante
la stesura della tesina per l'esame di Stato – rigorosamente in
ritardo –, non riuscendo a privarmi del pane quotidiano di un libro
da leggere, ma lo ripresi in mano con maggior determinazione nei
giorni subito successivi la prova finale e, dunque, a suggello del
mio iter nella scuola superiore.
Impiegai circa un mese e mezzo per leggerlo
tutto – forse due mesi –; in un certo senso potrei dire, certo di non peccare di presunzione – evitando di parlare in maniera
generica e generale poiché, per non creare scompiglio in quella fauna di lettori accaniti di
ogni tipo, non mancherà certo di saltar fuori il Lettore, con la L maiuscola, pronto a sventolare il suo primato da guinness per averlo
letto in un tempo nettamente inferiore – è
stato come averlo divorato. Questo perché bisogna tenere presente la
natura del libro in questione.
Può capitare che io impieghi anche
meno di una settimana per leggere un libro che richieda un impegno
medio-basso o, anche, una media di una settimana per un libro
relativamente molto semplice e scorrevole (magari anche scritto
grande!), stimare una media è molto difficile; la media infatti va a farsi friggere se si considera l'altalenanza del tempo libero e degli impegni – diritti e doveri – che (ci)
sottraggono tempo che invece potrebbe essere dedicato alla lettura e
al piacere che ne deriva...
Considerando che era estate, quando lo
lessi – per la prima e unica volta –, in un periodo di relativa
quiete, lo Zarathustra fu per me una lettura che mi assorbì
totalmente ma, allo stesso tempo, solo a tratti; mi distraevo, è vero, e non per il caldo: era
impegnativo, tornavo a rileggere alcuni passi o non prestavo particolare attenzione ad altri, ma rifiutavo di allontanarlo; certi passaggi mi lasciavano l'amaro in bocca e sulla
punta delle dita che sfogliavano le pagine e sulle pupille che
scorrevano febbricitanti sulle righe del testo. Ero desideroso di
divorare quel libro così citato, così fantasmagorico, misterico
nella sua aura esoterica, tra nichilismo, deismo profetico e profetico ateismo,
da perdere di vista il piacere della lettura. Forse non basterebbe
uno scaffale di biblioteca per raccogliere tutti i saggi scritti
(o che si potrebbero scrivere) in merito a come si legge – e come
si dovrebbe leggere – un libro, in generale, e lo Zarathustra,
nello specifico.
All'università piovevano citazioni già
dal primo anno. Se qualche professore citava un passo ricordavo di
averlo letto, era parte di me. Le immagini venivano rievocate, ridestate dal loro torpore e riportate alla luce, la prova che era sedimentato in me; sentivo muovere quel corpo una volta estraneo, lo percepivo fremere sotto la
superficie verso una lenta risalita che lo portava a riemergere; me lo
ricordavo.
(Rimane il dubbio che invece molti, tra
studenti e, molto probabilmente, anche tra i professori, proprio
quelli che lo citavano e non si limitavano solo a nominarlo, non lo
lessero.)
Nel corso delle mie letture tornai più volte su quelle pagine, per riprendere dei passi, stuzzicando il mio appetito qua e là, ma mai in maniera organica e ordinata.
Nel corso delle mie letture tornai più volte su quelle pagine, per riprendere dei passi, stuzzicando il mio appetito qua e là, ma mai in maniera organica e ordinata.
Studiando e leggendo, Nietzsche tornò
ancora; a dire il vero lo incontrai spesso nel mio
percorso, quasi per caso, in certe circostanze, un paio di volte – o forse più – con ostinata intenzionalità. Era sempre un
piacere; anche perché, fra me e me, potevo vantare di averlo già
aggredito nella sua opera più temibile.
![]() |
Così parlò Zarathustra, un libro per tutti e per nessuno |
Mi ritrovai a leggere, sovente in
maniera del tutto collaterale – e filtrata – altre sue opere.
Non tornai mai, però, allo Zarathustra. Un paio di volte, per
distrarmi, quando non trovai nient'altro da leggere nei paraggi – eppure
c'era tanto altro – lessi l'incipit, le prime pagine, ma non andai
mai oltre, anche perché non avevo intenzione di leggerlo nuovamente
tutto. Poche volte ho letto un libro più di una volta, eccezion
fatta per i libri universitari, e lo Zarathustra non era certo un libro
che abbia mai avuto voglia o sentito il piacere, o il bisogno, di
rileggere una seconda volta.
L'unico consiglio che posso offrire, per
chiunque voglia leggere il libro, un consiglio mio, personale,
tenendo presente l'entità del libro che si vuole affrontare e la
propria disposizione d'animo – e la mia esperienza – è di non tuffarsi nella lettura dello
Zarathustra come fosse un best seller, un Tom Clancy, o di
aggredirlo come si avesse tra le mani un manuale universitario per un esame – di 3
o 15 cfu non importa – con l'intenzione di divorarlo o, similmente,
di volerselo togliere di torno il prima possibile.
Poche persone riescono a dedicarsi alla lettura come e quanto vorrebbero. Lo Z., alla pari di altri libri, potrebbe essere allora, a seconda dei casi, una lettura con cui diluire il tempo dell'ozio; come altri libri una lettura d'elezione con cui trascorrere il tempo libero. A seconda della casistica, questo non esclude però che la lettura non debba essere a sua volta inframmezzata, ulteriormente diluita da altro.
Nessun lettore si conosce bene come sé stesso. La capacità e la voglia di diluire la lettura rispondono solo alla personalità e ai gusti del singolo, come la ricetta di una pietanza in cui bisogna compensare l'equilibrio degli ingredienti creando rapporti quantitativi per rendere concreto il fine qualitativo, osservando gli effetti e, soprattutto, provando; sempre a seconda del singolo, della sua disponibilità, potendo anche scegliere di smettere o, semplicemente sospendere.
Poche persone riescono a dedicarsi alla lettura come e quanto vorrebbero. Lo Z., alla pari di altri libri, potrebbe essere allora, a seconda dei casi, una lettura con cui diluire il tempo dell'ozio; come altri libri una lettura d'elezione con cui trascorrere il tempo libero. A seconda della casistica, questo non esclude però che la lettura non debba essere a sua volta inframmezzata, ulteriormente diluita da altro.
Nessun lettore si conosce bene come sé stesso. La capacità e la voglia di diluire la lettura rispondono solo alla personalità e ai gusti del singolo, come la ricetta di una pietanza in cui bisogna compensare l'equilibrio degli ingredienti creando rapporti quantitativi per rendere concreto il fine qualitativo, osservando gli effetti e, soprattutto, provando; sempre a seconda del singolo, della sua disponibilità, potendo anche scegliere di smettere o, semplicemente sospendere.
Lo Zarathustra può essere visto come
un contorno, non come una portata principale, qualcosa da distribuire nel
tempo e nell'organismo, un qualcosa da accompagnare con altro. Un
consiglio per la lettura potrebbe essere tenerlo sul comodino, a
portata di mano, assieme ad un altro libro – magari sotto il Dylan
Dog del mese corrente – e di leggerlo con leggerezza – non con
superficialità, si badi bene! – alternandolo; amalgamarlo, prenderlo come un forte ingrediente per un piatto, un ingrediente da diluire nel tempo e da combinare, mescolandolo e facendolo aderire con
altre letture. Un libro da diluire per essere digerito.
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