di Mattia Sangiuliano
«...per questo io scelgo voi compagni! Perché dalla sofferenza possiate trarre la forza di alzare la testa e di reagire ai soprusi del padrone!»
Dylan Dog, vegetariano e
animalista (le due cose, in fondo, sono collegate), scapolo
affascinante, donnaiolo impenitente. Non un investigatore in tinta
noir con la canna fumante di una colt (la sua pistola infatti è una
bodeo) sempre in mano; un idealista dalla parte dei più deboli e un
pacifista convinto che disprezza la violenza e, di solito, proprio
per questo non sempre riesce a sfangarla quando si scatena una
scazzottata o, nel momento in cui la sua vita viene messa a
repentaglio nel corso delle indagini, solo la fortuna riesce a
cavarlo d'impiccio.
Chi si rivolge alle
pagine di Dylan Dog in cerca di violenza gratuita ha certamente
sbagliato indirizzo. Molte storie sono di una cocente attualità. Una volta – ma spesso anche ora – si
guardava all'albo bonelliano in cerca di un po' di sano splatter,
stile anni '90, e spesso le lamentele che si sollevano dalla fauna di
lettori – solitamente proprio dai più navigati – sono da parte
di chi sente sacrificato questo aspetto dell'indagatore dell'incubo.
L'Incubo
però, come ben sa chi segue il fumetto della Sergio Bonelli Editore,
è il vero protagonista delle storie di Dylan, non lo splatter o
l'orrore (leggi horror)
cui ci ha abituato il grande – o piccolo – schermo, con mostri di
varie fattezze. L'orrore, in Dylan Dog, è qualcosa di più
multiforme, ricco di sfaccettature, qualcosa di sottile, perturbante
e invasivo, riconducibile ad un'unica massima perentoria che
accompagna molte sue storie: i veri mostri sono gli esseri umani.
Non
mancano però misteri ancestrali o ultraterreni a movimentare
l'appartamento nella londinese Craven Road 7, assieme a vere e
proprie apoteosi del caos; killer, bestie infernali, complotti,
società segrete e orrori di vario genere a condire la routine di
Dylan Dog con una buona dose di apocalisse che minaccia di
sconvolgere Londra e il mondo – e non mi riferisco alle battute di
Groucho.
Nonostante
la rivoluzione torna il vecchio sapore di ambientazione U.K. nei
testi – e sui fondali – di DD, con il beneplacito auspicio
dell'era Recchioni. Anarchia nel Regno Unito è il titolo
dell'albo numero 339, citazione e rievocazione – nonché
traduzione! – di uno dei più noti testi dei Sex Pistols, icona del
punk negli anni '70. Ed è ancora Londra a farne le spese, messa a
ferro e a fuoco da un nutrito gruppo di rivoltosi.
«È una resa dei conti. Semplicemente. I poveri contro i ricchi. Giovani vessati da contratti di lavoro da fame contro un sistema che li stritola»
La
rivoluzione – non solo quella editoriale – narrata nell'albo
porta su di sé un sapore tutt'altro che anacronistico. Se
nell'editoriale di apertura il curatore non esita a creare un solido
parallelismo con il singolo dei Pistols, della seconda metà del '70,
nell'albo si trovano molteplici riferimenti ad una cruda e attuala tematica che fa piombare il lettore in fatti estremamente contemporanei.
«non più uomini, ma schiavi a progetto. Coscienti di esserlo, per giunta!»
Leggendo
la storia, osservando il sommovimento popolare tratteggiato, si
potrebbe tranquillamente sostituire al Regno Unito un'altra qualsiasi
città in cui i diritti dei cittadini vengono svenduti o calpestati,
ad esempio l'Italia contemporanea: alla Londra di Dylan Dog una Roma
teatro di scontri per le vie cittadine – se non addirittura una
rediviva Genova 2001 –, sfondo e teatro perfetto per
rappresentare i movimenti di protesta e i violenti scontri tra
manifestanti e forze dell'ordine.
«Non a caso, il movimento si è ribattezzato “new slaves riot”. Le rivolta dei nuovi schiavi.»
Diviene
manifesto il bisogno di insorgere contro i vessatori, di disgregare
le maglie sociali che ci vogliono mansueti animali, per rivendicare
la propria libertà di individuo e non di macchina in un processo
consumistico e alienante volto a trattare lavoratore e lavoro come
merci, un sistema che vuole trarre il maggior profitto possibile; un
sistema che deve scartare ed eliminare i diritti del lavoratore: un
ostacolo ed un costo inutile per chi deve trarre un guadagno sempre maggiore.
«Il diritto alla felicità dovrebbe essere scritto nelle pietre di ogni casa. Ma così non è, e non sarà mai, purtroppo.»
Un
sentimento sottende la rivolta, è l'incubo di uno spettro
insofferente che non può trovare requie, è una rabbia cieca e sorda
che affonda le sue radici in una storia che è la somma di forze
motrici che hanno spinto la classe dei lavoratori a rivendicare i
propri diritti per un trattamento più equo ed umano, contro
possidenti, proprietari di fabbriche e terreni, contro lo Stato e le
forze dell'ordine che lo difendono, contro élite di privilegiati che
sovrastano e soffocano arbitrariamente le classi inferiori; un
parallelismo storico crea un precedente, la storia odierna ripropone
tematiche e schemi di secoli addietro, di una storia fatta di soprusi
e prevaricazioni. L'incubo prende forma in un sistema
schiavistico che genera disuguaglianza e sfocia nel bisogno impetuoso
di una rivalsa.
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