venerdì 27 dicembre 2013

... Perch'io che nella notte abito solo

poesia di Giorgio Caproni, parafrasi e commento di Mattia Sangiuliano

... perch’io, che nella notte abito solo
anch’io, di notte, strusciando un cerino
sul muro, accendo cauto una candela
e riscrivo in silenzio e a lungo il pianto
bianca nella mia mente –apro una vela
timida nella tenebra, e il pennino
che mi bagna la mente...
strusciando che mi scricchiola, anch’io scrivo.

(da: Il seme del piangere)

La notte avvolge, oscurando ogni cosa, il creato, immergendo il poeta in uno stato di solitudine. L'Io lirico è centrale, ripetuto all'inizio dei primi due versi, per due volte, marca il sentimento di solitudine e di personalità di questo stato, reiterando il soggetto "io", in una sorta di anafora. Ancora, in un gioco di ripetizioni e richiami a brevi distanza, nel secondo verso, viene rievocata la notte.
In questa condizione il poeta può far luce accendendo un fiammifero sfregandolo contro un muro, per accendere così una candela e far luce. La luce è una tematica legato alla dimensione della memoria, del ricordo; si può però aprire uno squarcio di luce nell'oblio dei ricordi; viene richiamata una tematica montaliana, delle forbici del tempo che possono recidere, annichilendoli, i preziosi ricordi che si vorrebbe conservare in eterno.
Non vi è una chiara distinzione tra la dimensione fisica e quella propriamente poetica, fittizia, l'intero componimento sembra costruito, per certi suoi aspetti su una sorta di analogia, perennemente in bilico tra la tematica del ricordare e del vivere, dello scrivere.
A livello formale, il gioco di ripetizioni di vocaboli e di parole che fanno riferimento alle medesime tematiche, unito al tipico connubio di assonanze che caratterizzano i componimenti di Caproni - basti osservare che tutti i versi, eccetto uno, vengono chiusi con le vocali "o" e "a" -, fondano il componimento su una solida melodia, anch'essa tipica dell'usus scribendi del poeta livornese.
La luce che viene accesa, timida, tremula, per certi versi insignificante, permetta al poeta di vincere l'oblio riscrivendo "in silenzio e a lungo il pianto", con un riferimento ad una tematica di sofferenza che riecheggia tutta la situazione di tenebra descritta in precedenza, in apertura del componimento e, successivamente, riferendosi alla tenebra della memoria. La luce, dunque, è come l'inchiostro in cui il poeta può immergere il suo "pennino", quello strumento vitale che usa per scrivere, per fissare lo scorrere del tempo e, per rivivere i suoi ricordi. Il pennino, scorrendo sul foglio produce uno scricchiolio, uno strusciare capace di vincere il silenzio e, ancora, di sostituire il pianto. In questo modo l'io lirico, rievocato ancora una volta a fine componimento, creando una struttura perfettamente circolare, scrive, fissando il tempo e i ricordi, rivivendoli in una dimensione di solitaria oscurità.

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