giovedì 28 novembre 2013

Stamm

di Mattia Sangiuliano

La pesante porta si apre lentamente sull'ultimo arrivato. Nessuno ci fa caso, a parte quel ragazzo in piedi, appoggiato alla colonna dell'ampia sala del locale; defilato sulla destra dell'ingresso osserva ogni movimento attorno all'ingresso. Nessuno fa caso al vento che, soffiando silenzioso alita un forte sentore di neve nel locale tedesco. Nessuno; neppure le persone che si stringono addosso le felpe e i maglioni rabbrividendo per il freddo momentaneo fanno caso alla porta che si è aperta e richiusa in una manciata di secondi. Nessuno fa caso al tremolio delle candele sui tavoli; tranne lui.
Appoggiato ad una colonna del locale osserva con occhi apparentemente annoiati ma mossi da un incontenibile brivido di emozione il locale e, soprattutto, la porta.
Dopo aver parlato con gli altri studenti riuniti nel locale si è ritirato in quell'angolo appartato ad aspettare. Fra poco il suo gioco avrà inizio.
Di tanto in tanto lancia qualche parola, alternando inglese tedesco e italiano, alle persone che gli passano accanto, mentre sorseggia la sua Helles Bier dal gelido boccale che tiene in mano.
Ma la sua mente è altrove; sta percorrendo, passo dopo passo, il tragitto che ha compiuto per venire fin la, da casa sua. Si sta chiedendo quanto impieghi l'autobus e le gambe, di quella ragazza imperscrutabile che sta aspettando, a farla entrare da quella porta che non ha smesso di osservare da quando, un'ora fa, è entrato nel pub.
Il suo tedesco e, soprattutto, il suo inglese, sopiti sino a poco prima, si stanno risvegliando; quasi certamente merito di quella birra che sta bevendo a stomaco vuoto, dopo aver vagato con altri studenti per il centro della città nel tardo pomeriggio.
E assieme all'alcool aumenta la sua fiducia; e assieme al coraggio che sente crescere aumenta l'impazienza di quel suo cuore che strepita costipato in quello stretto spazio del suo petto, in sintonia con il ritmo di quella musica che riempie il ventre del locale; quella stessa musica che il ragazzo ascolta distrattamente, immerso nel tepore dell'ambiente.
Ogni volta che la porta si apre e le persone rabbrividiscono, lui è l'unico a rabbrividire dopo che questa si sia richiusa; lo attraversa un brivido di gelo e di delusione nel constatare che la ragazza che è entrata non è quella che stava aspettando. Sorseggia ancora un po' la birra che ha in mano, passandosi la lingua sul contorno della bocca.
La porta si apre ancora. Vento e una spolverata di nevischio entrano nel piccolo e stretto corridoio che costituisce il disimpegno del locale, ai piedi di una piccola serie di gradini. Dalla sua posizione un pezzo di muro d'angolo ostruisce la sua visuale. Senza dare troppo nell'occhio il ragazzo deve dissimulare la sua distrazione mentre cerca di scorgere il volto del nuovo venuto; e in questo gioco la buona riuscita del piano risiede nella sua abilità di dire "Ja", "Yes" o "Nein", "no" al momento giusto, fingendo di aver capito una frase a cui non è minimamente interessato e che, magari, gli lancia un passante mentre inneggia un "Prost" biascicato da una bocca storta dall'alcol.
Ad un certo punto; preso dalla sua disattenzione il ragazzo si stupisce di constatare che, assieme ad una sventata di vera e propria neve candida, è entrata nel locale lei, la ragazza che stava aspettando; accompagnata dalle sue amiche, tutte con i cappucci abbassati sugli occhi; tutte tranne lei che, liberatasi dagli occhiali che indossa tutti i giorni a lezione, porta un cappello grigio scuro, calato sulla nuca, in modo tale che i capelli scuri dai riflessi rossi le incornicino il viso.
Si va in scena.
Mentre la ragazza e le sue amiche scendono le scale liberandosi dai cappotti rabbrividendo a quel violento calore del locale, il ragazzo cerca di ricordare i frammenti di quella idea che gli erano balenati in testa non appena aveva appreso che la ragazza sarebbe venuta anche lei allo Stammtisch.
La ragazza intanto procede verso di lui salutando e abbracciando i vari studenti che incontra, alternando inglese e tedesco in maniera impeccabile; facendo impallidire quelle superficiali conoscenze dell'osservatore.
La ragazza gli si avvicina dopo essersi sfilata il cappello e il giubbetto invernale, liberando il suo busto, coperto da un pesante maglione bianco, candido come la neve che ha lasciato aloni più scuri sulla stoffa impermeabile del suo giubbetto. Sotto al maglione chiaro che le cinge i fianchi le sue gambe sono fasciate da pantacollant neri che si infilano in stivali anch'essi scuri.
Tappa dopo tappa, di crocchio in crocchio, in un'interminabile via crucis, straziante, in quel locale sotterraneo improvvisamente tramutatosi in una vulcanica fucina sotterranea nel ventre della città; proprio mentre fuori la neve imperversa e i vetri si appannano escludendo la vista del mondo; la razza si avvicina a lui.
In questo buio apparente può mettere in atto il suo piano.
Ma non appena la ragazza gli si fa in contro tutta la strategia perde corpo; sciogliendosi come quella spolverata di neve che la ragazza si è scrollata dalle spalle con noncuranza; il piano non diviene altro che un inutile e insipido canovaccio teatrale.
-Ciao!- Esclama in italiano senza nominarlo. E al saluto verbale avvicina il viso al suo. Il ragazzo non può che annusare quella fragranza tanto nota che riveste la figura della ragazza mentre, guancia contro guancia per il primo bacio e, ancora, per il secondo, concludono quel rito che si sarebbero scambiati se si fossero conosciuti nel loro paese, in Italia, magari qualche tempo prima.
Dopo qualche parola che il ragazzo non memorizza lei passa oltre; diretta verso altre persone.
Il ragazzo si sente tramortito da quella veloce scena che si è svolta in pochi frammenti di fotogrammi. Ha perso un altra occasione; il piano era sbiadito ancor prima di prendere il via.
Il ragazzo pensa, cerca di ricostruire il breve dialogo parola dopo parola; riflette: «ha passato molto più tempo con me o con gli altri» o ancora, viceversa: «il suo saluto è durato molto di meno?». Se tutti e due servono per misurare il suo possibile interesse solo il secondo diviene metro di giudizio, negativo, per il suo possibile disinteresse.
I dubbi lo assalgono proprio mentre cerca di trovare una maschera che possa far mimetizzare, occultandola, la sua frustrazione.
La ragazza ora è a pochi metri alle sue spalle, dietro quella colonna contro cui è appoggiato. È giunta alla fine della corsa e lui non è stato che una tappa.
Improvvisamente si sente a disagio in mezzo a quella folla; improvvisamente ha perso il motivo che lo aveva spinto a venire li in quella riunione; in quella specie di festa; assieme a tutte quelle persone si sente fuori luogo, a disagio per quella sua esitazione.
Improvvisamente; quasi a volerlo sbeffeggiare gli vengono alla mente tutte le parole che avrebbe voluto indirizzare a lei; ora slegate da ogni costrizione, libere.
E mentre misura la distanza che lo separa dalla porta, ormai deciso ad allontanarsi, qualcosa lo trattiene sul posto, inchiodandolo.
-Ciao; come stai?- Una voce in un perfetto e impeccabile inglese attira la sua attenzione distraendolo dalle sue elucubrazioni. Una ragazza dai capelli biondi lisci attende la sua risposta. È una ragazza con cui segue un corso all'università; è madrelingua inglese.
-Bene grazie! E tu?-
Proprio mentre iniziano a parlare, incominciando dall'ultima lezione che hanno seguito il giorno prima, alle sue spalle percepisce un silenzio percorso appena da qualche parola. Che abbiano cessato di parlare a causa sua? Per questo suo nuovo dialogo? Un moto di presunzione lo lascia un po' perplesso; ma sa che la mora che stava aspettando è in silenzio alle sue spalle. Un'idea improvvisa gli balena nella mente.
E mentre il locale continua fremere e i ragazzi si muovono da un ambiente ad un altro seguendo la musica a ritmo di un'indecifrabile osmosi; il ragazzo, rimanendo impassibile a tutte le supposizione che gli avevano attraversato la testa, dopo essersi liberato da quello stesso gelo che lo aveva lasciato attonito qualche minuto prima decide di attuare, passo dopo passo, quel piano che aveva predisposto nella sua testa. Decide così di indirizzare alla bionda il discorso che aveva predisposto per l'altra ragazza.
E mentre la semplice discussione procede le parole gli fluiscono spontaneamente, come acqua tra le dita; senza intoppi, senza scarti; sicuro come non mai, pieno di una insospettabile verve; mentre il boccale di birra viene vuotato piano piano nelle pause del discorso - in quelle pause studiate, per lasciar il tempo alla ragazza di rispondere - si concentra interamente sulla ragazza che ha di fronte. È davvero strano come siamo in grado di sentirci a nostro agio accanto a persone che non ci interessano.
La birra alimenta la sua sicurezza mentre le parole sgorgano libere. Lo stomaco vuoto alimenta l'effetto dell'alcol e, di riflesso, il calore che ha nel ventre.
E come il ventre la schiena gli formicola di uno strano bruciore; è ormai certo che gli occhi dei suoi conoscenti, gli amici della ragazza mora, sono tutti puntati su di lui.
E mentre questi ragionamenti prendono corpo, senza smettere di parlare, e senza curarsi troppo dei paradigmi dei verbi, incomincia a notare un certo movimento.
In tempi praticamente cadenzati i suoi amici gli passano accanto, uno per uno; circumnavigando la colonna, dunque la sua posizione, chi più vicino, osservando con la coda dell'occhio la coppia e chi, molto disinvoltamente più lontano, magari per salutare una terza persona; tutti, però, fanno ritorno al punto di partenza: alle sue spalle; quelle sue spalle ormai incendiate dagli occhi che sente pesare sulla sua schiena. Il desiderio di girarsi di scatto è forte; è un impulso che lo fa tremare. Vuole vedere le loro facce e, soprattutto, una faccia in particolare. Desiste. Proprio ora che pensa a questo desiderio irrealizzabile, così incompatibile con la nuova veste del suo piano, si rende conto di un piccolo ma importantissimo particolare. Ha visto tutti i volti dei suoi amici con l'eccezione di una sola persona che manca all'appello. Lei.
Il tempo passa, il locale comincia a svuotarsi. E così, in una quiete crescente, lentamente la strategia incomincia a dare i suoi frutti: la discussione si allarga. I suoi amici; che avevano mantenuto un certo distacco, parlando magari con altre persone; con i rispettivi compagni di corso, incominciano, l'uno dopo l'altro, ad avvicinarglisi; chi con una pacca, chi con un cozzare di boccale, tutti, piano piano, si ritrovano là.
Così, ad un certo punto, mentre il ragazzo raccoglie le ultime gocce dal suo boccale, proprio nell'atto di abbassarlo per appoggiarlo, i suoi occhi si appoggiano sulla ragazza mora che si è venuta a mettere proprio accanto a lui; alla sua sinistra, in quello stesso punto in cui si era protesa per salutarlo con un bacio amichevole poco dopo essere entrata nel locale.
La ragazza però non ricambia il suo sguardo. Il ragazzo indugia, interdetto da quell'improvviso gelo che percepisce da quella ragazza, ma subito trova l'occasione per sorridere tra se e se: questo atteggiamento della ragazza non sarà altro che un'arma che potrà usare per il suo piano; questo suo sdegno, tipico della rude armatura che indossa sovente quando deve mantenere la sua posizione di alterità all'interno del gruppo, non sarà che uno strumento per misurare l'effetto delle parole e la buona riuscita del suo piano.
Dopo poche battute, cui partecipano tutti, può incominciare ad eclissarsi e, silenziosamente, a mantenere l'attenzione sulla ragazza bionda, senza più appoggiare il suo sguardo sulla mora. La sua presenza consiste nell'annuire e nell'osservare la ragazza bionda. Le poche attenzioni che concede alla mora non devono essere che versi, accenni, niente di più; gli occhi, il contatto degli sguardi con quegli occhi chiari della mora, devono rimanere un vago desiderio indistinto, perso nella libidine della fugacità incorporea; i suoi occhi devono rimanere appuntati come spille sulla ragazza dai capelli chiari.
La mora incomincia subito a contraddire la bionda, sfoggiando il suo inglese depurato da ogni sorta di inflessione regionale. Inevitabilmente il ragazzo contravviene, inavvertitamente, quasi a farci apposta, all'unica regola che si era auto imposto. Non appena fa il fatidico errore di osare di rivolgere una sola parola direttamente alla ragazza mora non può che scontrarsi contro il gelido silenzio di lei. È il primo scacco nel suo piano, sino ad allora attuato con la massima attenzione. Non volendo essere costretto a perdere la partita e a chinare il capo, osando ancora, concentra la sua attenzione sempre più sulla bionda che, a differenza della mora, raccoglie con vivo interesse i suoi brevi e lacunosi interventi; riesce così ad appoggiare quello che la ragazza inglese dice, contraddicendo indirettamente la sua amica.
Osando oltre ogni dire, riesce persino, e questo fa parte dell'elemento coreografico, a frapporsi tra la mora e la bionda, riuscendo così ad escludere per pochi secondi la sua amica, che gli arriva all'incirca alle spalle, dalla discussione. In questa operazione, condotta sistematicamente, deve mettere tutta la sua concentrazione e la sua abilità; vincendo lo stesso coraggio che la birra gli ha trasmesso e che gli farebbe adottare soluzioni troppo drastiche, che finirebbero con l'eliminare del tutto il contato tra le due, dunque quel ponte tra lui e la mora che è rappresentato da quella ragazza bionda.
Niente può essere lasciato intentato; bisogna attirare a se e respingere; soffiare a pieni polmoni sul tizzone ardente per alimentarne la combustione e, nel momento di pausa aspettare e osservare il fuoco che si rinvigorisce divorando ciò che lo circonda, solo per poi riprendere a soffiare per un istante, senza esagerare, per non uccidere la fiamma. Fa parte del gioco.

Inaspettatamente arriva il momento di salutarsi; i ragazzi si devono avviare. La mora anche. Proprio la mora si allontana per prima con il pretesto di andare a salutare una ragazza che è uscita a fumare. Dopo aver indossato il giubbetto che aveva in mano si avvia. In quell'attimo di pausa, in cui la ragazza è lontana tutti incominciano ad indossare i loro cappotti, voltandosi a salutare la coppia. Appena scompaiono dietro la porta del locale, dietro al muretto, dopo aver salito i gradini; il ragazzo comincia a contare. Fra dieci secondi si avvierà anche lui. È l'ultimo atto. Allo scoccare del decimo secondo, dopo aver salutato in fretta la bionda, visibilmente interdetta; infilandosi di corsa la felpa e il giubbetto che erano appoggiati sulla mensola della colonna alle sue spalle, sale con un balzo i gradini e spalancando la porta, si immerge nel gelo innevato dei bui vicoli della città.
Salendo i gradini che portano alla piazza centrale - non saranno che una decina; trattiene il fiato, conscio del fatto che un solo attimo di ritardo voglia dire una sconfitta certa.
Ma appena giunto nella piazza centrale nota subito il gruppo dei suoi connazionali a non più di una quindicina di metri da lui, alla sua sinistra, girati di spalle, intenti a camminare stringendosi addosso i giubbetti, tenendo la testa bassa.
Con un fischio attira la loro attenzione e, con il giubbetto slacciato sul davanti, lancia un breve saluto con la mano, mentre fa per avviarsi lentamente dalla parte opposta. Tutti si sono voltati e hanno ricambiato il saluto alzando la mano; chi aggiunge un sorriso, chi un'occhiata distratta. Solo lei, si è voltata e lo ha guardato per un istante, per poi girarsi dall'altra parte, senza ricambiare minimamente il suo saluto. Il gioco è riuscito.
Il ragazzo si volta e si incammina verso casa. Mentre leggeri fiocchi di neve gli accarezzano quel sorriso che gli si è stampato sulla labbra.

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