di Mattia Sangiuliano
I ragazzi entrano nello spiazzale
antistante l'ingresso dell'oratorio. Non si muove una foglia.
L'umidità penetra nei corpi attraverso i vestiti e colora le guance
di rosso. È tutto statico, fermo, immobile.
Un tappeto di foglie copre per intero
il campetto chiazzato qua e la da pozzanghere su cui galleggiano
delle foglie flosce e macerate dall'acqua stantia.
I muri in cemento armato che
abbracciano il campetto sono sormontati da un rete che avvolge
l'intero spiazzale dell'oratorio.
Un sole illumina le pozzanghere
riverberando la luce che vi si riflette dentro e che rispecchiano
quelle fronde mezzo denudate che, dal marciapiede in strada, si
sporgono nel campetto scavalcando il muretto, contorte verso quel
cielo insolitamente chiaro.
«Non dobbiamo studiare?»
«Fra poco, che fretta c'è?» domanda
Andrea.
«Come tutte le altre volte» evidenzia
Vittorio
«Se immobile» dice Martina.
«Oddio no! Un'altra filosofa!»
esclama Andrea prendendosi la testa fra le mani, tra i sorrisi di
tutti.
I ragazzi prendono posto sulla
gradinata esterna mente il parroco che ha aperto il cancello, don
Roberto, va ad aprire le porte dei locali interni, lasciando che la
porta di ingresso si chiuda alle sue spalle.
«Dunque Andrea, cosa ti ricordi del
compito di oggi?» domanda Margherita.
«Che parlava di Catullo...»
«Virgilio!» corregge Vittorio facendo
una faccia contrariata e un po' spazientita.
«le Georgiche di Virgilio» sottolinea
Martina. Vittorio sorride osservando Martina.
Martina è una ragazza esile, minuta;
strana, dal punto di vista del reso della classe. Quell'essere strano
però che non implica, come si pensa in un primo momento, di
diventare bersaglio delle prese in giro o derisione da parte di di
chi sta attorno. La stranezza infatti consiste nel semplice vestiario
che la ragazza sfoggia: i suoi indumenti, salvo qualche rara
eccezione, sono rigorosamente neri. Dal casual di ogni giorno sino a
qualche vestito di modesta eleganza della domenica. Tutto lo scuro
dei suoi abiti sposa il colore dei capelli, anch'essi neri. Una
stranezza da liceo artistico, più che da ginnasio, è l'osservazione
che spesso gli viene mossa quando salta fuori l'argomento;
semplicemente qualche cosa che, per certi versi, a detta di un gran
numero di persone, tra cui lo stesso Andrea, stona con l'ambiente
della loro classe e della loro scuola.
Il gotico però non è il suo genere di
stile. Non è neppure la musica di quel tipo a interessarla. Le sue
letture poi sono lontane dall'immaginario macabro o grottesco e, come
ricorda Vittorio, prediligono i classici della letteratura inglese e
francese. I suoi voti sono modesti, come quelli di Vittorio: “forse
è per questo che a entrambi piace Margherita” pensa il ragazzo.
«Va bè, quella roba li» riprende
Andrea giustificandosi.
«Siamo qua proprio per 'quella roba'
Andri» spiega Vittorio con tutta calma.
«Scommetto che se non ripeti almeno un
riassunto dei primi versi dell'opera, questa sera Diche, non riesce a
dormire» dice Martina in tutta tranquillità.
«Ma mica gli l'ho chiesto io l'aiuto»
borbotta Andrea.
«Veramente si, non ricordi?»
controbatte serio Vittorio, per poi aggiungere, sorridendo: «e io ho
dettato le condizioni per il ripasso»
Andrea in silenzio osserva le macchie
scure di acqua piovana che tappezzano il campo dell'oratorio ancora
silenzioso, e che nascondono le righe colorate che delimitano le
varie aree del campetto.
«A cosa stai pensando?» domanda
Margherita che è rimasta in silenzio per la durata dell'intero
dibattito.
«A nulla» risponde semplicemente
Andrea senza distogliere lo sguardo da quelle immobili pozzanghere.
«Non si può pensare a nulla» si
intromette Martina.
«Ma io sto veramente pensando a nulla»
si giustifica Andrea spostando lo sguardo su un'altra pozzanghera.
Dopo un po' aggiunge: «penso che tutto questo sia inutile»
«Almeno è già qualcosa!» esclama
prontamente Martina.
«Sarebbe bello poter esistere senza
problemi; senza pensieri. Senza dover pensare a... Senza pensare! E
basta. Come gli animali»
«Peccato che è impossibile» tutti e
quattro i ragazzi si voltano verso la voce che ha appena parlato: è
don Silvano, il nuovo parroco, molto più giovane di don Roberto,
fresco di seminario, totalmente votato all'oratorio.
«Il mio era solo un pensiero...» si
giustifica Andrea mentre le guance prima rosse per il freddo, si
tingono di un leggero imbarazzo.
«Appunto! Non vedi la contraddizione?
Non si può non pensare»
«Magari in un'altra dimensione...»
«E come te la immagini questa
dimensione?»
«non so... forse liberi come animali»
«Una bella scusa immaginarsi animali
solo per liberarsi dal fardello dei propri obblighi e doveri. Eppure
è proprio il dono più grande che abbiamo quello di poter pensare,
di poter scegliere sfruttando le nostre conoscenze, oltre l'istinto,
per seguire la strada giusta»
«E le persone che scelgono il male?
Non dovrebbe essere impossibile pensare il male?» domanda Martina,
affascinata da quella parlata così lontana dalla retorica di quello
stesso ambiente di chiesa.
«No, purtroppo no, il male può essere
pensato. All'uomo viene però rimessa la scelta, una sorta di bivio:
se seguire, strisciando, la via dell'errore o alzare il capo e
seguire la via verso la giustizia.»
Alle spalle del diacono si apre la
porta di ingresso dell'oratorio, si affaccia il parroco più anziano,
don Roberto che, dopo una rapida occhiata in giro appunta i suoi
occhi seri,e perennemente aggrottati dietro alle spesse lenti di
vetro sull'altro prete: «don Silvano, può venire un attimo per
cortesia?»
«Certamente!» dice il parroco
alzandosi dal muretto cui si era appoggiato e, rivolgendosi ai
ragazzi con un sorriso: «scusatemi ragazzi»
«Ciao Don!» rispondono i ragazzi.
Non appena il parroco scompare seguendo
il suo superiore Martina si rivolge agli altri ragazzi: «Forte il
nuove prete non credete? Già pensa che Andrea sia tarato»
«Spiritosa» sussurra Andrea
Dopo qualche istante Martina aggiunge:
«Però non è strano? In fondo la chiesa sposa proprio quella
concezione immobilistica del mondo.»
«In che senso “immobilistica”?»
domanda Vittorio incuriosito.
«Sapete no: “il paradiso
irraggiungibile in vita”, “la felicità superiore oltre un mondo
sensibile peccaminoso e pieno di errori”; la chiesa ha una forte
gerarchia, di persone e di idee. Entrambe, inoltre, non ammettono il
confronto. Sono “immobili”»
«Però è venuta in contro ai fedeli»
accenna timidamente Andrea, un po' interessato all'argomento
sollevato dalla sua compagna di classe.
«Si, ma solo esteriormente» risponde
Martina spostando i suoi occhi verdi verso quelli di Andrea che,
quasi istantaneamente, percependo il contatto con quello sguardo si
spostano verso il muro di cinta del campetto dell'oratorio.
Martina prosegue: «ha fatto evolvere
soltanto quello che è un contenitore; ad esempio con la messa in
“volgare” o presentando qualche nuovo campione del Cristianesimo.
A parte qualche altro gesto formale ha sempre rifuggito il dialogo. È
immobile» conclude alla fine con una piccola alzata delle sue
gracili spalle la ragazza.
«Ma qual'è il problema di una
istituzione... immobile?» insiste Andrea.
«Per Martina il problema è l'assenza
di dialogo» dice con molta tranquillità Margherita, che prosegue,
mentre gli altri la ascoltano rapiti: «Dove non c'è dialogo,
qualcuno che parla mentre un altro ascolta e, in un secondo tempo,
viceversa non c'è evoluzione»
Mentre Margherita parla un brivido
attraversa la schiena di Vittorio, una sorta di eco soffuso di quello
stesso brivido che lo ha colto la sera avanti in camera sua, durante
l'inasprirsi del temporale. Mentre le parole scorrono dalle labbra di
Margherita, Vittorio si perde in quelle stesse frasi esposte dalla
sua compagna di classe con tanta convinzione e con tanta sicurezza,
tale da far sbiadire tutto ciò che la circonda.
Vittorio si ricorda della primavera
scorsa, quando l'uno accanto all'altra, in un parchetto del loro
quartiere avevano incominciato a esporre le proprie opinioni, le
proprie idee e, soprattutto, i propri punti di vista così personale
e, a volte, così inconciliabilmente diversi.
«Ma perché dovrebbe evolversi?»
«Per migliorare e migliorarsi» questa volta è Vittorio a rispondere alla domanda di Andrea «se non è dinamica non può evolversi, non può migliorarsi e realizzarsi. Non può fornir risposte alle domande che le persone si pongono»
«Per migliorare e migliorarsi» questa volta è Vittorio a rispondere alla domanda di Andrea «se non è dinamica non può evolversi, non può migliorarsi e realizzarsi. Non può fornir risposte alle domande che le persone si pongono»
«Qual'è lo scopo?»
«Trovare la verità»
«Ma se la deve “trovare” vuol dire
che già esiste in precedenza»
«Vedo che sei entrato in un'ottica
filosofica!» dice Martina sorridendo.
«La verità è come una rivelazione
divina, è vero, ma non si può riposare adagiati sulle proprie
convinzioni aspettando una scintilla. Bisogna immergersi nel mondo e
in se stessi per trovarla»
Il vento si alza all'improvviso facendo
volare in alto una nube di polvere e foglie. I rami degli alberi
ondeggiano sotto questa pressione. Una porta si chiude sbattendo alle
loro spalle. Don Silvano attraversa il campetto a passo svelto con la
testa bassa, mentre i ragazzi si stringono addosso i loro cappotti.
«Buona sera Don!»
«Ciao» si limita a salutare in risposta il parroco che, con qualche passo, scompare al di là del cancello del cortile, attraverso il vorticare delle foglie e di gocce che cadono dagli alberi mossi dal vento.
«Ciao» si limita a salutare in risposta il parroco che, con qualche passo, scompare al di là del cancello del cortile, attraverso il vorticare delle foglie e di gocce che cadono dagli alberi mossi dal vento.
Mentre pesanti nuvole coprono il cielo
oscurando il sole e i ragazzi, alzatisi dai gradini umidi su cui si
erano seduti, si dirigono verso la porta dell'oratorio, Martina
conclude il suo pensiero: «Le istituzioni vanno contro il moto;
contro quel movimento che vuole scavare nell'essenza degli individui,
in ciò che è comune a tutte le persone e da cui nascono nuove
forme. C'è una sorta di unità e stabilità, un'uguaglianza di fondo
che accomuna tutte le persone: la capacità di pensare e far evolvere
il proprio pensiero. Dove le istituzioni stringono i propri lacci
viene meno la capacità del singolo di rendere piena la propria
esistenza».
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