mercoledì 17 luglio 2013

Chi è il più forte?

di Mattia Sangiuliano

Don Silvano segue in silenzio il suo anziano superiore attraverso i corridoi bianchi dell'oratorio. Don Roberto provvede ad accendere le luci al neon delle stanze e dei corridoi che attraversa. Un sorriso distende il volte del giovane parroco; davanti a lui immagina la solita espressione seriosa del suo superiore. Il fatto che lo abbia convocato con così tanta fretta dopo aver aperto i cancelli dell'oratorio non fa supporre nulla di buono. Questo almeno rende la passeggiata molto meno gravosa: don Silvano sa che lo attende una lavata di capo.
“Tanto per cambiare” pensa il il giovane prete che, imperturbabile, continua a mantenere quel suo sorriso tranquillo dietro la sua scura barba ascetica ma, con il procedere di quella loro processione, il sorriso del giovane si fa sempre più pesante e difficile da mantenere alle spalle di quell'imperturbabile parroco che lo precede.
Non appena si scorge, in fondo al corridoio, l'ufficio di don Roberto, le gambe di Silvano si fanno un po' più pesanti, molli, indebolite da un'insolita flemma.
In prossimità della porta il parroco, don Roberto, estrae dalla tasca il mazzo di chiavi, in uno sferragliare di ferri che cozzano fra loro. In quel piccolo portachiavi sono racchiusi tanti piccoli anelli saturati, anch'essi, di tante chiavi dalle più disparate dimensioni e dei colori più vari.
Il caldo di quel riscaldamento perennemente acceso a temperature esagerate soffoca don Silvano che, con il cappotto in mano, è tentato di sfilarsi il colletto bianco e slacciare il primo bottone della camicia nera. Desiste, ma è tentato di vincere l'affaticamento appoggiandosi a quelle pareti magari su una di quelle bacheche di sughero tappezzate di avvisi rigorosamente siglati e timbrati dalla grafia del capo curato e dalla sua maniacale precisione burocratica. Sicuramente tutti piccoli tratti di quel suo carattere così condizionato dalla sua precedente professione di infermiere. Una professione interrotta per rincorrere il celibato e quella tarda vocazione che si era manifestata così improvvisamente. “Il mistero della chiamata” pensa don Silvano.
Don Roberto da due vigorosi giri alla chiave che fa scattare con forza il meccanismo della serratura, facendo riecheggiare lo schiocco dell'ingranaggio per i corridoi, accompagnato dal conseguente sferragliare delle altre chiavi attaccate a quell'ingombrante mazzo.
Don Roberto entra nell'ufficio accendendo il neon e il giovane Silvano lo segue. Come tutte le volte in cui entra in quell'insolito ufficio, Silvano non può trattenersi dall'osservare il passaggio in quell'ambiente così diverso dagli altri interni dell'oratorio.
La cosa che più di tutte attirò l'attenzione di Silvano la prima volta che entrò in quello studio fu il pavimento. Tutte le stanze, sino alla sagrestia, hanno la stessa pavimentazione di mattonelle grigiastre, con motivi tutti uguali di piccole macchiette di varie tonalità di marroni e piccoli pallini neri o giallognoli, il tutto va a costituire una pavimentazione più o meno uniforme in tutte le stanze e in tutti i corridoi. Il pavimento dell'ufficio del parroco, invece, è lastricato di mattonelle bianche disposte di traverso, come dei rombi, che vanno a creare un primo significativo contrasto con quella disposizione ordinata delle mattonelle che, negli altri ambienti dell'edificio, sono rigorosamente disposte parallelamente ai muri. In secondo luogo, la cosa che più attirò l'attenzione del giovane curato fu il fatto che il sottile interstizio che separa il perimetro di una mattonella dall'altra è anch'esso bianco e immacolato, senza la minima chiazza scura o di sporco.
Silvano mette un piede su quel pavimento ed entra nello studio del parroco più anziano. Don Roberto va a prendere posto dietro la sua scrivania anch'essa bianca, ma di un bianco più smorto di quello del pavimento, simile a quello della modesta libreria bianca addossata alla parete, ingombra di tanti e varo testi di catechismo e bibbie e vangeli dalle copertine più svariate o dalle rilegature più consumate, alcuni dovrebbero essere dei veri pezzi di antiquariato. In mezzo a tutto quel bianco i due curati spiccano per il loro usuale abbigliamento rigorosamente nero. Nonostante nessuna norma imponga l'abito talare nei giorni feriali, i due parroci si ritrovano faccia faccia in quel candido studio, l'uno seduto dietro la scrivania, l'altro, il più giovane in piedi tra due sedie marroni, quelle stesse sedie che ingombrano le piccole aule adibite al catechismo o che abbracciano l'altare all'interno della chiesa, indossando il loro abito distintivo.
Nello studio di don Roberto il calore è insopportabile e asfissiante, soffocante come quel miscuglio di odori che ingombrano quella piccola stanzetta. Su tutti quegli odori campeggia un perenne e penetrante aroma di incenso, percepibile in maniera molto più intensa in quella stanza che in altri luoghi dell'edificio. Accompagnato a quello dell'incenso, ma in un'intensità lievemente minore, l'odore di disinfettante attanaglia la gola facendola prudere; un misto di ospedale e di chiesa amalgamato in un unico ambiente claustrofobico e poco areato. Un altro odore, più lieve dei primi due, è l'unica traccia intermittente di freschezza che possa essere accostata a quell'ambiente. Le prime volte don Silvano non riuscì a spiegarsi quell'odore quasi delicato, in quel marasma di sensazioni ma, dopo qualche convocazione, quasi per una fortuita coincidenza, riuscì a ricordare quella fragranza, che gli riportava alla mente sua nonna: la canfora. In una quantità minima, certe volte a stento percettibile, un vago sentore di canfora alleviava la gravezza dello studio di don Roberto. Sotto la luce del neon che, scaldandosi, illumina con maggiore intensità tutti gli oggetti della stanza don Silvano riesce a rintracciare anche oggi quella fresca fragranza di canfora.
La canfora però non è in grado di alleviare quel calore che fa pesare le palpebre facendo strabuzzare gli occhi, capace di svuotare la volontà.
Alle spalle della semplice sedia nera su cui prende posto don Roberto, si staglia una parete bianca immacolata su cui campeggia un piccolo crocifisso marrone scuro con un Cristo inchiodato su una croce appena poco più scura del soggetto, la cui espressione, però, viene appiattita in un'indistinta accozzaglia di quei lineamenti che si vanno a confondere nel colore scuro della composizione; tutti i dettagli si fondono in un indistinto ammasso di ombre che si sovrappongono più si tenta di separarle con l'osservazione.
«Dunque» incomincia don Roberto rompendo il silenzio che grava in quello studio, mentre con le mani nodose accarezza il piano della scrivania su cui si trovano appena qualche foglio, qualche documento o lettera e le bozze del giornalino della domenica. «Volevo esporvi una questione» prosegue il curato con la sua voce atona, rivolgendosi al collega, come sua abitudine, con il voi.
«Dica pure don Roberto» incita pacatamente don Silvano, riuscendo a vincere quella prostrazione causatagli dal caldo opprimente.
Il curato sorride in risposta all'appellativo don e, ricordandosi dei titoli e delle onorificenze ecclesiastiche riprende: «Don Silvano avrei bisogno di parlarvi riguardo ad alcune questioni di curia e di... buona educazione» dice dopo un istante di riflessione, scrutando attentamente il giovane parroco che ha di fronte.
«Dica pure» si limita a dire don Silvano, avendo capito dove vuole arrivare l'anziano parroco.
«Bene» incomincia don Roberto appoggiando le mani giunte sopra quei pochi fogli disposti sulla scrivania bianca che sembra riflettere la luce via via sempre più intensa del neon sui lineamenti ben rasati del suo viso e, direttamente, sulla pelle nuda e perfettamente liscia di quella chierica contornata da capelli grigiastri.
«Ho notato che avete proseguito con i vostri sermoni... laici» sentenzia il parroco mentre si accarezza il candido collarino bianco che porta al collo. «Mi domando se non sia meglio, come vi ho già accennato altre volte, portare alle giovani menti il dolce miele di qualche passo del vangelo»
“È un'inquisizione” pensa don Silvano, riuscendo così, con questo pensiero, a distendere i propri nervi e a non pensare al caldo.
«Ovviamente il mio intento non è quello di far allontanare i bambini dal verbo di Dio e dalla buona novella» spiega don Silvano, aggiungendo: «Reputo indispensabile poter arrivare a dispensare insegnamenti fecondi usando tutte le conoscenze a mia disposizione»
«Anche la filosofia?»
«La filosofia, la letteratura il teatro, le scienze...»
A quest'ultima parola il prete più anziano inclina in avanti il capo, per osservare meglio il giovane prete che gli sta di fronte, al di là degli occhiali che gli stanno adagiati su quel naso dritto.
«Tutto merito del vostro retaggio scientifico suppongo» interrompe il parroco mantenendo un tono neutro.
«Molto probabilmente» conferma don Silvano.
«Il piacere del dato sensibile, della certezza empirica... non è vero, don Silvano?»
«È un campo di studi, di ricerca, che vuole trovare risposte. Come la chiesa per certi versi»
«Si, ma il fondamento della religione cattolica è il suo essere una religione rivelata...»
«Il verbo che si è fatto carne»
«Precisamente, don Silvano, con tutti i suoi annessi e connessi. La mia preoccupazione... anzi: il mio cruccio è che voi possiate concentrarvi troppo sul secolo, dimenticando i vostri obblighi e doveri verso la nostra parrocchia»
Silvano non può trattenersi dal rispondere con il suo pacato tono di voce: «Viceversa, però, non bisogna dimenticarsi che operiamo proprio nel secolo, a contatto con fedeli e con persone, laiche, che tendono ad allontanarsi da pensieri che non forniscono loro risposte esaustive. Parlando ai giovani di cose che li interessano sento di adempiere al mio dovere. Verso la comunità e verso la chiesa»
«Ma la comunità» replica don Roberto «non è fatta di soli giovani, come voi, tenetelo a mente. Gli anziani, come me, potrebbero anche non apprezzare certe prediche che possono confondere le menti e far sperdere, ancor di più, gli animi». Dopo una breve pausa, tipica del curato che vuole far attecchire un seme nella mente dell'uditorio, aggiunge: «certamente, condivido il vostro pensiero e il vostro intento pedagogico, anche io ho avuto venticinque anni, come voi. Ricordatevi però che la verità è una e le dottrine scientifiche mal si conciliano con quelle ecclesiastiche».
“È una minaccia” pensa Silvano rimanendo in silenzio preferendo non controbattere a quell'opinione del presbitero che si prefigura sempre più come un'inquisizione, un attacco alla politica che il giovane prete ha tenuto sino a quel momento.
Don Roberto, che non ha smesso di studiare un solo istante il suo confratello riprende e gli domanda inaspettatamente: «E suo padre come sta?»
Un velo di perplessità passa sulle sopracciglia di don Silvano, per un istante aggrottate in un lampo di sorpresa che subito si dilegua: «Bene. L'ho sentito qualche giorno fa per telefono. Ha molto da fare»
A questa risposta è ora il parroco più anziano ad essere letteralmente esterrefatto, mostrando un cipiglio di inaudita sorpresa: «Non lo sente tutti i giorni?» si risolve a domandare alla fine.
«Quando i nostri impegni lo consentono» replica molto sobriamente il giovane, mettendo avanti gli impegni lavorativi.
«Mi raccomando! La famiglia è molto importante»
«Certamente don Roberto, la ringrazio per l'interessamento»
«Dunque la politica procede bene per il nostro deputato»
«Senatore» corregge don Silvano «mio fratello, il primogenito è deputato, mio padre è senatore»
«Una famiglia devota anche in politica, non è vero?»
«Come molte» risponde semplicemente don Silvano, incominciando ad accusare quel caldo soffocante ora che si è cominciato a parlare di questioni più intime.
«Ma non molte possono vantare due politici nella DC e un giovane figlio così promettente che potrebbe diventare la colonna portante dell'arcidiocesi»
Ora Silvano non si cura di celare il suo stupore; sotto la superficie della sua fronte sente diffondersi una sorta di gelo che non fa altro che amplificare quel caldo sempre più asfissiante e secco che sembra alitargli in faccia una derisione. Non ha la forza di controbattere ne di chiedere spiegazioni. È conscio del fatto che, più tardi, in solitudine, si maledirà per questa sua rinuncia. Ma ora è troppo stanco. Ha bisogno di riflettere, in solitudine.
«Volevo anche ringraziarvi per il lavoro che in questo breve periodo avete svolto nella nostra parrocchia. Portate i miei saluti a vostro padre, ringraziatelo ancora per quella donazione che ha fatto all'oratorio. So che tenete molto a questa attività. Mi auguro che continuerete ad aiutare la nostra parrocchia con i vostri servigi e la vostra correttezza. Ora, se volete scusarmi devo preparare la predica per la prossima domenica. Che Dio vi benedica»
«Che Dio vi benedica» scandisce il parroco inclinando appena il capo in avanti, quel tanto che basta per scorgere la punta delle scarpe di pelle del presbitero che spuntano da sotto la sobria scrivania, segno di una certa soddisfazione che ha fatto distendere e rilassare le gambe al parroco.
Don Silvano si avvicina alla porta dello studio, fa ruotare la maniglia ed esce, senza voltarsi neppure dopo essersi richiuso alle spalle la porta lasciandosi alle spalle l'altro parroco, quasi certamente intento ad osservarlo.
Nel lungo corridoio in cui si trova, immerso in quel tepore così lontano dal caldo asfissiante dell'ufficio di don Roberto, in quel semplice odore di oratorio, di aule chiuse, senza quel permeante odore di disinfezione maniacale; in silenzio in quel corridoio perennemente polveroso, tra quei muri rigati da centinaia di sedie che vi hanno strusciato, rigandoli, e ammaccati dallo sbattere delle porte spinte da qualche corrente improvvisa.
Dalla finestra a lato del corridoio in cui si trova Silvano una nuvola getta un ombra scura all'interno dell'edificio. Avvolta in quella luce giallognola dei neon ancora poco riscaldati si incammina verso l'uscita, riflettendo tra se e se su quel colloquio che ha appena avuto con don Roberto. Un pensiero lo opprime e lo getta in uno stato di confusione: “È possibile che voglia comprarmi per i favori di mio padre?” subito scansa questa ipotesi.
“È possibile, invece, che voglia ricordarmi il mio ruolo all'interno di questa comunità. Un modo per farmi stare calmo ricordandomi qual'è il mio posto? Vuole smorzare i miei atteggiamento per una forma di decoro. Se è la carriera la posta in palio, dovrebbe aver capito che non mi interessa. Viceversa potrebbe voler dire che, come può sostenermi, può anche farmi precipitare” un velo di preoccupazione lo stringe in un dubbio a cui non sa trovare risposta: “Che voglia togliermi l'oratorio?”
Immerso nei suoi pensieri, a testa bassa quasi si scontra con Pietro, un catechista appena ventenne che lo aiuta nelle attività dell'oratorio.
«Salve Don» esclama Pietro, solare come sempre.
«Ciao Pietro» saluta in risposta il parroco riprendendo la sua compostezza naturale, sorridendo a quel volto amico.
«Come va Don, tutto apposto?»
«Tutto apposto!» conferma Silvano, regalando un sorriso al ragazzo. “Non è necessario che lo carichi delle mie preoccupazioni” aggiunge poi mentalmente. Dopo un breve istante, poco prima che i due si salutino, Silvano approfitta di quel fortuito incontro: «Senti Pietro, ti spiacerebbe proseguire da solo per le attività di oggi? Dovrei sbrigare alcune faccende»
«Ma si figuri Don, nessun problema»
«Grazie Pietro, allora buon lavoro. E mi raccomando, fai entrare tutti che fra poco dovrebbe ricominciare a piovere»
«D'accordo, ciao Don, buon lavoro»
Silvano osserva per un istante il suo amico che si allontana, diretto verso l'ufficio di don Roberto, poi riprende a camminare verso l'uscita. Giunto sulla soglia spalanca il portone e si gode l'aria fresca che lo ristora dopo quell'insopportabile oppressione dell'ufficio del parroco e si infila il cappotto che ha tenuto in mano per tutto il tempo. I ragazzi stanno ancora parlando fra loro dibattendo a turno, senza curarsi delle pesanti nuvole che si stanno addensando sopra le loro teste. Al di là del cancello il via vai delle persone che passeggiano è aumentato di intensità.
Una folata di vento fa sfuggire la porte di mano a don Silvano che si chiude sbattendo con violenza. Il parroco si incammina verso il cancello mentre i ragazzi si stringono addosso i loro cappotti per ripararsi dal freddo e dal vento. Appena passa davanti a loro questi lo salutano cordialmente. Silvano accenna un saluto in risposta, oramai nuovamente preso dai propri pensieri.
“In fondo non si può sfuggire ai poteri forti e alle necessità che ci sovrastano. Se si è da soli non si può combattere una crociata contro l'ignoranza e contro forme ormai fisse e solidamente ancorate nell'abitudine. Bisogna adattarsi e chinare il capo, per sopravvivere, se non si vuole soccombere, schiacciati da interessi più grandi. Solo i più forti possono sopravvivere. Mi domando allora chi è il più forte, colui che non china il capo o colui che preferisce il silenzio? Ora come ora mi sembrano entrambe alternative coraggiose” continuando la sua riflessione, il giovane parroco appena venticinquenne, passa attraverso il vorticare delle foglie e di gocce che cadono dagli alberi mossi dal vento.

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