di Mattia Sangiuliano
Il professore si alza dalla
sua scrivania dopo aver riposto la penna rossa in un elegante
astuccio di pelle che contrasta con la plastica opaca della bic; si
lascia alle spalle la sua poltrona imbottita, in velluto rosso, con
le cuciture dorate a vista lungo tutto il bordo della suppellettile,
a contatto con il legno antico, marrone vivo e ben lucidato dei
braccioli, del bordo superiore sopra la testiera e delle zampe
intagliate, segno inconfondibile di elevato prestigio e di dignità
intellettuale del sacro magistero accademico che il professore
svolge.
Proprio il senso di questo
suo ruolo è il tema centrale delle riflessioni che si rincorrono
nella sua mente mentre, con un'ammaliante movenza, attraversa la
stanza spostandosi presso la parete alla destra della scrivania da
dove può sbirciare la strada, attraverso il vetro della finestra.
Le ombre si sono allungate
nella via antistante la sua casa, ancora umida per il temporale che
aveva percosso la città per tutta la notte e la mattina di quello
stesso giorno. Il cielo, però, sino a poco prima terso viene
attraversato da pesanti nubi che a tratti occultano il sole che sta
per tramontare e che illumina di sbieco le persone che, attraversando
le vie, si stringono addosso i pesanti cappotti invernali, per
ripararsi da quel penetrante gelo che il professore può solo intuire
attraverso i gesti dei passanti, riparato com'è nel suo studio
riscaldato.
Sovrappensiero, mentre il
suo sguardo segue lo zigzagare delle persone, allunga una mano e
appoggia i polpastrelli della mano sinistra su quel sottile vetro
della portafinestra affacciata su uno spoglio balconcino che lo
separa dal mondo esterno e da cui è solito osservare il tram tram
del quartiere. Il contatto con quella superficie fredda gli fa
attraversare il braccio da una scarica gelida che lo fa rabbrividire
scuotendolo da quel suo torpore di inerzia che spesso lo coglie dopo
aver adempiuto a un dovere accademico di correzione che, per
l'appunto, è una di quelle mansioni che rispecchiano il suo ruolo.
“Il mio ruolo di tutore”
pensa il professore staccandosi dalla finestra, senza far più caso
alle nuvole minacciose che lambiscono la città, alla gente che vaga
presa dalle proprie preoccupazioni così distanti da lui, dimentico
dello stesso brivido che ha provato qualche istante prima.
Staccandosi dalla finestra
con un piccolo senso di soddisfazione si dirige verso la parete
dirimpetto alla sua scrivania, totalmente occupata da una libreria
ingombra di eleganti tomi, anch'essa tirata a lucido dalle
servizievoli mani della donna di servizio che ha lavorato durante la
mattinata nel suo studio mentre il professore, a scuola, osservava
con molta attenzione, e con poca fiducia, gli alunni della sua
scolaresca che stavano svolgendo il compito di latino assegnatogli.
Con il passo ovattato dal
morbido tappeto intessuto a mano, recuperato da qualche vecchia villa
poderile dell'entroterra, aggira le due modeste poltrone di velluto
marroncino poste di fronte al basso tavolino di legno scuro,
imparentato con la scrivania, su cui attende una scacchiera. Rapito
dai propri pensieri, senza nemmeno osservare i pesanti tomi della
libreria, estrae meccanicamente dal ripiano all'altezza del suo petto
un volume scuro dotato di una grande e vistosa copertina rigida che
viene delicatamente appoggiato sul tavolino accanto alla scacchiera
artigianale, davanti a un oblungo vasetto riempito a metà d'acqua,
da cui sporgono tre crisantemi dorati.
Dopo aver preso posto sulla
poltrona poco discosta dal tavolino, per godere della scarsa luce che
ora filtra dalla finestra, riprende in mano il libro e se lo adagia
con delicatezza sui pantaloni. Con infinita cura apre la prima pagina
del volume, la prima di copertina, con uno scricchiolio della
rilegatura. Il professore si concede un istante per respirare quel
profumo di carta usata, di libro rimasto a lungo schiacciato in mezzo
ad altri tomi, un odore di biblioteca così distante dalla recente
carta stampata in massa che quasi gli fa tremare il cuore in quello
che potrebbe essere il barlume di una lontana nostalgia. Ma dopo
qualche istante, oramai sopito quel lieve senso di apprezzamento,
appena voltata la seconda pagina, il professore prende a sfogliare
distrattamente le prime pagine di quella che si rivela essere una
raccolta di bozzetti artistici, una sorta di bella copia di raccolta
di varie opere d'arte ricopiate da vari artisti che nei loro viaggi
di formazione hanno attraversato il Mediterraneo diretti nelle più
svariate città d'Europa.
Dopo qualche altra pagina il
professore giunge alla sezione interessata: «Roma» sussurra dopo
essersi inumidito le labbra con la lingua. Sistemandosi meglio sulla
poltrona che non manca così di cigolare sotto il peso del
professore, sfoglia un'altra pagina. Ecco l'argomento che stava
cercando: la Cappella Sistina.
Sfogliando rapidamente altre
due pagine concernenti dettagli relativi al Giudizio Universale
giunge, finalmente alla Creazione di Adamo.
“La creazione è la
formazione di un ordine. All'ordine è affidato il compito di tendere
verso la perfezione” pensa il professore osservando la sospensione
che avvolge la mano di Adamo e quella di Dio, in quell'anelito che
trascende il tempo e lo spazio, sfiorando lo spasimo.
“L'ordine è un meccanismo
perfettamente calibrato che vuole orientare la formazione della
società. Compito di un tutore è quello di mantenere l'ordine dunque
quella perfetta architettura che lo sottende”.
Voltando un'altra pagina può
ammirare un perfetto schizzo del particolare delle due mani, quella
di Dio e quella di Adamo, che stanno per sfiorarsi. Il rimbrotto
improvviso di un tuono molto vicino alla sua casa fa tremare i vetri
dell'abitazione ma il professore non se ne cura preso com'è dai suoi
pensieri.
“La cultura squarcia le
tenebre dell'ignoranza” sentenzia mentalmente il professore
indugiando su ogni piccolo tratto d'ombra che rende perfetto il
bozzetto, “la parola e le regole che sostengono i sistemi di una
lingua sono l'esatto equivalente della legge che sorregge l'universo.
Preservare l'ordine con la legge è il senso ultimo della giustizia.
Così come il giardino dell'Eden è frutto dell'amore di Dio e
dell'intransigenza, così le tavole che Dio consegnò a Mosè sono il
frutto del suo amore fattosi parola scritta, legge. Abramo non
rifiutò di seguire il volere di Dio e avrebbe sacrificato suo figlio
Isacco se l'angelo non lo avesse fermato. Proprio nelle poche e
scarne parole di questo passo dell'Antico Testamento ci figuriamo il
traviamento di Abramo, senza bisogno di leggerlo esplicitamente, noi
lo vediamo rappresentato. Come nota il filologo Auerbach, in poche
parole si può vedere come i personaggi della Bibbia siano sotto la
mano di Dio: creati ed eletti e perpetuamente foggiati, piegati,
plasmati senza però distruggerne l'essenza. La perfezione che
presiede l'equilibrio: la condizione dell'uomo che ha il compito di
preservare quella creazione santa, scritta, e al contempo il libero
arbitrio donatogli da Dio, la facoltà di scegliere ma la capacità
di tendere verso il meglio e di indicare la giusta via ad altri,
operando in quelle istituzioni create dall'uomo proprio per questo
scopo”.
Un lampo improvviso illumina
la mano di Dio gettando una lunga ombra su quella di Adamo e su
quella del professore che sta accarezzando la pagina. Il professore
non può fare a meno di domandarsi se invece Dio non si stia
semplicemente allontanando da Adamo, se invece di volerlo toccare
volesse rifiutare alla sua creatura quel contatto paterno e vitale di
cui l'altro ha bisogno; come se, prevedendo l'esito del libero
arbitrio donato a suo figlio, volesse abbandonarlo al suo destino di
oscura barbarie.
Il professore appoggia il
voluminoso tomo accanto ai crisantemi dorati e, proprio mentre la
pioggia torna ad abbattersi sul quartiere, pensa “Questo è il
ruolo di un tutore: ricongiungere l'uomo alla legge”.
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