giovedì 2 maggio 2013

La necrofilia si tinge di "giallo".

di Mattia S.

L'informazione della cronaca nera gode, cibandosene, di tutte quelle disgrazie che hanno luogo (per la maggior parte) sul territorio nazionale e (in minor parte) all'estero. È un mostro che con il tempo è divenuto sempre più scaltro, mimetizzandosi nei palinsesti televisivi e sulle prime pagine dei quotidiani nazionali o di provincia, dapprima come piccolo specchietto, poi divenendo via via il fulcro dell'informazione grazie a immagini sempre più grandi, dettagliate e particolareggiate.
La parola informazione, in questo caso specifico, risulta essere un paradosso linguistico, frutto di un corto circuito terminologico, eppure molte persone apprezzano e seguono con viva apprensione quel tipo di spettacolo che telegiornali e appositi programmi dedicano ai fatti più macabri e sanguinolenti.

Con il passare degli anni si è instaurata una sorta di cultura della necrofilia che perpetra una violenza carnale nei confronti delle vittime delle tragedie. In questo tipo di vicende è stata instillata una sorta di cultura feticista del dettaglio e del risvolto pretestuoso, lontano dal vero concetto di informazione.

Il vilipendio di cadavere è all'ordine del giorno, all'interno delle piazze televisive e dei vari format -dalle reti di stato a quelle private, salvo poche e rare eccezioni-, sposa la destrutturazione dell'informazione in favore della superficialità e del salotto dell'intrattenimento frivolo di stampo televisivo, con tanto di applausi di figuranti che devono dare l'idea di una partecipazione il più collettiva possibile, neppure troppo tacitamente pilotato dal culto del/la conduttore/rice, andando ad alimentare quello che è a tutti gli effetti un rituale, sovente propugnato per informazione o (ancora peggio) per cultura.

La morte diviene intrattenimento, vicenda seguita morbosamente nel suo dipanarsi, come una trama filmica. E proprio questo è il dramma ulteriore: non ha nulla da invidiare allo svolgersi cinematografico degli eventi di una qualsiasi pellicola; è la stridente opposizione che scaturisce dalla similarità di due cose così opposte: il film e l'informazione.
La morte diventa divertissement, un modello di para-informazione fondato su testimonianze di lacrimosi opinionisti e parenti scioccati dai fatti, e artistiche quanto machiavelliche congetture di anonimi passanti o conoscenti. Il lutto personale che dovrebbe essere mantenuto intimo, all'interno di una ristretta cerchia viene sbattuto in faccia alla popolazione, piazzato prima, durante e dopo i pasti con un abbondanza di particolari non di rado truculenti resi più violenti dalle immagini e da un lessico diretto e aggressivo.
La morte diviene un genere di consumo, servito direttamente dalle reti stando comodamente seduti in poltrona o acquistabile a poco prezzo dall'edicolante.
La morte in edicola a 50cent + IVA, grazie a Urbano Cairo editore.

Sarebbe scontato eppure così doveroso citare, inoltre, il caso delle trasmissioni che si cibano di questa cronaca nera, in una sorta di
truculenta e cannibalesca necrofagia, banchettando sui (e coi) resti delle vittime, importunando a tutte le ore telespettatori che più o meno passivamente si prestano al giogo di una informazione viziata e spersonalizzante che dissolve, svalorizzandola, la vita umana. La stessa vita viene immolata in onore a una dea Mors che satanicamente garantisce alti "premi di produzione", per un tema ad alto consumo e facilmente digeribile da anziane generazioni e da ragazzi soggiogati a un circolo vizioso di sbagliate abitudini familiari.
Dove le congetture dell'anti-giornalismo frangono le barriere deontologiche del rispetto etico, verso le vittime e ai danni di chi usufruisce di un canale di (presunta) informazione, la morale può essere, facilmente e senza troppe remore, messa da parte.

Si è creata una situazione anomala dove realmente le persone scambiano questa pseudo-cultura per vera informazione, e si assiepano in un raccoglimento sacro, se non divinizzante, per ascoltare le novità e gli aggiornamenti, fornite dagli inquirenti e reinterpretate dai conduttori, attendendo con famelica attenzione il dettaglio e il risvolto, non ha importanza se pretestuoso o infondato.
In fondo non ha neppure importanza scoprire il reale colpevole; l'importante è sentirne parlare, parlarne e soprattutto vedere in diretta.

Il settimanale "Giallo" è il frutto di una società che ha chiesto sempre di più la spettacolarizzazione della tragedia reale, lontana dai cliché della letteratura e della cinematografia. Sulle sue pagine scorrono le immagini e gli scatti delle persone, molto spesso ragazzi e ragazze in età prepuberale, dove la legge matematica dice che: minore è l'età, maggiore è il seguito mediatico e la partecipazione popolare che si può ottenere dall'evento.

Vermicino è stato il caso emblematico in cui informazione drammatica e cronaca nera si sono trasformate nel primo reality dell'agonia; una sorta di Truman Show della straziata angoscia in diretta, per una maratona di 18 ore filate con il beneplacito consenso pubblicitario.
la morte di un bimbo, caduto in un pozzo, a Vermicino, nei pressi di Roma (12/6/1981), ha rappresentato, secondo un giudizio diffuso tra gli studiosi dei media, un punto di svolta nella narrazione televisiva. In 18 ore di trasmissione la morte di Alfredino divenne lo spettacolo della morte in diretta; la sera di quel giorno si ebbe un ascolto medio di 28 milioni di telespettatori; il dolore -si è detto- cambiò lo stile della televisione. (da "La lingua della Nazione" di Maurizio Dardano; Laterza, 2011) 
Alfredino Rampi, aveva 6 anni. In una calda giornata estiva cadde in un pozzo artesiano nel paese di Vermicino. Intrappolato vide arrivare i primi soccorsi, poté assistere ai disperati tentativi da parte dei Vigili del fuoco e dei volontari che tentarono di strapparlo dal freddo e umido pozzo in cui era precipitato. Il tutto si svolse sotto l'occhio della telecamera fissa della televisione di stato che riprese gli incerti e vani soccorsi.
I Baustelle sono riusciti a interpretare, mettendolo in musica, quello che è stato il più grande e tragico evento della storia della nostra Nazione, parlando non solo dell'evento in se ma guardando quello che l'evento aveva scatenato nell'opinione pubblica.


La morte è diventata spettacolo, un thriller da gustare davanti alla televisione, un "giallo", di cui attendere la puntata seguente, per soddisfare la propria sete necrofila di aggiornamenti.


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