giovedì 21 marzo 2013

Barbare tradizioni

di Mattia S.

Molti massacri sono stati compiuti in nome di un credo, di una professione o per il valore ideologico di un conflitto.
Nessun atto sulla terra è stato perpetrato con così tanta crudeltà come quelli compiuti in nome di un "rito" o di una tradizione.

Molte religioni, molti "credi", hanno i propri "riti", le proprie modalità di espressione che, attraversano la storia, sono giunte ad una loro codificazione, ad una loro fissazione nel tempo (attraverso varie epoche) e nello spazio (nei luoghi di culto o di ritrovo che ricordano il passato).

Per le celebrazioni pasquali 2 milioni di agnelli vengono sgozzati in nome di una tradizione.
La tradizione viene spesso presa così com'è. Dopo la sua codificazione diviene legge, dottrina. Un dogma cala sulla società e la imprigiona. I più giovani, in epoche recenti si sono opposti, spesso, per un "attrito" nei confronti di un'autorità con cui non si sentivano in sintonia. Possono aggirare e/o rifiutare l'imposizione dei genitori che incarnano un'autorità. La dottrina viene rigettata perché imposta dall'alto.
Eppure quando si avvicina una festività fondamentale, nella vita di una comunità, più o meno coesa, le persone si riuniscono attorno alla tavola e celebrano come da tradizione.

Peggiore del dogma è l'abitudine, quel qualcosa che che diviene meccanico; un ingranaggio privo di volontà propria che si muove all'unisono con gli altri senza una individuale capacità critica o di "semplice" discernimento. Il movimento diventa genetico e naturale, un gesto inconscio, un atto involontario.
Anche questo è l'esito di una massificazione.
Ovviamente la stessa cosa diviene speculare per le ribellioni. Quando qualcosa può essere rigettato, la contestazione diviene una raison d'etre generazionale (chi non si ribella in compagnia è un ladro e una spia). Anche la ribellione diviene una moda, una tendenza. Evviva il new age. Le nuove contestazioni nascono asservite a dei modelli o, peggio, a potere e logiche di mercato.
Pier Paolo Pasolini scrisse: "Basta ai giovani contestatori staccarsi dalla cultura, ed eccoli optare per l'azione e l'utilitarismo, rassegnarsi alla situazione in cui il sistema si ingegna ad integrarli".
All'interno del mondo laico, ogni generazione che si sviluppa, segna, inevitabilmente un gradino di distanza dai dogmi e dalle tradizioni precedenti, non soltanto dalle "vie del signore". Le tradizioni, il più delle volte, rimangono. Fossili e abitudini, che hanno perso il loro essere usanza.
Nonostante la grande opposizione che si scatena contro l'istituto famiglia, o per quanto ci si scateni contro la Chiesa, non si rifiuta il piatto con la pietanza della festa di turno.
I nostri avi, legati a certe tradizioni, le hanno veicolate, assieme ai gesti e ai proverbi regionali, le hanno tramandate ai figli di generazione in generazione. L'usanza ha subito un primo scacco con la mediaticizzazione della cultura che ha prodotto un modello sovraregionale, e successivamente, con la digitalizzazione si è andati verso un modello globale.
I gesti dei nostri avi erano consapevoli. ORA sono per lo più gesti involontari, spesso neppure ragionati: frutto di qualcosa che si è appreso ma di cui si è perso il vero significato. Le usanze sono state decapitate nella loro essenza.
La tradizione lo impone. Io eseguo.

La pasqua è una festività molto più antica rispetto al Cristianesimo. Celebrata dagli Ebrei per ricordare la liberazione, rievoca quel passo del Vecchio Testamento in cui Mosè, per volere di Dio, fa ungere le porte delle case dove vi erano i primogeniti del popolo eletto, con il sangue di un agnello per salvarli dalla decima piaga.
La pasque cristiana si va a sovrapporre a quella ebraica. Un Cristiano mangia l'agnello pasquale celebrando la morte e la resurrezione di Cristo.
In suo onore viene sacrificato l'agnello, per emulare e rievocare il sacrificio del Signore. Il rito si ripete. Ogni anno si rievoca il passaggio dalla morte alla vita del Cristo risorto.

2 Milioni di agnelli vengono serviti su tavole imbandite a festa.

Durante le festività i consumatori dettano legge. Un paese "Cristiano", non importa se credente o meno, l'importante è che sia praticante, si affretta a comprare migliaia di tonnellate di carne di agnello (di alimentazione e consumismo si è parlato anche QUI)
I metodi di allevamento lasciano il più delle volte a desiderare: milioni di agnelli stipati e concentrati a centinaia, in vari luoghi, subiscono lo stesso trattamento. L'atto della procreazione viene asservito ad una logica di consumo che deve far fronte ad una esasperata domanda. L'offerta deve sempre dimostrarsi all'altezza. Una volta partoriti, gli agnelli, non fanno in tempo a venire svezzati, che già devono essere caricati e deportati verso il macello. Forse il verde lo riescono a vedere dagli spiragli dei camion adibiti al trasporto. 
Un sistema di "produzione" che non ha nulla a che invidiare al miglior campo di concentramento o gulag che sia.
Altre dottrine non sacrificano il simbolo del loro credo. I musulmani non mangiano il maiale che per loro è un animale sacro.
Perché i cristiani devono mangiare il loro Cristo, il simbolo dell'innocenza e della purezza? L'ostia, sono un altro paio di maniche grazie alla transustanziazione che risolve ogni problema, il simbolo rievoca l'ultima cena, il corpo e il sangue di Cristo. Non vengono sgozzati animali innocenti.
In alcune religioni pagane si pensa che mangiando una certa cosa, si possa assumere la caratteristica principe di quell'oggetto. Non a caso ho voluto accostare proprio Cristianesimo e Paganesimo.

Parafrasando l'assunto pasoliniano di inizio articolo, si potrebbe vedere nella cultura un importante veicolo di una sorta di "contestazione ragionata" slegata dalla tendenza alla ribellione autoreferenziale e fine a se stessa, pronta a rivedere una tradizione ricordando come era rispettosa l'usanza.
2 Milioni di agnelli procreati per necessità di mercato, allevati per un mese scarso, strappati alla pecora e sgozzati.
Questa non è usanza ma una barbara tradizione.



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