Rileggere Hessel per una nuova partecipazione (anche) europea.
di Mattia Sangiuliano
Sabato 15 marzo si sono svolte due manifestazioni a Roma. Per semplificare: una europeista e una pacifista. Nessuna delle due mi ha convinto.
Una piazza di indignati che mi ha fatto ricordare il francese Stéphan Hessel, partigiano durante il secondo conflitto mondiale e diplomatico ONU nel dopoguerra, autore del fortunato pamphlet intitolato – guarda caso – Indignatevi![1] e di un altro libro, prosecuzione del primo, dal titolo Non arrendetevi![2]. Proprio in questa seconda opera Hessel alza il tiro che aveva già delineato nel libro precedente e dice che
«indignarsi non basta. Se qualcuno crede che per cambiare le cose basti manifestare per le strade, si sbaglia. È necessario che l’indignazione si trasformi in un vero impegno. Il cambiamento richiede uno sforzo. Va benissimo esprimere il nostro rifiuto dell’oligarchia, ma contemporaneamente bisogna proporre una visione ambiziosa dell’economia e della politica che sia capace di trasformare le condizioni del nostro Paese. Non ci si può limitare alla protesta. Occorre agire» (p. 17)
Oltre alle manifestazioni è necessario attivarsi per un radicale cambiamento di rotta. Magari dall’interno delle strutture deputate a tradurre in azione la volontà di cambiamento. E questo è un invito vale anche per l’altra piazza.
La prima piazza, quella indetta
da Michele Serra dalle colonne di Repubblica, rappresenta invece molto
bene le molteplici spaccature e contraddizioni dei tempi che stiamo vivendo. La
manifestazione ha raccolto, sotto la bandiera blu dell’Unione, una grande varietà
di orientamenti: chi favorevole al ReArm, chi contrario, chi non
convinto, chi pacifista ma scettico… insomma: fotografa perfettamente il caos
all’interno di molte famiglie politiche e associative. Il collante e cornice è
quello dell’europeismo.
La manifestazione è a mio avviso
tardiva; si parla di “essere europei” in un momento in cui questo sentimento
viene messo in crisi dalla situazione internazionale e che la stessa piazza,
con molte divisioni e defezioni – nonostante la grande partecipazione –
rappresenta molto bene. Viene richiesto un atto di fede che, attualmente, ha il
sapore del sacrificio. Forse una manifestazione che si sarebbe dovuta fare
molto tempo prima, quando si sarebbe potuto intervenire concretamente per
invertire la pericolosa china che si è scelto di percorrere. La manifestazione ha
parlato di Europa aggiungendo anche le parole “pace” e “libertà”, come espresso
bene dallo stesso Serra nella sua prolusione, ma che allo stato attuale sono insufficienti
in quanto arrivate dopo il via libera a un piano di riarmo che minaccia di dare
uno scossone allo stato sociale di quasi tutta l’Europa. Scatenando per questo
l’indignazione di molti.
Almeno, in questa piazza, non
hanno bruciato nessuna bandiera. Magari della pace.
Quella di Serra è stata una piazza molto più passiva della precedente che rende necessario riprendere quanto diceva sempre Hessel nella sua trattazione. Hessel parla di azione chiamando in causa gli strumenti tradizionali della politica – in Italia come nel resto d’Europa – che devono tornare in mano ai cittadini, ovvero i partiti:
«I partiti politici tradizionali si sono chiusi troppo in sé stessi. Sono anchilosati e hanno bisogno di una scossa. Nonostante tutto, però, continuano a essere uno strumento essenziale della partecipazione politica […]. Meglio stare dentro che fuori. Ai miei amici ripeto sempre la stessa cosa: se volete combattere i problemi, se volete che le cose cambino, nelle democrazie istituzionali nelle quali viviamo il lavoro deve essere fatto con l’aiuto dei partiti. Perfino coi loro difetti, le loro imperfezioni, le loro insufficienze» (p. 21)
Le piazze devono entrare nei
partiti – più o meno metaforicamente – e i partiti devono farsi carico delle
istanze delle piazze. Un processo imprescindibile se si vuole creare un terreno
comune in grado di andare oltre una generale indignazione per garantire pace,
libertà e sicurezza, senza sacrificare lo stato sociale. Questa dovrebbe essere
ora la sfida urgente, sperando non sia davvero troppo tardi.
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