martedì 18 marzo 2025

Due piazze, due Europe incomplete

Rileggere Hessel per una nuova partecipazione (anche) europea.

di Mattia Sangiuliano

Sabato 15 marzo si sono svolte due manifestazioni a Roma. Per semplificare: una europeista e una pacifista. Nessuna delle due mi ha convinto.


Comincio dalla seconda, quella che mi ha convinto meno. La manifestazione pacifista ha visto la partecipazione di diversi gruppi che sono schierati per il “no” compatto al ReArm Europe. Ho letto la chiamata a manifestare e ho sentito alcuni interventi online dell’assemblea di Potere al Popolo che ha anticipato la manifestazione; oltre ai principi, bellissimi, non ho sentito niente di pratico per il concretizzarsi di questa pace. Ho sentito invece molto astio e rancore verso l’altra manifestazione che si stava svolgendo in contemporanea e verso i singoli che hanno aderito alla manifestazione europeista, già dallo slogan “Combatti l’effetto Serra”. Sostanzialmente, partendo da principi condivisibili, si è scelto di dare un taglio che ha il sapore della doppia contro-manifestazione: contro quella di Serra e alternativa a quella di Giuseppe Conte prevista per il 5 aprile. Un taglio che, volendo cavalcare un sentimento antieuropeista abbastanza in voga, si è alla fine tradotto nel prevedibile atto di bruciare le bandiere dell’UE.

Una piazza di indignati che mi ha fatto ricordare il francese Stéphan Hessel, partigiano durante il secondo conflitto mondiale e diplomatico ONU nel dopoguerra, autore del fortunato pamphlet intitolato – guarda caso –  Indignatevi![1] e di un altro libro, prosecuzione del primo, dal titolo Non arrendetevi![2]. Proprio in questa seconda opera Hessel alza il tiro che aveva già delineato nel libro precedente e dice che 

 «indignarsi non basta. Se qualcuno crede che per cambiare le cose basti manifestare per le strade, si sbaglia. È necessario che l’indignazione si trasformi in un vero impegno. Il cambiamento richiede uno sforzo. Va benissimo esprimere il nostro rifiuto dell’oligarchia, ma contemporaneamente bisogna proporre una visione ambiziosa dell’economia e della politica che sia capace di trasformare le condizioni del nostro Paese. Non ci si può limitare alla protesta. Occorre agire» (p. 17)

Oltre alle manifestazioni è necessario attivarsi per un radicale cambiamento di rotta. Magari dall’interno delle strutture deputate a tradurre in azione la volontà di cambiamento. E questo è un invito vale anche per l’altra piazza.

La prima piazza, quella indetta da Michele Serra dalle colonne di Repubblica, rappresenta invece molto bene le molteplici spaccature e contraddizioni dei tempi che stiamo vivendo. La manifestazione ha raccolto, sotto la bandiera blu dell’Unione, una grande varietà di orientamenti: chi favorevole al ReArm, chi contrario, chi non convinto, chi pacifista ma scettico… insomma: fotografa perfettamente il caos all’interno di molte famiglie politiche e associative. Il collante e cornice è quello dell’europeismo.

La manifestazione è a mio avviso tardiva; si parla di “essere europei” in un momento in cui questo sentimento viene messo in crisi dalla situazione internazionale e che la stessa piazza, con molte divisioni e defezioni – nonostante la grande partecipazione – rappresenta molto bene. Viene richiesto un atto di fede che, attualmente, ha il sapore del sacrificio. Forse una manifestazione che si sarebbe dovuta fare molto tempo prima, quando si sarebbe potuto intervenire concretamente per invertire la pericolosa china che si è scelto di percorrere. La manifestazione ha parlato di Europa aggiungendo anche le parole “pace” e “libertà”, come espresso bene dallo stesso Serra nella sua prolusione, ma che allo stato attuale sono insufficienti in quanto arrivate dopo il via libera a un piano di riarmo che minaccia di dare uno scossone allo stato sociale di quasi tutta l’Europa. Scatenando per questo l’indignazione di molti.
Almeno, in questa piazza, non hanno bruciato nessuna bandiera. Magari della pace.

Quella di Serra è stata una piazza molto più passiva della precedente che rende necessario riprendere quanto diceva sempre Hessel nella sua trattazione. Hessel parla di azione chiamando in causa gli strumenti tradizionali della politica – in Italia come nel resto d’Europa – che devono tornare in mano ai cittadini, ovvero i partiti:

«I partiti politici tradizionali si sono chiusi troppo in sé stessi. Sono anchilosati e hanno bisogno di una scossa. Nonostante tutto, però, continuano a essere uno strumento essenziale della partecipazione politica […]. Meglio stare dentro che fuori. Ai miei amici ripeto sempre la stessa cosa: se volete combattere i problemi, se volete che le cose cambino, nelle democrazie istituzionali nelle quali viviamo il lavoro deve essere fatto con l’aiuto dei partiti. Perfino coi loro difetti, le loro imperfezioni, le loro insufficienze» (p. 21)

Le piazze devono entrare nei partiti – più o meno metaforicamente – e i partiti devono farsi carico delle istanze delle piazze. Un processo imprescindibile se si vuole creare un terreno comune in grado di andare oltre una generale indignazione per garantire pace, libertà e sicurezza, senza sacrificare lo stato sociale. Questa dovrebbe essere ora la sfida urgente, sperando non sia davvero troppo tardi.



[1] Hessel, Stéphane; Indignatevi!, add editore, Torino, 2011
[2] Hessel, Stéphane; Non arrendetevi!, Passigli Editori, Firenze, 2013

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