mercoledì 1 aprile 2015

#stupidigiocattolidilegno per leggere lo spazio.
Un libro di @el_pinta che non parla solo di #sk8.

recensione di Mattia Sangiuliano (@Sangy91)

"Stupidi giocattoli di legno", Flavio Pintarelli, Agenzia X, Milano, 2014, p.166 (13€).


Lo skate è un'esperienza sensoriale, una pratica che coinvolge tutti e cinque i nostri sensi, questa è la prima - forse unica, tranquilli - grande massima che Flavio Pintarelli (per gli amici di twitter @el_pinta) ci lancia e che sembra ripetersi, più meno velata a più riprese, nelle pagine del suo libro che, se alle prime battute, quelle del tutorial, sembra essere un manuale tecnico su come andare in skate, risulta essere invece qualcosa di più; perché, lo skate, non può essere spiegato con tutta questa semplicità, come ci si aspetterebbe invece essere più consono ad altre discipline sportive.

"lo skate è un'esperienza totale, che coinvolge tutti i cinque sensi" (p.88)

Lo skate dunque è sport e non solo, è si una pratica atletica, talvolta - ma ormai troppo spesso, come dice l'autore - vissuta in maniera eccessivamente competitiva, ed è qualcosa di più: è uno stile di vita che si radica con l'ambiente in cui si trova e in cui sviluppa; come agli albori di questa disciplina, in una storia che Flavio ripercorre rievocando gli scenari californiani in cui lo skate ha mosso i primi traballanti passi, emergendo dagli oceani come in una evoluzione della specie, evolvendosi dalla voglia di cavalcare le onde nelle giornate avverse in cui i surfer non potevano prendere il largo con le loro tavole ha invaso le città colonizzando nuovi e vecchi spazi, così sembra ripetersi continuamente questo movimento che fa stringere un rapporto intenso tra pratica e spazio, da periferia al cuore delle metropoli cittadine, in cui questa disciplina viene praticata.

Lo skate è uno stato mentale verrebbe da dire, una condizione che tuttavia non prevede l'alienazione dello skater dal contesto urbano in cui questo si muove. Pintarelli, blogger, skater, giornalista è anche uno scienziato della comunicazione, proprio la semiologia viene impiegata per descrivere il modo e le caratteristiche con cui lo skater è un individuo che non si muove solo e meramente all'interno di uno spazio limitato ma che è in grado di interpretare e reinterpretare lo spazio che lo circonda, talvolta modificandolo tal'altra piegandolo ai propri bisogni; momento fondamentale è certamente il prendere coscienza da parte di un soggetto come, attraverso uno strumento, in questo caso la sua tavola, sia in grado di intessere una certa relazione con l'ambiente in cui si muove.

"lo skater non osserva semplicemente la città, ma la scansiona e la analizza" (p.43)

Spiegare cosa sia lo skate è impresa difficile, soprattutto se si ha di fronte non un amatore delle disciplina ma un neofita o, ancora, qualcuno completamento digiuno in materia. Flavio riesce però a muoversi sin dalle pagine iniziali del tutorial fornendo la prima e indispensabile erudizione in merito alle manovre che possono essere eseguite andando sullo skate, utilizzando un linguaggio chiaro e limpido, privo di tecnicismi e seguendo le evoluzioni come stesse ripetendo, a sé stesso e a noi, quella data sequenza di movimenti ben impressi nella sua mente di skater. A più riprese, complici le foto di Andrea Pozzato e del collettivo Chef Family che corredano il libro, ho sentito l'impulso di tirare fuori da sotto il letto la mia ammaccata e consumata Novepiedi.

Nel discorso di @el_pinta entra in gioco anche la questione dello "stile". Lo skate è più rock? O più hip-hop? Indie o punk? Sembra una domanda supeflua eppure, nel contesto in cui lo skate si sviluppa e si diffonde, intessendo relazioni formali chiare e distinte, anche attraverso le competizioni e la cultura visiva che lo sottende, sono domande tutt'altro che banali. Lo skate risponde ad una questione di stile che deve essere continuamente contestualizzata ma di cui è al contempo difficile riuscire a dare una classificazione stilistica totale e onnicomprensiva. Il giocoforza di queste discussioni viene spesso maturato dalla necessità di vari brand e sponsor che devono proporre modelli ben definiti a una realtà, come quella dello skate, che più o meno spontaneamente è portato a rigettare, a differenza di altre pratiche, questi tentativi vincolanti, espressione di un determinato codice estetico. La sostanza è una sola: Skate or die! insomma.


"Lo skate  è un modo di sfuggire all'istanza disciplinante del potere attraverso l'instaurazione di un'idea differente" (p.66)

Al centro della trattazione Flavio Pintarelli, più che lo stile, pone la capacità dello skater di sapersi muovere in un contesto multiforme che, attraverso la tavola e la visione culturale dello skater, modifica l'individuo ma viene a sua volta modificato da questo. La disciplina dello skateboarding è violazione delle norme che sottendono l'utilizzo di determinate aree, rottura, se non ribellione, alla consuetudine che le sottende e le governa.

"è importante saper guardare lo spazio con gli occhi dello skater" (p.86)

Fonte: "Ci sono ancora skater nell'Undercroft" di @el_pinta
Lo skate è attività di colonizzazione e possibilità di ri-colonizzazione delle città o di realtà urbane non necessariamente periferiche; dalla suburbia, ai centri cittadini, dalla periferia che vuole ghettizzare il "fenomeno" dello skate che è in realtà una vera e propria cultura, le tavole si spostano sino agli spazi che possono essere di unità e sintesi in uno stesso contesto urbano divenendo espressione di condivisione del medesimo ambiente tra skater e pedoni, o cittadini in generale, problematizzando lo spazio, domandandosi come ricomporlo, riedificarlo, non solo reinterpretare gli spot che possono essere skateati ma recuperare aree vittime del degrado e dell'incuria, con costi il più delle volte pari a zero se le amministrazioni si dimostrano abbastanza lungimiranti e aperte, è il caso della stazione di Milano, esempio portato dallo stesso @el_pinta o quello di altre realtà italiane ed estere che emergono dalle riflessioni di Flavio o dalle interviste a skater o ad altri esponenti della scena che compaiono nel libro, o l'interessante questione del Southbank Undercroft di Londra contenuta nella conversazione che l'autore instaura con l'architetto inglese Ian Borden.

"devi imparare a vivere la città e a sentirti parte di essa" (p.136)

Lo skate tira in ballo interessi che possono andare a collidere con pratiche politico-economiche molto diffuse e volte a trarre il maggior profitto da una certa organizzazione dello spazio, ottimizzato per soddisfare interessi consumistici. Contro un'ottica di segregazione e divisione troviamo la skateplaza, ovvero un ambiente aperto che può essere vissuto da tutti dunque anche skateato, rappresenta la condivisione di uno spazio che è anche atto di riappropriazione e ripopolazione di un contesto urbano in un'ottica anticapitalista, contro la tendenza a rendere i centri cittadini passerelle per lo shopping sfavorendo o escludendo altri usi dell'ambiente o possibilità di espressione, come ad esempio lo skate o la street art, che non siano assimilabili all'ottica di uno sfrenato consumismo.

"spostarsi dai non-luoghi dei centri urbani ai non-luoghi della periferia, per continuare a contaminare con le loro performance lo spazio che più gli si adatta, rivendicando il loro diritto alla città" (p.148)

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