domenica 15 marzo 2015

Paura di dire “ti amo”.

di Mattia Sangiuliano.
Marc Chagall; Il compleanno (1915)

Proviamo una paura sottile e affilata come la presunzione che l'accompagna: temiamo di dire “ti amo” e mentre vagheggiamo colpi di fulmine raccontiamo a noi stessi che è meglio non crederci che è meglio non illudersi dunque che la felicità è passeggera come l'amore ed eterna è solo la catena della delusione così inventiamo categorie per standardizzare i nostri rapporti per quantificare in gradi di affezione le nostre relazioni limitandoci nel nostro porci di fronte all'altro mentre invece vorremmo ardere ci diciamo che non possiamo che il solo pensarlo fa spavento che se chi abbiamo di fronte potesse leggere nella nostra mente o peggio nel nostro cuore sarebbe disgustato dall'incendiario che è in noi e che minaccia di uscire mentre invece magari anche dall'altra parte c'è quella stessa fiamma che vorrebbe bruciare i canoni dettati dall'unica paura che vincola il contatto sincero celato dietro quelle cinque dannate lettere allora si scava indietro dando la colpa a vecchi innocui dolori per giustificare questa freddezza e vorremmo seguire i dogmi o almeno essere analfabeti e non aver mai imparato quelle tre sillabe figlie della debolezza di non riuscire a stare da soli senza dover per forza sentire il bisogno di aggrapparsi all'altro o di essere la stampella di qualcuno ma quelle parole le vorremmo dire e le volevamo dire già da subito da quella notte in cui i nostri occhi tremavano vacui annaspando in un mare di confusione giocando a fare gli sfrontati nascondendoci cose chiare che facevamo finta di non capire indossando maschere che non ci appartenevano ci saremmo sentiti più a nostro agio nudi giocando a carte scoperte senza dover rispettare i gradi di separazione imposti dalle grandi manovre di avvicinamento censurando i sentimenti (che sono l'equivalente romantico di una bestemmia sputata in faccia ad un dio misericordioso ma distratto) e limitando i complimenti (la somma di qualcosa che ci appare immaturo viscido e colpevole) e allora ingoiamo le amare dense volute di fumo delle cento occasioni sprecate tossendoci in faccia qualche convenevole e qualche battuta e se ridiamo insieme ridiamo di noi stessi e della vergogna che proviamo e di quello che nascondiamo di quella paura che ingabbia quello che vorremmo dire che vorremmo fare e quello che siamo ma che non possiamo mostrare così tingendoci la faccia diventiamo il saltimbanco del gioco delle tre carte. Quadri. Picche. Fiori.

Il cuore rosso io lo tengo nascosto nella manica.
Gioco sporco seguendo le regole e allora ti guardo e non parlo al massimo mento.
Me lo tengo per me quanto cazzo ti amo.

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