mercoledì 3 aprile 2013

Virtuosismo

di Mattia S.

"I modelli sono una strada spianata; esempi da seguire e, magari, da imitare". Queste e altre considerazioni attraversano la mente di Samuele, in un tiepido e assonnato primo pomeriggio di inizio autunno. Samuele, con il suo violino, si sta esercitando sopra uno spartito di musica sacra di Brahms. Da qualche tempo ha perso l'abitudine di guardare la televisione. Tutti i programmi di svago gli sono improvvisamente venuti a noia. Al di là del muro sua madre sta lavando i piatti del pranzo. Nella sua stanza, insonorizzata alla bell'e meglio, con le scatole di cartone delle uova, prese con tanta fatica, nell'alimentare vicino casa, non fa fatica a entrare l'indistinto scroscio dell'acqua corrente, a causa dell'ovvia insonorizzazione a buon mercato.
Quel rumore non fa che tediare la sua concentrazione dunque il suo esercizio di esecuzione. Più volte stona una nota che, poco prima, aveva eseguito con maestria; oppure, completamente distratto, allenta inavvertitamente la presa sull'archetto, facendogli produrre un acuto stridio sul suo strumento.
Al rumore dell'acqua e, più in generale, ai rumori della vita domestica, ci è avvezzo; addirittura proprio i rumori del quartiere, con le loro dissonanze, sono fonte inesauribile di spunti per le sue composizioni di musica moderna. La verità di tanta distrazione però è un'altra. Altri pensieri minano la sua concentrazione, non è solo il modello archetipico che non riesce a rintracciare in un Brahms "troppo" sacro, o in un Beethoven "eccessivamente" romantico passando per un Mozart "abusato" in ogni esecuzione o a dei Sentieri Selvaggi "così" moderni. È ancora il litigio che ha avuto la mattina avanti con suo padre a far presa sulla sua attenzione.
Samuele appoggia il violino sul letto sfatto e, avvicinandosi alla finestra, l'archetto sul davanzale. Fuori, sul balconcino, il cucciolo di shepherd che ha trovato la sera prima sta sonnecchiando all'ombra della balaustra, dopo aver masticato per bene un vecchio peluche che Samuele ha rimediato dal fondo del garage.
Suo padre non si è neppure avvicinato a questo cane, non lo ha nemmeno accarezzato, non si è neppure attivato per trovare una soluzione al problema del trovatello. Non si è proprio posto alcun problema. Vive nel suo mondo e nei suoi gesti quotidiani, fatti di pura e semplice contingenza. Suo padre adesso è fuori per il turno pomeridiano, ancora non sa che Samuele e sua madre hanno già rintracciato il padrone del cane; forse sarà felice che lui e sua moglie sono riusciti a sistemare tutto. Breve è il lasso di tempo che lo separa dallo scetticismo; troppe volte ha visto sorgere sul volto di suo padre il più disarmante disinteresse, molto spesso sotto le mentite spoglie di un finto stupore. Ad esempio, quando sono soli regna il silenzio o viene fatta cadere qualche domanda su come sia andata la giornata. Suo padre, paradossalmente, è il modello perfetto dell'estraneo perenne: sempre invischiato nella routine. Quando lui guida la conversazione, quale che sia l'ambiente e la situazione, parla solo del suo lavoro e di persone che Samuele e sua madre non conoscono.
"Convivo con tutto questo" pensa rassegnato il ragazzo. Allontanandosi dal davanzale della finestra e dal piccolo cane assopito, impugna nuovamente archetto e violino. "In fondo anche i modelli che si vuole rifuggire sono necessari, anzi vitali! nonostante la loro possibile dannosità" e con questo nuovo pensiero riprende il suo esercizio di composizione.
Nella stanza accanto le guance di sua madre, che si è fermata per ascoltare quella meravigliosa melodia, vengono solcate da una miriade di lacrime.


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racconto precedente Connessioni di Diego Petrachi

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