venerdì 8 marzo 2013

L'8 marzo. Onorare senza dimenticare.

di Mattia S.

Mi ricordo gli 8 marzo di quasi tutti gli anni di scuola superiore. La mia scuola era immersa nel verde della zona periferica del capoluogo. La corriera si fermava ai piedi della collina e noi studenti dovevamo salire a piedi l'ultimo tratto. Dalla cima, la vista poteva spaziare per le zone circostanti: dalle villetta schiera animate dalla giornata appena ridestata, alle ferventi attività attorno alle villette in costruzione. E il verde dominava. Dove non c'era il nero e il grigio dell'asfalto potevi dominare con lo sguardo un vasto prato incolto e rigoglioso. Era quasi piacevole, dopo un temporale, odorare la puzza del campo bagnato. Odore di natura in mezzo alla zona semi-industriale del capoluogo. Dove non arrivava lo sguardo, nelle mattine marzoline, la nebbia mattutina avvolgeva le grige case lontane. Il campo era li, verde e umido, sotto i miei piedi.
Superato il cancello si stagliavano fra i due plessi dell'istituto, tra i due parcheggi, gli alberi di mimose. Sublime il contrasto che si creava tra la facciata degli edifici e le gialle infiorescenze della mimosa.
I magri arbusti offrivano i loro frutti più bassi alle mandrie degli scolari. Così incominciava lo scempio. A nulla valevano i richiami dei professori, l'intervento del personale o della preside in persona. Neppure le circolari dei giorni subito precedenti alla festa riuscivano a contenere i danni, anzi, paradossalmente, sembravano alimentare, in un certo senso, la foga preparatoria della distruzione.
I più umili si accontentavano di un piccolo ramoscello da posare di nascosto su qualche banco. I più sfacciati, a cavalcioni sulle spalle di qualche compare strappavano interi rami, tra le risate dei compagni e gli improperi dei professori ridotti all'impotenza.
La preside in persona denunciava questi atti dicendo che le piante era li per omaggiare TUTTE le donne. Era permesso prendere un ramoscello, ma almeno evitare la bolgia, la ressa e la distruzione di un bene comune come quello.
Le parole, però, servivano a poco o a niente. Ogni anno la bolgia si ripeteva tale e quale, a quella dell'anno precedente.

Onorare la donna, il nobile intento dell'8 marzo. In questo ultimo periodo,  dai vari casi di violenza, che fanno sempre più spesso capolino tra le notizie di cronaca e le citazioni, durante le più svariate manifestazioni mediatiche ( vedi Littizzetto a Sanremo) risulta essere apparentemente molto difficile scindere la festa dall'attualità. Apparentemente.
L'8 marzo è stato ridotto ad una sorta di farsa, come tutte le "pseudofeste" , un pretesto, un cliché  della tradizione per omaggiare il gentil sesso. Si è scissa la festa dalla causa prima e dal nobile intento che ne era base e fondamento.
Da un lato abbiamo la mercificazione: mimose a prezzi esorbitanti dai fiorai (aggiungi biglietti, carta regalo, cioccolatini, peluche e supplemento confezione & consegna), dall'altro l'oblio semi-intenzionale di chi festeggia. In mezzo, contesa tra questi aspetti, la figura della donna.
Nonostante tutte le campagne memoriali che prenderanno le mosse da questa giornata, proprio la maggior parte delle persone medie, le masse, sentiranno ma non ascolteranno le belle parole che verranno pronunciate. Molti, presi anch'essi dalla foga, si recheranno nel fioraio-dei-momenti-di-fiducia (del momento del ritardo) vicino casa per lasciarvi 50€, altri si recheranno nel parco vicino casa per sradicare un arbusto.

Si omaggerà la donna con un fiore, bello, chiaro e primaverile. Un fiore che appassirà in un bicchiere d'acqua nel giro di pochi giorni. Come il ricordo delle violenze che le donne subiscono quotidianamente. E il femminicidio, continuerà, tornando alla ribalta nelle serate di gala e nei salotti televisivi, tra lacrime di commozione e applausi di un pubblico imbalsamato.

Se volete cogliere qualche mimosa, poiché è il pensiero quello che conta, non lo scontrino, almeno fatelo ricordando di portare rispetto alla natura, che non diventi anch'essa, bersaglio di ignoranza e violenza.
Che si regalino pure migliaia di mimose ma che almeno ognuna di esse, porti il ricordo. Che siano donate, e ricevute, ricordando tutte le donne che hanno subito dei torti.
Il ricordo è l'arma più forte che abbiamo, per vincere l'oblio.


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